domenica 16 agosto 2009

La visita di Benedetto XVI: Viterbo la «città dei Papi» (Osservatore Romano)


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Viterbo la «città dei Papi»

di Mario Ponzi

Viterbo, la "Città dei Papi", si appresta a ricevere di nuovo un Successore di Pietro tra le sue vetuste mura. Come annunciato Benedetto XVI sarà nella cittadina dell'alto Lazio domenica 6 settembre prossimo.
Per i viterbesi sarà anche l'occasione per rivisitare tutta la loro millenaria e antichissima storia etrusca, romana e cristiana. E di rivisitazione si tratterà perché in realtà Viterbo ha, sino a oggi, vissuto più intrisa del suo passato, che le dà in un certo senso equilibrio, che non protesa verso un futuro, poco roseo e attraente come può esserlo quello delle zone agricole a piccola proprietà contadina.
L'agro viterbese si estende tra l'Amiata e il Cimino, le due grandi montagne che gli etruschi consideravano come divinità che impedivano i rovesci atmosferici da nord a sud. Si allarga poi dal Tevere al Tirreno, formando un canalone in cui penetra il sole tutto il giorno, assicurando fertilità al terreno e sano equilibrio alla gente. È il motivo per cui gli Etruschi si fermarono su queste terre, i romani ne fecero una garanzia per l'erario e i Papi vi cercarono rifugio quando Roma divenne per loro incerta e ostile. Hanno tutti lasciato simboli evidenti del passaggio. Ma ciò che rappresenta la sintesi più verace delle tre civiltà è, e rimane l'uomo, l'aborigeno, il viterbese puro sangue. Egli assomma in sé le caratteristiche delle tre culture: l'umanesimo etrusco, la stabilità romana e l'equilibrio cristiano tra virtù naturali e divine.
I tesori più belli della sua umanità il viterbese li custodisce dentro di sé e li conserva gelosamente. Bisogna scavare in profondità, ma con attenzione, nell'anima di ciascuno di loro, foss'anche un pastore dell'alta Maremma ed i tesori saltano fuori. Sono quegli stessi che hanno trovato risonanza nelle opere latine di Virgilio, di Cicerone, di Orazio.
Parlando con i viterbesi ancora oggi sembra di sentir parlare i loro padri, la cui dottrina hanno tradotto in proverbi che sono custoditi come un testo sacro e un sicuro punto di riferimento. Quel che è certo è che la gente dell'alto Lazio ha una grande ricchezza interiore. Forse sarà per questo che di tutti i signori che hanno attraversato la loro storia, ricordano solo i Papi come padri, come benefattori, come pastori attenti e generosi. Tanto che la definizione di Viterbo "Città dei Papi" la si deve non tanto al fatto che ci sia il Palazzo dei Papi, quanto piuttosto al fatto che il viterbese è papalino nell'anima e al Papa ha sempre riservato e manifestato fedeltà in quanto successore di Pietro, qualunque fosse il suo nome. Testimonianza convincente fu l'accoglienza riservata, nel maggio del 1984, a Giovanni Paolo II, primo Pontefice a tornare in città dopo centoventisette anni.
Le cronache del tempo parlano di una visita di un solo giorno ma di eccezionale durata, ben tredici ore "la più lunga tra quelle sino a quel momento effettuate in altre città". Più di dieci incontri, tutti segnati da una grande vitalità. Era il 27, l'ultima domenica di maggio. Il Papa era accompagnato dal cardinale Sergio Guerri, nativo di Tarquinia. La visita iniziò dalle carceri di Santa Maria in Gradi e si concluse con la comunità dei giovani tossicodipendenti intitolata a san Crispino.
Tre momenti di preghiera sono rimasti impressi in quanti hanno vissuto quell'evento, pur tra le innumerevoli fasi di una visita storica. Al mattino davanti all'urna che raccoglie i resti mortali di santa Rosa, poi in Duomo presso le reliquie dei santi Valentino e Ilario i fondatori della Chiesa viterbese, venuti dall'oriente, e al pomeriggio nella basilica di San Francesco, presso i sepolcri di due Papi, Celestino iv e Adriano v, il cui pontificato durò solo trentotto giorni, poco più cioè di quello di Papa Luciani. "A ogni passo - si legge nelle cronache - Giovanni Paolo II si imbatteva in documenti e testimonianze di grande interesse: nella cattedrale di san Lorenzo per esempio si è soffermato dinanzi al sepolcro di Giovanni XXI, Pontefice di origine portoghese che perì nel 1277 per un crollo che si verificò nel Palazzo Papale, oppure nel chiostro degli agostiniani dove incontrò i malati e dove ogni pietra parla di un'antica e gloriosa tradizione scientifica di cui Mendel non è che il simbolo principale. O ancora a Santa Maria della Quercia il santuario dell'antico borgo... L'elenco potrebbe continuare ancora a lungo e senza dubbio gli occhi del Santo Padre a sera erano veramente colmi di grandi suggestioni visive".
Con particolare enfasi vennero riferiti gli incontri con i giovani e con i tossicodipendenti della comunità terapeutica di san Crispino. Anzi fu proprio questo il momento socialmente più rilevante e significativo dell'intera giornata. Il Papa volle ricevere i giovani ospiti del centro, insieme ai loro genitori, nella storica Sala del Conclave nel Palazzo dei Papi. Tralasciò di leggere il discorso preparato e riferendo agli sforzi compiuti da questi giovani per uscire dal tunnel della droga disse tra l'altro: "Il successo essenziale è sempre l'uomo, l'uomo ritrovato nella sua umanità, nel suo senso di essere umano, nella sua prospettiva futura. Tutto questo è un grande successo". E ancora "La droga non si vince con la droga ma con un serio impegno da parte di tutta la comunità" e le " droghe sostitutive non sono una terapia sufficiente, ma piuttosto costituiscono un modo velato per arrendersi al fenomeno". La via per ottenere "un ritorno dal mondo allucinante degli stupefacenti è la mobilitazione di tutti" per formare "una società nuova, a misura d'uomo: l'educazione a essere uomini". La speranza è il dono più bello che Wojtyla lasciò a una città che gli aprì porte e cuore.
Ora, a distanza di venticinque anni, quella stessa città, certamente diversa, cresciuta e alle prese con vecchie e nuove problematiche ma sempre fedele alla sua antica anima, si prepara ad accogliere nuovamente un Papa, Benedetto XVI. Il logo che il vescovo ha preparato per accoglierlo dice anche cosa in fondo oggi la Viterbo fedele si attende: essere confermata proprio in questa sua fede, per resistere alle sfide di un secolarismo sempre più invadente e più difficilmente contrastabile.

(©L'Osservatore Romano - 15 agosto 2009)

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