sabato 31 gennaio 2009

C'è chi vuole dividere ciò che Benedetto XVI unisce (Bordero). Commento monumentale


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C'è chi vuole dividere ciò che Benedetto XVI unisce

di Gianteo Bordero

E' vero quello che oggi in tanti dicono: monsignor Marcel Lefebvre, ordinando nel 1988 quattro vescovi senza la necessaria autorizzazione papale e incorrendo così nella scomunica latae sententiae, inferse una profonda ferita all'unità della Chiesa, l'amore alla quale richiederebbe la disponibilità ad obbedire al vicario di Cristo sacrificando magari la rivendicazione delle proprie personali idee.
Idee di cui, invece, Lefebvre e i suoi seguaci hanno fatto una bandiera, talvolta trasformandole in una vera e propria «ideologia» ecclesiale pregiudizialmente contraria a tutto ciò che in qualche modo potesse essere collegato alle parole «Concilio», «aggiornamento», «modernità».

Ma è vero, allo stesso modo, che Lefebvre non fu scomunicato da Papa Giovanni Paolo II a causa delle sue idee. Neppure quelle riguardanti il Vaticano II.

Oggi tutti coloro che soffiano sul fuoco della polemica dopo la decisione di Benedetto XVI di revocare la scomunica ai vescovi ordinati dal monsignore scismatico, questo dimenticano di dirlo e di ricordarlo, come se niente fosse.

Così mestano nel torbido, lasciando intendere che siano le personali opinioni dei lefebvriani a tenerli fuori dalla comunione ecclesiale. Anzi. Molti di coloro che, dalle pagine dei giornali e dagli schermi televisivi, confondono deliberatamente le idee dei lettori e dei telespettatori su questa vicenda, quasi godono nel ribadire che la piena riammissione della Fraternità San Pio X non è ancora avvenuta, che sono ancora molti i passi da fare (come se il ritiro della scomunica da parte del Papa fosse un fatto di poco conto), e a sostegno delle loro tesi portano sorridenti le dichiarazioni sulla Shoah prima di monsignor Williamson e ora, in mancanza d'altro, di qualche sacerdote lefebvriano.

Spulciano negli archivi e nelle emeroteche, su Google e su YouTube, per cercare altri documenti, altre prove che mostrino in maniera inconfutabile l'errore del pontefice regnante.

Concediamo per un attimo quello che quello che gli intellettuali e i vaticanisti progressisti, martiniani e dossettiani lasciano intendere, e cioè che la rottura dell'unità della Chiesa sia avvenuta a causa delle idee anticonciliari dei lefebvriani, e non dell'ordinazione episcopale, sia vero. E quindi poniamo come criterio per essere scomunicati la difformità dai documenti del Vaticano II.

Sono così sicuri, questi Torquemada dei tempi moderni, che in un caso del genere loro uscirebbero indenni dalle grinfie della nuova Inquisizione «conciliarmente corretta»?

Ad esempio, sono così sicuri che la loro simpatia per la Messa pop, quella che in teoria avrebbe dovuto avvicinare gli uomini alla Chiesa e che invece ha allontanato i cristiani dalle chiese, trovi conferma nel dettato del Vaticano II? Ad esempio, ancora, sono sicuri che le loro aperture a tutto ciò che sa di moderno, anche in tema di famiglia, procreazione, sessualità abbia un qualche fondamento nelle Costituzioni conciliari? Perché si aggrappano ad ogni pie' sospinto allo «spirito del Concilio» e ne dimenticano la lettera?

Forse perché lo «spirito» lo si può immaginare come si vuole ed invece la «lettera» è stampata e lapidaria? Parafrasando il famoso detto latino, potremmo dire che per i più ferventi critici della decisione di Benedetto XVI valga la regola: «Spiritus volat, scripta manent». E, ovviamente, loro stanno dalla parte dello «spiritus».

Per fortuna loro, e grazie a Dio, non pioverà sul loro capo nessuna scomunica, perché il criterio adottato dalla Chiesa non è il loro criterio, tant'è vero che il Papa, prima della revoca, non ha chiesto ai vescovi lefebvriani alcun giuramento pubblico e formale di fedeltà al Concilio. Il criterio usato da Benedetto XVI è stato invece quello del perdono in funzione della piena unità tra le membra del corpo mistico di Cristo. E sorprende che intellettuali, commentatori e giornalisti che da sempre salutano, senza risparmiare l'entusiasmo e la retorica, le «aperture» dei predecessori di Ratzinger a chi sta fuori dalla Chiesa, oggi facciano il diavolo a quattro per una «apertura» ancora più grande, il cui frutto potrebbe essere la fine di uno scisma.

