giovedì 7 maggio 2009

Il Papa in Terra Santa: «Per la pace e l'unità» (Bobbio)


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Il Papa in Terra Santa
«Per la pace e l'unità»


Domani la partenza, la prima tappa in Giordania
Che sarà additata come esempio di convivenza


nostro servizio

Alberto Bobbio

Città Del Vaticano

Il Papa parte domani per la Terra Santa, viaggio in tre Stati per la Santa Sede, anche se solo due, Giordania e Israele, lo sono, mentre i Territori sottoposti all'Autorità palestinese non si possono considerare per ora uno Stato.
Eppure questa è la posizione del Vaticano, ribadita anche ieri da Benedetto XVI nel messaggio di saluto che ha inviato ai tre popoli, letto al termine dell'udienza generale.
È un viaggio che serve a infondere coraggio per costruire quei ponti che già Giovanni Paolo II aveva invocato.
Nel messaggio, Ratzinger ha spiegato ai popoli che lo aspettano che viene per condividere «aspirazioni e speranze», come pure «le sofferenze e le vostre battaglie». Ha auspicato che la visita porti «molti frutti per la vita spirituale e civile di tutti quelli che abitano in Terra Santa», osservando che tutti «siamo determinati nel nostro desiderio e negli sforzi per la pace» e per «l'unità».
Il Custode di Terra Santa, il padre francescano bergamasco Pierbattista Pizzaballa, ha confermato alla «Radio Vaticana» che i cristiani attendono con ansia il Papa e non temono strumentalizzazioni: «In Israele sono sempre facilissime, ma se uno dovesse fare tutti questi calcoli, alla fine non farebbe niente».
La missione di Ratzinger è difficile.
È una missione religiosa, per incoraggiare i cristiani. È la terza volta che un Papa va in Terra Santa. C'era stato Paolo VI nel 1964, con la convinzione che il vento nuovo del Concilio, del dialogo tra le religioni potesse segnare il destino del Medio Oriente.
Non è stato così, nonostante gli sforzi di molti.
Wojtyla riuscì ad andare Gerusalemme solo nel 2000, anno del Giubileo per la nascita di Cristo.
Anche lui cercò di infondere speranza e di sostenere i processi di pace. Di lì a poco le cose precipitarono di nuovo con la ennesima Intifada, quella più tragica.
Da domani e per otto giorni Benedetto XVI tornerà in Medio Oriente. Il conflitto a Gaza è appena finito, il nuovo governo israeliano teme che faccia carta straccia degli accordi di Annapolis e di ogni tentativo di road map, che almeno garantivano una sopravvivenza, seppur precaria, di dialogo e di prospettive politiche.
Ratzinger, in pieno conflitto di Gaza, aveva invocato «uomini nuovi» per andare al di là dei miti e dei muri che in Medio Oriente e tra Israele e Palestina tagliano cuori, strade e città, muri ideologici e a volte religiosi.
Uomini nuovi, convinti della pace nella giustizia e nella sicurezza per tutti i popoli presenti, tuttavia non sembrano essersi affacciati sulla scena, dopo lo sconquasso di Gaza.
Il viaggio di Benedetto XVI, insieme alle aspettative internazionali per la nuova politica di Barack Obama, potrebbe essere un tassello di nuove prospettive.
La posizione della Santa Sede resta la stessa, e cioè due Stati per due popoli, nel rispetto e nella sicurezza reciproca. Accanto c'è la questione dei Luoghi Santi, per i quali la Santa Sede continua a ritenere necessarie forme di garanzie internazionali.
Poi c'è il tema del dialogo interreligioso, con ebrei e musulmani, e quello ecumenico con le altre Chiese cristiane. Il primo è naturalmente il più delicato. Il Papa visiterà la moschea di re Hussein ad Amman e salirà alla Cupola della Roccia a Gerusalemme, terzo luogo santo per l'Islam. Si tratta del segnale più importante dei buoni rapporti tra Islam e Chiesa cattolica.
Anche con gli ebrei i rapporti sono buoni, anche se c'è sempre in agguato la questione dei presunti silenzi di Pio XII e ci sono molti contenziosi aperti sul piano bilaterale. Il viaggio di Benedetto XVI distingue nettamente rapporti diplomatici e rapporti religiosi.
L'aspettativa è molto alta per entrambi. Sul piano diplomatico invece già si è stabilito che la discussione attorno alla questione dei visti per il personale religioso e sui problemi fiscali della Chiesa in Israele andrà avanti a lungo.
Con l'Autorità palestinese i problemi sono minori, ma anche qui le polemiche non mancheranno. Israele ha cercato e ottenuto di far sparire lo sky line del Muro dal palco papale durante la tappa a Betlemme, ma la tragica situazione dei palestinesi resta.
Più facile è la tappa in Giordania, dove l'Islam è moderato e dove i cristiani hanno un ruolo definito, merito del patto stretto con re Hussein. In termini economici e politici il potere dei cristiani ad Amman è ben superiore alla loro piccola percentuale tra i giordani. E questa positiva convivenza sarà sicuramente indicata dal Papa come un esempio.

© Copyright Eco di Bergamo, 7 maggio 2009

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