giovedì 16 aprile 2009

Il 16 aprile 1209 Papa Innocenzo III approvò la forma di vita dei frati minori. L'identità di Francesco tra storia e agiografia (Osservatore Romano)


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San Bonaventura, " Vita di San Francesco - Legenda maior", Paoline Edizioni 2009...clicca qui.

Il 16 aprile 1209 Papa Innocenzo III approvò la forma di vita dei frati minori

L'identità di Francesco tra storia e agiografia

In occasione dell'ottavo centenario della fondazione dell'ordine francescano è stata pubblicata una nuova traduzione della Vita di san Francesco (Milano, Edizioni Paoline, 2009, pagine 368, euro 29) - la cosiddetta Legenda maior - di san Bonaventura da Bagnoregio. Pubblichiamo un estratto dell'introduzione del curatore del volume.

di Pietro Messa

È stato notato come, dopo il modernismo, la storia religiosa abbia cominciato a essere studiata secondo parametri simili a quelli della storia profana, venendo svincolata, pertanto, dai legami con la historia salutis. In questo modo, ad esempio, Francesco ha subito una sorta di "decattolicizzazione" ed è stato sottoposto alla critica rigorosa dell'analisi storica, la quale, tuttavia, non è giunta al superamento del mito, ma anzi la "questione francescana" ha rappresentato un esempio piuttosto raro in cui la ricerca storica ha contribuito alla formazione di un vero e proprio mito contemporaneo.
Di fronte a queste osservazioni, che costringono a ripensare il rapporto tra storia e agiografia, diviene inevitabile porsi anche altri quesiti: chi decide dove finisce la historia salutis - intesa come lettura provvidenziale degli avvenimenti - e comincia la storia? E ancora, chi decide dove debba collocarsi il confine tra mito e realtà? Similmente, sempre circa l'approccio che abbiamo definito "decattolicizzato" con Francesco d'Assisi, si deve quanto meno ricordare che il contesto in cui si colloca la sua vicenda è quello cristiano cattolico, come mostra, ad esempio, l'importanza della liturgia nella vicenda della fraternità minoritica. Gli studi moderni hanno certamente contribuito a creare il mito di una determinata immagine di san Francesco, come è avvenuto, d'altronde, anche per altri personaggi, come ad esempio l'imperatore Federico ii, spesso raffigurato come un antesignano dell'idea di tolleranza.
In generale, riguardo all'agiografia, compresa quella inerente a san Francesco, si può affermare che la vera questione non sia tanto quella di "decattolicizzare" o "deteologizzare" per giungere a una illusoria purezza profana/secolare, quanto quella di essere rispettosi nei confronti dell'altro - che sia persona o fonte, ossia opera di una persona - relazionandosi con esso, per quanto ci è possibile, nella sua alterità, che nel nostro caso vive e sceglie una visione teologica della realtà. Tale questione, tra l'altro, è stata messa in evidenza da alcuni interventi di Claudio Leonardi circa la vicenda francescana.
Nella storiografia francescana, a cominciare da Sabatier, un dato assodato, e ribadito con forza da Giovanni Miccoli, è che per ricostruire la vicenda della prima fraternitas minoritica, "unico punto fermo restano gli scritti di Francesco". In conseguenza di una tale affermazione, secondo alcuni tutto ciò che ci è trasmesso da altre fonti può essere ritenuto inaffidabile e quindi non degno di attenzione. Da tale posizione, tuttavia, mette in guardia lo stesso Miccoli.
Se tale assunto è almeno in parte reso necessario dal rigore della critica storica, non si deve però dimenticare che "la deformazione è sempre parziale, perché la ricostruzione, il racconto, l'episodio puntuale sono inevitabilmente formati da materiali preesistenti, che hanno avuto vita, consistenza e significato propri". Se questi ha avuto l'accortezza di affermare che ogni deformazione agiografica è sempre parziale, per cui rimane senz'altro possibile passare dall'agiografia alla storia, Raimondo Michetti ha messo in evidenza come anche l'agiografia sia forzata - o deformata, se si vuole - dalla storia. Come già detto, ciò che senz'altro va riconosciuto come significativa novità nell'opera di questo studioso è la relativizzazione dell'influenza "deformante" del genere agiografico; egli attribuisce, pertanto, una maggior attendibilità storica a narrazioni generalmente considerate di scarso rilievo per la ricostruzione della vicenda storica di frate Francesco d'Assisi, dal momento che in esse risulta predominante l'elemento agiografico. Secondo Michetti è "come se la memoria storica premesse sulla maglia agiografica per trasformarla". Nel tentativo di "recuperare tale spessore storico dell'opera", egli giunge a volte a conclusioni diverse da quelle che hanno fatto scuola negli ultimi anni, quali quelle di Miccoli. Michetti evidenzia, in particolare, l'articolazione del binomio storia-agiografia, e se la preoccupazione del primo era quella di trovare i modi per passare "dall'agiografia alla storia", cercando di decifrare i modi con cui l'agiografia ha deformato la storia, egli, al contrario, cerca anzitutto di vedere come la storia abbia "forzato" l'agiografia, costringendola a cambiamenti certamente significativi. Ciò non impedisce, tuttavia, a quest'ultimo di concludere il suo volume riconoscendo frate Tommaso da Celano, in quanto autore della Vita del beato Francesco, come "l'inventore del san Francesco d'Assisi". In questo modo si torna nuovamente al problema del rapporto tra storia e agiografia, tra storia e costruzione della memoria.
Si deve tener conto, infine, che in autori diversi sono riscontrabili differenti inclinazioni al genere agiografico, per cui in alcuni tale genere letterario ha avuto un maggior peso deformante, in altri minore.