Forse perché si tratta di una «apertura» alla parte sbagliata, alla parte più «impresentabile» di coloro che sono extra Ecclesiam, alla parte che da quarant'anni neppure andrebbe nominata in ossequio al decoro teologico e all'«ecclesialmente corretto».

E' davvero un modo singolare di ragionare e di pensare la Chiesa, questo. Un modo settario e ideologico tanto quanto lo è quello dei lefebvriani. Con la differenza che questi ultimi vengono quotidianamente attaccati, criticati e «scomunicati» a mezzo stampa o tv, mentre i loro inquisitori godono di buona stampa, impazzano su giornali, radio e teleschermi senza che nessuno (o quasi) alzi la voce nei loro confronti.

Con l'aggravante che, mentre il superiore generale della San Pio X ha manifestato al pontefice la volontà di poter rientrare in comunione con Roma, esprimendo dolore per la divisione, loro tutto fanno fuorché mostrarsi dispiaciuti per le ricadute delle loro idee sul popolo credente e sull'opinione pubblica.

Papa Benedetto, uomo saggio e misericordioso, se ne sta fuori da questa contesa ed esercita su un altro piano la sua missione: non quello dell'affermazione di un'ideologia ecclesiale, di un proprio punto di vista, per quanto teologicamente geniale, ma quello della risposta alla missione assegnata da Gesù a San Pietro: riunire (e non dividere) il gregge di Cristo. E, se necessario, andare alla ricerca della pecora smarrita.

© Copyright Ragionpolitica, 31 gennaio 2009

Ecumenismo: gli Anglicani Tradizionalisti verso la comunione con la Chiesa Cattolica


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Su segnalazione di Syriacus leggiamo:

ECUMENISMO: ANGLICANI TRADIZIONALISTI VERSO CHIESA CATTOLICA (STAMPA)

(ASCA) - Citta' del Vaticano, 31 gen

Secondo anticipazioni circolate sulla stampa anglosassone, papa Benedetto XVI si starebbe preparando ad accogliere nella Chiesa cattolica un gruppo scismatico anglicano, la Traditional Anglican Communion, che si e' distaccata dalla comunita' mondiale anglicana, guidata dell'arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, in polemica con l'ordinazione di donne e omosessuali in alcune Chiese anglicane.
La Traditional Anglican Communion (Tac), nel 2007, ha compiuto il passo senza precedenti di chiedere la ''piena comunione ecclesiale e sacramentale'' con la Chiesa cattolica: e' la prima volta che un'intera comunita' cristiana nata dopo la Riforma, e non singoli credenti, chiede di essere accolta dal Vaticano.
A quanto scrive il settimanale cattolico australiano 'The Record', la Congregazione per la dottrina della fede avrebbe espresso lo scorso ottobre parere favorevole sul rientro, consigliando l'erezione di una prelatura personale in stile Opus Dei per gli ex-anglicani. Si tratta della stessa soluzione ventilata in questi giorni per il ritorno in ''piena comunione'' dei tradizionalisti lefebvriani della Fraternita' Sacerdotale San Pio X.
I fedeli 'anglicani tradizionali' sarebbero circa mezzo milione. Preti e vescovi sono, nella maggior parte dei casi, sposati, come avviene in tutta la Comunione anglicana.
Il loro primate, l'arcivescovo John Hepworth, indica che il rientro potrebbe concludersi gia' entro Pasqua, prima della fine dell'anno paolino.
Gli ex-anglicani dovrebbero comunque rientrare nella Chiesa cattolica in tempo per la beatificaizone di John Henry Newman, un anglicano convertitosi al cattolicesimo e diventato poi cardinale. Ma il ritorno della Tac potrebbe incontrare alcuni ostacoli.
Fonti vaticane vicine al Pontificio consiglio per l'unita' dei cristiani, il ministero vaticano preposto al dialogo ecumenico, ricordano che ''la conversione e' un fatto strettamente personale''.
''Non siamo stati consultati - aggiungono - ma non saremmo d'accordo a un rientro come gruppo''. La Comunione anglicana, gia' profondamente divisa al suo interno per dissensi sul ruolo delle donne e degli omosessuali nella Chiesa, riceverebbe dal rientro della Tac nella Chiesa cattolica un colpo durissimo, aprendo le porte e nuovi esodi in massa verso Roma.

