venerdì 8 maggio 2009
Il rabbino Rosen: ebrei e cristiani, più forza all’amicizia (Geninazzi)
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Su segnalazione di Alessia leggiamo questa intervista a Rosen:
INTERVISTA
Il rabbino Rosen: ebrei e cristiani, più forza all’amicizia
Luigi Geninazzi
Conosce molto bene Joseph Ratzinger avendolo incontrato più volte anche prima che diventasse Papa. David Rosen, 57 anni, Gran Rabbino e presidente del "Comitato ebraico internazionale per le relazioni inter-religiose", è una delle personalità più impegnate nel dialogo con la Chiesa cattolica, già membro della commissione bilaterale che ha portato alla normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Israele e Santa Sede nel 1993. Ecco il suo giudizio sull’imminente visita di Benedetto XVI in Terra Santa.
Rabbino Rosen, cosa si aspetta da questo viaggio?
Le mie aspettative coincidono con quelle che il Papa ha manifestato nell’incontro con una delegazione del Gran Rabbinato d’Israele ad inizio marzo. In quell’occasione Benedetto XVI ha espresso la speranza che la sua visita in Terra Santa rafforzi i rapporti tra cattolici ed ebrei e promuova la pace nella regione. Certamente il Papa non viene come mediatore politico ma in quanto autorità morale potrà dare un contributo decisivo ad uscire da una mentalità che ci tiene tutti prigionieri. E’ quella che vede il rapporto tra israeliani e palestinesi come un gioco a somma zero: ciò che è bene per voi è male per noi, e viceversa. Invece dobbiamo iniziare a volere il bene non solo di noi stessi ma anche degli altri. Per quanto riguarda invece il primo aspetto sono convinto che da questa visita trarrà grande giovamento il processo storico di riconciliazione tra Chiesa cattolica ed ebrei.
Ci saranno significativi passi in avanti?
Sia chiaro: tutto è già stato fatto con la storica visita di Giovanni Paolo II nel 2000. Il gesto di papa Wojtyla che infila nel Muro Occidentale un foglietto con la richiesta di perdono ha avuto un tale impatto emotivo che ha cambiato l’immagine negativa della Chiesa cattolica fissata da secoli negli occhi degli ebrei. Occorre però non solo giungere ad un risultato ma anche mantenerlo. Benedetto XVI in questo viaggio ricalcherà le orme di Giovanni Paolo II. Mostrerà al mondo che non c’è alternativa allo spirito d’amicizia e di fraternità tra cristiani ed ebrei.
Intende dire che oggi è necessario ribadire il concetto?
Guardi, chi come me è coinvolto nel dialogo con la Chiesa cattolica sa bene che non c’è stato alcun passo indietro nel cammino di riconciliazione. Ma l’opinione pubblica vede la realtà tramite i titoli dei giornali ed ha bisogno di riscoprire il genuino impegno di questo Pontefice a favore del dialogo con gli ebrei. Scriveranno che la sua visita in Israele è servita a riparare i danni, anche se in realtà noi sappiamo bene che non c’è nulla da aggiustare.
Ma su questo punto le accuse più dure nei confronti di Benedetto XVI sono venute dal mondo ebraico. Mi scusi, ma anche lei ha criticato il Papa dopo il caso Williamson (il vescovo lefebvriano negazionista la cui scomunica era stata revocata da papa Ratzinger, ndr)...
Per me è stato uno choc terribile. Ho ricevuto molte telefonate di gente che mi chiedeva ironicamente: quanti anni hai sprecato nel dialogare con il Vaticano? Vergognati, hai perso la faccia! Poi, finalmente, si è chiarito che la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani non comportava il loro reintegro nella Chiesa cattolica. Come ha spiegato lo stesso Benedetto XVI si è trattato di un errore di comunicazione. Vorrei ricordarle che io ed altri rabbini siamo stato i primi a dichiararci completamente soddisfatti delle sue spiegazioni.
L’impressione è che in molti ambienti ebraici permanga una buona dose di diffidenza, se non addirittura d’ostilità, nei riguardi della Chiesa cattolica. È d’accordo?
Non faccio fatica ad ammettere che a volte le reazioni di alcuni miei colleghi in Italia e in Germania sono esagerate. Non basta parlare di riconciliazione, occorre un grande amore fraterno per superare antiche diffidenze.
Lei ha scritto che molti cattolici non riconoscono ancora il legame essenziale tra identità ebraica e Stato d’Israele...
La pensa così anche Joseph Ratzinger. Quando lo incontrai la prima volta vent’anni fa, proprio qui a Gerusalemme, gli dissi che per noi avere una patria in Israele è un segno della fedeltà divina. Mi rispose: lo so, ma noi nella Chiesa non abbiamo ancora capito pienamente il significato di questo fatto.
Dunque lo Stato d’Israele va sempre e comunque difeso?
Attenzione, il riconoscimento di questo legame fondamentale non vuol dire che bisogna sostenere tutto quello che fa Israele. La realtà politica può essere criticata. Anche se noi ebrei abbiamo sviluppato una specie d’antenna e sappiamo distinguere fra le critiche che nascono dalla stima e dall’amore e quelle che sono animate dall’odio e dal disprezzo. Sono sicuro che se Benedetto XVI avanzerà qualche critica sarà perché ci vuole bene.
© Copyright Avvenire, 8 maggio 2009 consultabile online anche qui.
Si', ma se dovesse criticare qualcosa o qualcuno...apriti Cielo!
R.
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