Luigi Canetti, a proposito della ricostruzione della vicenda di san Domenico, affronta ed evidenzia concetti tipo costruzione della memoria, invenzione della memoria e così via: essi, trasportati nell'ambito degli studi francescani, portano a distinguere tra Francesco di Pietro di Bernardone, frate Francesco d'Assisi e san Francesco canonizzato. Estremizzando tali concetti, di per sé senz'altro validi, si può giungere persino a una grossolana distinzione.
A questo proposito, nel 2003, Joseph Ratzinger, in occasione del centenario della Pontificia Commissione Biblica, riferendosi allo studioso di Sacra Scrittura Friedrich Wilhelm Maier, ebbe a dire che "era scontata per lui l'attendibilità e la inequivocabilità del metodo storico; non lo sfiorava neppure l'idea che anche nel metodo storico entrassero in gioco dei presupposti filosofici e che potesse diventare necessaria una riflessione sulle implicazioni filosofiche del metodo storico. A lui, come a molti suoi colleghi, la filosofia sembrava un elemento di disturbo, qualcosa che poteva inquinare la pura oggettività storica. Non gli si prospettava la questione ermeneutica, cioè non si chiedeva in che misura l'orizzonte di chi domanda determini l'accesso al testo, rendendo necessario chiarire, anzitutto, qual sia il modo giusto di domandare e in qual modo sia possibile purificare il proprio domandare". Continuando, affermava: "La mera oggettività del metodo storico non esiste. È semplicemente impossibile escludere del tutto la filosofia, ovvero la precomprensione ermeneutica".
Tale questione, tra l'altro, era già stata evidenziata dal teologo Henri de Lubac, e aveva sollevato la reazione di Gian Luca Potestà nella recensione da questi scritta nel 1984 sui due volumi dedicati da de Lubac alla posterità spirituale di Gioacchino da Fiore. De Lubac rispose indirettamente a Potestà in una lettera indirizzata nello stesso 1984 all'amico Giovanni Benedetti - vescovo di Foligno, che gli aveva trasmesso il testo della suddetta recensione - rifiutando l'accusa di aver falsificato l'interpretazione di Gioacchino e affermando di non riuscire a scorgere l'idea preconcetta che secondo Potestà avrebbe mosso il suo lavoro. Monsignor Benedetti, commentando la lettera di risposta di Henri de Lubac, citò ad esempio testi di vari autori per dimostrare come "la storia sa che nessun metodo è innocente"; infatti "lo storico stesso, che ricostruisce nel suo discorso l'intelligibilità del passato, lo fa meno in qualità di archivista che di ermeneuta. Né l'uno né l'altro sono neutri. I suoi lettori non lo saranno di più". Continuando, sostenne che "d'altra parte, lo storico non può prescindere dal problema della soggettività, è coinvolto anche lui nella storia che racconta"; quindi "per fare un'autentica "storia della teologia" non si dovrebbe tener presente solo la scienza storica allo stato puro, se così si può dire. Si chiederebbe troppo allo storico se gli si domandasse di tener presente nella sua ricerca anche la teologia, quando essa ne è l'oggetto, obbedendo alle leggi che questa comporta?".
Il problema del rapporto tra storia e teologia - nel nostro caso tra storia e agiografia - finisce quindi per risolversi nella problematica che connette la storia con l'ermeneutica.
Ritornare alle fonti, rendere accessibili dei testi significa anzitutto realizzarne edizioni critiche, così che diventino documenti affidabili e fruibili per qualsiasi ricercatore. Tuttavia, qualcuno ha definito l'opera di edizione, naturalmente semplificando e usando un linguaggio fatto di slogan, un'operazione da veri e propri "scanner viventi", atta solo a trascrivere testimonianze del passato. Eppure il testo è importante, e in palese conseguenza di ciò, circa la filologia Pierre Judet de La Combe nel Dizionario di scienze storiche scrive: "La filologia è opposta alla filosofia, che dà i principi di una conoscenza sempre aperta: scienza storica generale, la filologia è (ri)conoscimento di una conoscenza già prodotta nel passato". Di conseguenza, lo studio dei testi - che comporta l'utilizzo di discipline che ormai nessuno ritiene più accessorie della storia, quali la codicologia, la paleografia, la diplomatica, la sfragistica, la filologia e così via - è essenziale per cogliere lo spirito e lo spirito è ciò che dà senso/valore/bellezza al testo. Serve quindi un metodo scientifico, basato sulle scienze proprie dell'analisi filologica, ma sempre attento anche all'ermeneutica e all'epistemologia sottostante.
Il rapporto tra storia e teologia è invece fondamentale qualora si prenda in considerazione un'opera come la vita di san Francesco scritta da Bonaventura, e ciò semplicemente perché tale dialettica ritorna continuamente quando si parla di santi, in riferimento sia ai loro scritti sia alle loro vite. A questo proposito sono interessanti alcune osservazioni inerenti al passaggio "dalla storia alla teologia" che Giuseppe Betori ha esposto nelle conclusioni a un convegno inerente al Liber di Angela da Foligno, una penitente francescana il cui pensiero è debitore anche della teologia di Bonaventura: "Non è vero forse che proprio la separazione tra fatti e dottrina, tra storia e teologia, tra contesto e testo è ciò che conduce a due assurdi: quello di ridurre Angela - nel nostro caso san Francesco - a un trattato mistico e quello di annullarne l'originalità nella temperie spirituale del suo tempo? Qui proprio dall'esperienza dell'esegesi biblica può venire un decisivo aiuto: gli ultimi due secoli della sua storia non insegnano forse come sia impossibile separare il Gesù della storia dal Cristo della fede, se non si vuole rendere irrilevante il primo e inconsistente il secondo?".

(©L'Osservatore Romano - 16 aprile 2009)

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