© Copyright Asca

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SHOAH: GRAN RABBINO FRANCIA, PER IL PAPA NEGAZIONISMO E' OPINIONE PERSONALE?

Citta' del Vaticano, 31 gen. - (Adnkronos) - La revoca della scomunica ai lefebvriani e' avvenuta nonostante le affermazioni negazioniste di mons. Richar Williamson, il quale afferma che tali parole hanno valore personale. E' questa anche l'opinione del Papa? E poteva Benedetto XVI non conoscere le idee sui campi di concentramento di mons. Williamson come di latri lefebvriani? E' quanto si domanda polemicamente il nuovo Gran rabbino di Francia, Gilles Bernheim, 56 anni, che sara' investito ufficialmente delle sue funzioni in una cerimonia che si svolgera' domani. La comunita' ebraica francese e' oggi la piu' grande d'Europa. Intervistato da ''Le Monde'', il rabbino e' intervenuto sul caso lefebvriani, e ha chiesto al Vaticano di chiarire una serie di questioni che rimangono aperte, fra queste si domanda alla Santa Sede che cosa accadra' nel caso i vescovi lefebvriani non riconosceranno il Concilio Vaticano II e la Dichiarazione Nostra aetate. ''Negare la Shoah - ha spiegato il rabbino capo di Francia - vuol dire insultare la memoria di sei milioni di ebrei morti nei campi. Le affermazioni di mons. Williamson sono abiette, in Francia e in Germania sono punite dalla legge''. Quindi ha affermato: ''Ci sono diverse domande senza risposta. Come poteva il Papa ignorare il negazionismo di mons. Williamson? Se la revoca della scomunica e' un invito alla riconciliazione, come dialogare con chi vede nella negazione della Shoah un'opinione personale? E cosa accadra' se i quattro vescovi che non sono piu' scomunicati continuano a rifiutare il Vaticano II e Nostra aetate (la dichiarazione del Concilio che riapriva al dialogo con gli ebrei e cancellava l'accusa di deicidio)?''. ''Sono domande - ha concluso - che mi inquietano. Come molti cristiani ed ebrei, attendo delle risposte chiare''.
(Fpe/Pn/Adnkronos)

Ma il Papa parla in cinese? In russo? In turco? In visigoto?
R.

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Che strano!!!
Qualche giorno fa e' accaduto un incidente diplomatico (grave) fra il primo ministro turco Erdogan e il Presidente israliano Peres, ma stranamente i rapporti si sono rasserenati subito.
Nonostante i plausi di Hamas, dell'Iran e gli striscioni antisemiti, Israele ha buttato subito acqua sul fuoco.
Come mai?
Come mai tutto cio' che dice o fa il Papa e' sbagliato mentre alla Turchia e' concesso tutto?
Come mai si e' inflessibili a fasi alterne, a seconda dell'interlocutore?
Come mai si usa il pugno di ferro con una religione ed il guanto di velluto con uno stato confinante?
Stupisce il silenzio dei politici su Erdogan mentre si attacca tranquillamente il Papa. Per forza! E' del tutto gratis e non ci sono reazioni proporzionate alle offese.
Anche i media, come evidenziato da Syriacus in un commento a questo post, non si sono occupati molto della lite fra Erdogan e Peres.
Per forza! E' molto piu' facile massacrare il Pontefice tanto nessuno paga e nessuno protesta.
Leggiamo qualche articolo interessante che dimostra come ci siano due pesi e due misure nel trattare le presunte "offese"
:

Erdogan acclamato dopo incidente con Peres

Davos, Erdogan litiga con Shimon Peres e diventa eroe islamico

Erdogan, elogi da Hamas e Iran Tel Aviv butta acqua sul fuoco

GAZA: ERDOGAN ACCOLTO DA EROE A ISTANBUL, CHIARIMENTO CON PERES

Erdogan accolto come un eroe dopo le critiche a Shimon Peres

Sono curiosa di vedere come i giornaloni tratteranno domani l'ingerenza di uno Stato (Israele) nei confronti di un altro Stato (il Vaticano)

Cio' a cui stiamo assistendo e' gravissimo!
Qui non e' la comunita' ebraica che esprime un suo parere ma uno Stato sovrano che pretende di interferire negli affari interni di un altro Stato!
Non solo!
Qui c'e' uno Stato, Israele, che minaccia ritorsioni nel caso in cui la Chiesa Cattolica decida di accettare il pieno reintegro di Cattolici che attualmente non sono in piena comunione.
Qui parliamo di un attacco alla liberta' religiosa che e' inqualificabile.
Pretendo che i giornaloni si occupino della gravita' di questa situazione evitando di prendere la palla al balzo per attaccare Benedetto XVI.
Attenzione: se si permette ad uno Stato di compiere una simile ingerenza, non ci si potra' piu' lamentare in caso di episodi simili che dovessero verificarsi in futuro.
Mi aspetto che la Santa Sede risponda senza indugi per richiamare la propria autonomia sovrana
.
R.

Ancora ingerenze e minacce: rottura dei rapporti fra Israele e Vaticano se i Lefebvriani verranno reintegrati. La Santa Sede reagisca subito!


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BENEDETTO XVI REVOCA LA SCOMUNICA AI VESCOVI LEFEBVRIANI: LO SPECIALE DEL BLOG

LEFEBVRIANI: MINISTRO ISRAELE MINACCIA ROTTURA CON VATICA

Le dichiarazioni negazioniste del vescovo lefebvriano Richard Williamson potrebbero condurre ad una rottura dei rapporti diplomatici tra Israele ed il Vaticano.
Ad evocare questa possibilita' sul settimanale 'Der Spiegel' e' il ministro israeliano per le questioni religiose, Jizchak Cohen, il quale raccomanda di "interrompere completamente i rapporti con un'istituzione di cui fanno parte negazionisti dell'Olocausto ed antisemiti". In un'intervista al settimanale di Amburgo, il vice presidente della Comunita' ebraica tedesca, Salomon Korn, giudica la decisione del Papa di revocare la scomunica al vescovo Williamson "un ritorno ai secoli passati", per aver "reso presentabile un negazionista dell'Olocausto".
Korn giudica l'atto del Papa "imperdonabile", poiche' con esso Benedetto XVI "mette in discussione la riconciliazione con gli ebrei, portata avanti dal suo predecessore".
Durissimo anche il commento sulla revoca della scomunica a Williamson da parte di Israel Meir Lau, ex rabbino capo di Israele e sopravvissuto al campo di concentramento di Buchenwald. "Come puo' un tale negazionista - spiega - ottenere la protezione e la riabilitazione dal capo della Chiesa cattolica?".

© Copyright Agi

A parte il fatto che il Papa non protegge alcuno, io mi permetto di notare che la posta in gioco si alza sempre di piu'!
Prima si pretendeva una precisazione, poi una presa di distanza, poi le scuse del vescovo, poi le scuse pubbliche del Vaticano, poi l'intervento diretto del Papa...
E adesso?
Si e' arrivati laddove si voleva: si pretende che la Chiesa Cattolica interrompa il dialogo con la Fraternita' San Pio X.
Enno'! Mi aspetto un intervento immediato della Santa Sede per ricordare a questi signori che stanno parlando con uno Stato Sovrano e che non possono mettere naso in affari interni alla Chiesa Cattolica.
Questa volta non parla la comunita' ebraica ma direttamente un ministro israeliano.
DRINNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNN!!!

R.

Benedetto XVI alla Cisl: Il ruolo del sindacato è fondamentale (Radio Vaticana)


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Benedetto XVI alla Cisl: dalla crisi economica si esce cambiando i rapporti tra mercato e lavoro, con la concertazione e la solidarietà. Il ruolo del sindacato è fondamentale

Una “nuova sintesi” tra mercato, capitale e lavoro, che non dimentichi la solidarietà e la dignità di chi lavora e ricorra in maniera “serrata” alla concertazione tra le parti sociali, superando i particolarismi.
E’ questa, secondo Benedetto XVI, l’opportunità che la crisi economica mondiale schiude all’umanità di oggi. Il Papa ne ha parlato ricevendo questa mattina in Vaticano i dirigenti della Cisl, una delle massime organizzazioni sindacali italiane, che celebra i 60 anni di fondazione, oggi guidata dal segretario generale, Raffaele Bonanni. Il servizio di Alessandro De Carolis:


Oltre un secolo di studi e di magistero sociale da parte della Chiesa offrono gli strumenti per “leggere” cause e vie d’uscita da una crisi economica mondiale che, se genera certamente allarme, può essere sfruttata come trampolino di lancio per ripensare gli attuali meccanismi finanziari. E’ il primo pensiero che Benedetto XVI affida agli esponenti della Cisl, riuniti nella Sala Clementina:

“La grande sfida ed opportunità che la preoccupante crisi economica del momento invita a saper cogliere, è di trovare una nuova sintesi tra bene comune e mercato, tra capitale e lavoro”.

Il Papa ha poggiato la sua riflessione sugli insegnamenti della Dottrina sociale della Chiesa i quali, ha ricordato, fin dall’alba del XX secolo - con la celebre Enciclica di Leone XIII Rerum novarum - difesero l’“inalienabile dignità dei lavoratori”, e contribuirono a promuovere la visione cristiana del lavoro. In epoca recente, ha proseguito il Pontefice, tanto la Centesimus annus quanto la precedente Laborem exercens di Giovanni Paolo II hanno sviluppato questo specifico magistero. E la sostanza, ha affermato Benedetto XVI citando la seconda delle due Encicliche di Papa Wojtyla, è che “la Chiesa non ha mai smesso di considerare i problemi del lavoro all’interno di una questione sociale” che “condiziona” singoli e famiglie e che chiede sia affrontata con l’arma della solidarietà:

“Per superare la crisi economica e sociale che stiamo vivendo, sappiamo che occorre uno sforzo libero e responsabile da parte di tutti; è necessario, cioè, superare gli interessi particolaristici e di settore, così da affrontare insieme ed uniti le difficoltà che investono ogni ambito della società, in modo speciale il mondo del lavoro. Mai come oggi si avverte una tale urgenza; le difficoltà che travagliano il mondo del lavoro spingono ad una effettiva e più serrata concertazione tra le molteplici e diverse componenti della società”.

Del resto, ha osservato il Papa, il “richiamo alla collaborazione” - antico quanto la Bibbia - acquista un senso particolare nei momenti difficili:

“L’auspicio è quindi che dall’attuale crisi mondiale scaturisca la volontà comune chi dai vita a una nuova cultura della solidarietà e della partecipazione responsabile, condizioni indispensabili per costruire insieme l’avvenire del nostro pianeta”.

Ricordando come le più recenti Encicliche sociali avevano riconosciuto “il ruolo e l’importanza strategica dei sindacati”, Benedetto XVI ha concluso rivolgendo alla Cisl questa esortazione:

“Il mondo ha bisogno di persone che si dedichino con disinteresse alla causa del lavoro nel pieno rispetto della dignità umana e del bene comune. La Chiesa, che apprezza il ruolo fondamentale dei sindacati, vi è vicina oggi come ieri, ed è pronta ad aiutarvi, perché possiate adempiere al meglio il vostro compito nella società”.

© Copyright Radio Vaticana

Il Papa alla Cisl: "Per superare la crisi economica e sociale occorre superare gli interessi particolaristici e di settore"

Clicca qui per leggere il discorso del Santo Padre alla Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL).

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BENEDETTO XVI REVOCA LA SCOMUNICA AI VESCOVI LEFEBVRIANI: LO SPECIALE DEL BLOG

Su segnalazione di Syriacus, che ringraziamo di cuore, leggiamo:

Negatori della Shoah con artigli di carta

di Franco Cardini

Le esternazioni di monsignor Williamson, immediatamente stigmatizzate con fermezza sia dalla Santa Sede, sia dalla stessa comunità lefebvriana di cui egli fa parte, hanno ovviamente ricondotto in primo piano le polemiche relative ai cosiddetti «revisionismo» e «negazionismo».
Al riguardo, le voci che si sono levate sono state particolarmente severe. La deputata Fiamma Nirenstein ha affermato che «il negazionismo copre un antisemitismo genocida» che «non è più un vezzo da intellettuali, ma una minaccia guidata in primis dall’Iran di Ahmadinejad (che sta costruendo l’atomica)», e che «vuole distruggere il popolo ebraico» (in «Liberal» del 29.1). Da parte sua Gad Lerner ha chiamato in causa, a proposito di Williamson, l’intera Chiesa cattolica che si ostina a distinguere tra l’antigiudaismo cristiano e l’antisemitismo nazista, sottolineando come il vescovo tradizionalista sia «il prodotto degenere di una corrente di pensiero più vasta» («la Repubblica», 29.1).
Sono solo due voci, che cito non solo perché appartengono a due ebrei, ma anche perché si tratta di miei vecchi amici personali. Dissento quindi da loro totalmente, ma cordialmente.

E noto con dispiacere che i cattolici hanno detto cose ancora più gravi e più inesatte, fino a giungere a conclusioni deliranti: un vescovo tedesco ha potuto spingersi fino ad accusare il collega Williamson di «blasfemia».

Ora, che un prelato esprima pareri storici impegnativi e lo faccia molto alla leggera, è un conto (difatti il Vaticano gli ha opportunamente imposto di tacere); che così facendo addirittura bestemmi, è comunque improponibile.
Voglio dire che non bisogna perdere la calma. Ormai da anni assistiamo a una pericolosa confusione di piani e di giudizi. Le parole «revisionismo» e «negazionismo» sono divenute due deterrenti, usando i quali si sono addirittura messi insieme personaggi molto eterogenei tra loro: quali Ernst Nolte, uno storico illustre; David Irving, personalità strana e inquietante ma studioso di valore e autore si ricerche apprezzate (attualmente è in prigione in Austria per un delitto d’opinione); e tipi come Robert Faurisson, che possono essere anche sospettati di monomanìa ma ha fatto sul sistema concentrazionario nazista rilievi interessanti, per quanto inquinati poi da una poco coerente assoluzione globale dell’hitlerismo dall’accusa di genocidio.
Ora, debbono esser chiare alcune cose.
Primo: la shoah è una realtà immensa, spaventosa e incontrovertibile, comprovata da documenti e testimonianze che possono senza dubbio venir riconsiderati e all’interno dei quali possono anche trovarsi errori e perfino falsificazioni, che tuttavia non sposterebbero praticamente di nulla le enormi responsabilità di chi tali delitti concepì e attuò e di chi ne fu esecutore o complice.
Secondo: la shoah può e dev’essere oggetto di studio attento e spregiudicato come qualunque altro avvenimento storico; e se nel corso delle ricerche avvenga d’imbattersi in errori, falsificazioni, valutazioni inesatte sul numero delle vittime o altro, è dovere degli studiosi segnalarlo e della società civile accogliere criticamente tali rilievi.
Terzo: dando per scontato che qualche fanatico antisemita possa travestirsi da studioso per screditare la causa ebraica o quella israeliana togliendo credito alla shoah, la comunità dei ricercatori professionisti ha tutti gli strumenti per smascherarlo.
Quarto: premesso il punto precedente, nessuno può essere autorizzato a istituire un processo alle intenzioni contro chi s’impegni nello studio della shoah dando per scontato che questo o quell’eventuale ridimensionamento di alcuni episodi che la riguardano sia frutto di disonestà e di preconcetto antisemitismo. Quinto: è inaccettabile, nonostante sia già accaduto in alcuni paesi, che si stabilisca per legge un’interpretazione «canonica» e «definitiva» della storia, dichiarando crimine qualunque deroga da essa; ciò corrisponde a un intollerabile attentato alla libertà di pensiero (in seguito a queste leggi aberranti si sono arrestati in Austria David Irving e in Germania non solo il sessantasettenne Ernst Zuendel, ma perfino la sua legale, avvocatessa Sylvia Stolz).

Ma a questo punto si profila una realtà allarmante. Lo si chiami come si vuole, ormai il «revisionismo» sta facendo breccia; cresce il numero di chi non osa ammetterlo, ma viene impressionato e turbato da certe argomentazioni. E sapete perché? Per il fatto che se ne perseguitano i sostenitori e che li si condanna senza dar loro il diritto di parlare e senza controbattere.

Ma in questo modo si crea nell’opinione pubblica la crescente sensazione che se ne abbia paura, e che essi stiano dicendo cose vere: e questo sì può costituire la premessa a una nuova ondata di pregiudizio antisemita.

Io credo che «revisionismo» e «negazionismo» siano tigri di carta.

A me non interessa che il vescovo Williamson subisca sanzioni o condanne. Desidero che mi dimostri quanto afferma con prove documentarie certe, se può. Lo faccia davanti a una commissione di esperti scelta con criteri sicuri. O taccia e si vergogni. Questo è il solo modo per cancellare per sempre i calunniatori della shoah. Israele e il mondo ebraico hanno tutto l’interesse a imporre questo confronto: che sarebbe, anche massmedialmente, un formidabile spettacolo. Che cosa stiamo aspettando?

© Copyright Gazzetta del Mezzogiorno, 31 gennaio 2009 consultabile online anche qui.

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Il vescovo lefebvriano che aveva negato l'Olocausto

Williamson chiede scusa al Papa

Chi nega la Shoah non sa nulla né di Dio né della Croce di Cristo. Questa negazione è tanto più grave se proviene da un vescovo o da un sacerdote, sia esso unito o no a Roma.

Rodolfo Lorenzoni

La stoccata della Chiesa contro alcuni esponenti lefebvriani e le loro idee revisioniste è netta e dai toni definitivi: si incarica di pronunciarla il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, in una nota ufficiale diramata ieri dai microfoni di Radio Vaticana, organo ufficiale della Santa Sede.
E la prima, importante reazione dei lefebvriani giunge nello stesso giorno del monito vaticano: arrivano infatti le scuse di Richard Williamson, il vescovo della Fraternità di San Pio X le cui dichiarazioni negazioniste avevano generato la cascata di polemiche con il Vaticano e con le Comunità ebraiche.

Chiede perdono al Papa, il religioso britannico, e lo fa inviando una lettera al prefetto per la Congregazione del Clero, il cardinale Dario Castrillon Hoyos.
«In mezzo a questa tremenda bufera causata dai miei commenti imprudenti alla tv svedese - scrive Williamson - le chiedo di accettare con il dovuto rispetto la mia sincera manifestazione di rammarico per gli inutili problemi e angustie che ho causato al Santo Padre». Una personale espressione di ossequio per il Pontefice, per la Santa Sede e per la sua autorità, che assume comunque un rilevante significato politico.
Le severe parole di Lombardi a Radio Vaticana avevano d'altra parte ripercorso la chiarissima coerenza del magistero di Benedetto XVI rispetto ai temi dell'Olocausto: «Il Papa negli scorsi giorni ha ripreso la profonda meditazione del suo discorso nel campo di concentramento di Auschwitz - ha detto il responsabile della comunicazione vaticana - non solo condannando ogni forma di oblio e di negazione della tragedia dello sterminio di sei milioni di ebrei, ma anche richiamando i drammatici interrogativi che questi eventi pongono alla coscienza di ogni uomo e di ogni credente».
Perciò Benedetto non ha mai, tantomeno in questi giorni, esitato a manifestare la sua totale avversione nei confronti di chiunque, come ha fatto Williamson, osi mettere in dubbio l'Olocausto e la sua immane tragicità.
Oltre alle scuse del prelato lefebvriano, dalla Fraternità di San Pio X sono poi pervenuti altri segnali di distensione, come l'annullamento del raduno nazionale in programma oggi a Rimini, allo scopo di evitare ulteriori questioni e confusioni.
Di certo, stando a quanto ribadito nei giorni scorsi, gli ultra-tradizionalisti non sono però disposti a rinunciare alla loro opposizione al Concilio Vaticano II, le cui acquisizioni sono invece ritenute indiscutibili da Benedetto XVI.

© Copyright Il Tempo, 31 gennaio 2009 consultabile online anche qui.

Buchi comunicativi della Santa Sede: il durisso commento di John Allen

Su segnalazione di Mariateresa leggiamo la durissima presa di posizione di John Allen sul buco comunicativo della Santa Sede. In questa analisi, non completamente condivisibile ma onesta, si afferma a chiare lettere che la sala stampa non ha strategie e, peggio, non sa lavorare. E' una presa di posizione dura, ma occorre confrontarsi con essa.

The Lefebvrite case: What was the Vatican thinking?

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BENEDETTO XVI REVOCA LA SCOMUNICA AI VESCOVI LEFEBVRIANI: LO SPECIALE DEL BLOG

Cari amici, non ho visto la puntata della trasmissione di Chiambretti (scusate ma non so nemmeno il titolo) perche' in genere non amo i varieta' e soprattutto non amo il conduttore :-)
Comunque, grazie ad alcuni post che ho letto nel blog e ad un'amica che mi ha raccontato i retroscena, posso tranquillamente affermare che si e' trattato di uno spettacolo quantomeno discutibile.
Io non so se fosse tutto preparato o se davvero Milingo sia stato umiliato e deriso in diretta televisiva, ma una cosa e' certa: vedere un anziato signore, vestito da vescovo, pur se scomunicato latae sententiae (per Prosperi: automaticamente), trattato come una macchietta non puo' che suscitare profonda tristezza in noi cattolici.
Forse Milingo si aspettava che flotte di fedeli lo seguissero lasciando la Chiesa dopo il suo scisma e si e' reso conto che non e' cosi', pero' la ricerca di visibilita' non giustifica ne' lui ne' la televisione a mettere in scena uno spettacolo del genere.
R.

Vi segnalo
:

MILINGO, CHIAMBRETTI E LA TV SPAZZATURA

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Aldo Cerefogli

Chi si intende di cose religiose sa che in questo periodo la Chiesa ha celebrato la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Chi è digiuno di questi argomenti non sa forse con precisione di che cosa si tratti. In sostanza: i cattolici da decenni si fanno promotori di unità con le varie confessioni cristiane (battisti, luterani, ortodossi, anglicani, e chi più ne ha più ne metta). Si prega per più di una settimana perché scismi, divisioni e altre lacerazioni dell'unica Chiesa vengano composte in unità.

Una nobile causa, non c'è che dire. Un solo ovile, un solo pastore: sono parole di Cristo.

Attenzione però a non confondere: l'unità dei cristiani non è l'unificazione con altre religioni: buddismo, ebraismo, islamismo e quant'altro la fantasia e la storia umane ci offrono. Questo è, tecnicamente parlando, l'ecumenismo: altra cosa per la quale, peraltro, l'impegno dei cattolici è noto.
Sia l'unità dei cristiani sia l'ecumenismo sono temi attuali e scottanti. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono esempi lampanti di impegno costante e tenace in questo senso, con disponibilità e pazienza. Chi conosce la storia delle religioni del nostro tempo sa che con questi Papi sono stati fatti, rispetto al passato, veri passi da gigante.
Quest'anno ricorrono anche, proprio il 25 gennaio, alla conclusione della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, i cinquant'anni dalla indizione del Concilio Vaticano II da parte di Giovanni XXIII. Insomma, eventi e celebrazioni si accavallano mostrando come la Chiesa ed il mondo camminano.

La sorpresa è che c'è stato anche un grande e concreto passo in avanti.

I cosiddetti lefebvriani, cioè i cattolici tradizionalisti che si oppongono alla moderna liturgia e a certe applicazioni del Concilio Vaticano II, non sono più guidati da vescovi scomunicati, bensì da vescovi perdonati e riaccolti in seno alla cattolicità. Sì, perché la scomunica scattata automaticamente nel 1988 riguardava soltanto quei (pochi) vescovi che avevano celebrato o ricevuto l'ordinazione episcopale senza essere in comunione con il Papa Giovanni Paolo II. Preti e fedeli non sono mai stati scomunicati, questo va ricordato.
Dunque un dono da parte del Papa Benedetto, ma anche una conquista dei fedeli tradizionalisti, che al suono di un milione e settecentomila rosari alla Madonna hanno ottenuto la grazia del perdono dal Vaticano. Il Papa si è mosso perché è stata formulata precisa supplica di perdono e riammissione. 4

Certamente resta ancora molto cammino da fare, restano delusioni da sanare e incomprensioni da chiarire, ma la strada del dialogo, che il coltissimo Benedetto XVI sta portando avanti con tutti nonostante le difficoltà - basti citare laici, musulmani ed ebrei - non permette stasi e ritardi.

Né permette deviazioni estemporanee. Non so bene che cosa sia successo nella mente di quel vescovo che, invece di esultare perché non più scomunicato (i cattolici credono alla scomunica, figuriamoci i tradizionalisti), si è dato al negazionismo. La qual cosa, se è sempre assurda e fuori luogo, lo era certamente in un momento delicato come questo.

Che poi certi personaggi televisivi italiani e certi esponenti del mondo ebraico si siano messi a gridare al papa antiebraico e alla Chiesa persecutrice, è cosa da far ridere i polli. Ma come sempre, la calunnia è un venticello....

Il Superiore stesso dei lefebvriani, persona notoriamente politically non correct, si è affrettato a prendere le distanze dalle affermazioni del suo confratello negazionista e gli ha imposto il silenzio sull'argomento. Insomma, le cose umane sono difficili e i terreni minati sono tanti e restano tali. Nostro compito di esseri pensanti è cercare notizie autentiche e ricostruire la verità dei fatti e delle posizioni. Buon lavoro a chi ci sta.

Comunque, la Chiesa gode di ritrovata pace e gioisce per la riammissione di alcuni suoi figli. I lefebvriani sono sulla buona strada, ora aspettiamo segni di altrettanto desiderio di ritorno da parte degli altri cristiani. I primi in classifica sono gli anglicani, che sono ancora divisi dalla Chiesa per antica scelta di Enrico VIII e ora potrebbero sanare la ferita ritornando a casa. Poi i vari ortodossi (copti, russi, armeni, rumeni...), che sono divisi da Roma solo a livello disciplinare. Sarà certo più dura con i seguaci dei vari riformatori (Lutero, Calvino e altri pensatori), che alla divisione antiromana uniscono vere e proprie divergenze dottrinali e sacramentali.
Chi vivrà vedrà. Passo dopo passo, i fedeli di Cristo ricorderanno quelle sue parole rivolte ad un certo Simon Pietro: «Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa» e toglieranno pietre e pietruzze d'inciampo messe per strada dagli uomini o - per chi crede - dal Maligno.

© Copyright Il Sussidiario, 31 gennaio 2009