venerdì 21 agosto 2009

«Un solo rito romano per tutta la Chiesa» (Martino Cervo)


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Martino Cervo

A pochi mesi dal “colpo” editoriale con la pubblicazione di alcuni scritti di Karol Wojtyla, Cantagalli manda in stampa due inediti di Joseph Ratzinger.
I testi sono compresi nel volume Davanti al protagonista (228 pagine), che la casa toscana presenterà al Meeting di Comunione e Liberazione che si apre a Rimini questa domenica, e fanno parte di una serie di interventi di Benedetto XVI sul tema della liturgia.
La posizione ratzingeriana sul delicato argomento permette di affrontare con chiave nuova le contrapposizioni legate al Concilio, che molto spesso riducono la Chiesa a un equilibrio di comodi contrasti fra tradizionalisti e progressisti, destra e sinistra.
L’inedito più interessante e qui pubblicato è la lettera al tradizionalista Heinz-Lothar Barth, datata 23 giugno 2003 (meno di due anni prima della morte di Giovanni Paolo II), per la prima volta tradotta e pubblicata in italiano. L’allora cardinale risponde a una missiva sul cosiddetto vecchio rito, poi “riabilitato” da Ratzinger con il motu proprio ai vescovi sulla messa in latino.

La scomunica

In realtà, dalle righe del futuro pontefice si evince la chiarezza di giudizio che lo avrebbe portato, mesi dopo, a revocare la scomunica ai lefebvriani.
«Lei mi chiede di attivarmi per una più ampia disponibilità del rito romano antico», scrive il vecchio capo dell’ex Sant’Uffizio. «In effetti, lei sa da sé che non sono sordo a tale richiesta. Nel contempo, il mio lavoro a favore di questa causa è ben noto».
La frase chiave del futuro pontefice è questa: «A lungo termine la Chiesa romana deve avere di nuovo un solo rito romano». Ancora prevale il desiderio di unità, che supera ogni schematismo in forza della coscienza della liturgia, che non può essere «terreno di sperimentazione per ipotesi teologiche» poiché «trae la sua grandezza da ciò che essa è e non da ciò che noi ne facciamo».
Non c’è traccia di tradizionalismo, piuttosto - come emerge dagli altri scritti opportunamente disposti da Cantagalli - il richiamo potente alla natura della liturgia e del cristianesimo, come partecipazione personale al mistero di Cristo morto e risorto.
Senza questa illuminazione non si capirebbe neppure il contestato atto di misericordia portato dal Papa nei confronti dei seguaci di Lefebvre, accompagnato da forti polemiche per le posizioni di Richardson, il prelato che si era abbandonato ad affermazioni antisemite.
La lettera inedita svela in tempi non sospetti la reale preoccupazione di Ratzinger: tenere insieme nell’unica liturgia romana tutti coloro che vedono Cristo come risposta al cuore dell’uomo. Liturgia che è immutabile perché costante è la pretesa del cristianesimo. Eppure generatrice di una «compagnia sempre riformanda» (così il Papa etichettato come conservatore definisce la Chiesa).

Con buona dose di profezia, nella chiusa della lettera Ratzinger si lascia sfuggire un auspicio che pare già quasi diretto a se stesso, pensando agli strali che si sarebbe attirato: «Qua e là desidererei ancora più carità e comprensione verso il magistero del Papa e dei vescovi. Possa il seme da lei seminato germinare e portare molto frutto per la rinnovata vita della Chiesa la cui sorgente e culmine, davvero il suo vero cuore, è e deve rimanere la liturgia».
Prima che una preoccupazione teologica, tale intuizione pare sostenuta da una antropologia, tutta tomistica e cristianamente realista, che emerge nell’altro notevole inedito rappresentato dal capitolo La teologia della liturgia.
Il testo è tratto da una conferenza del luglio 2001. Così come con i lefebvriani o con la messa in latino non si tratta di “sterzare a destra”, la riforma della Chiesa e della liturgia non può consistere in una “revisione” progressista utile a renderla adatta ai tempi.

Riforma personale

Piuttosto, con la lezione di San Bonaventura di Bagnoregio, Ratzinger suggerisce una ablatio, una sottrazione che riduca al vero per esaltarlo, a Cristo che si dà all’uomo dentro la compagnia e la storia che ha scelto.
Questa è l’unica riforma, personale e nel rapporto con l’Incarnazione, che può e deve animare la Chiesa. Una conversione, prima che una formula; un avvenimento, prima che una teoria. Per questo, anche di fronte al mistero pasquale Ratzinger cancella i dualismi: Cristo in croce è storia e fede, avvenimento di carne e Dio sulla terra, sacrificio e redenzione. Ma il pensiero contemporaneo è come scisso: «La nostra immagine di Dio», dice il testo, «è impallidita. Si è avvicinata al deismo. Non ci si può immaginare che l’errore umano possa ferire Dio e ancor meno che debba avere bisogno di un’espiazione». Qui il Papa vede l’abisso tanto con le religioni non abramitiche quanto con le derive platoniste: sorprendentemente, non è un passo dogmatico ma anzitutto di approccio al reale. La fede, scrive, «non vede il finito come negazione ma come creazione». Riecheggia Tommaso d’Aquino, con la sua fiducia nei sensi e nelle cose, la realtà percepita, seguendo la Genesi, come “cosa buona”. E si spalanca una fede che, attraverso la liturgia, rivela e compie questo passaggio della ragione, prima ancora che della teologia.

© Copyright Libero, 21 agosto 2009 consultabile online anche qui.

In realta' non si tratta propriamente di un inedito perche' reperibile online da molto tempo.
Fa molto piacere questa riscoperta ed il dibattito che ne segue
.
R.

2 commenti:

DANTE PASTORELLI ha detto...

Molto rumore per nulla.
Si tratta di tesi giàproposte dal card. Eatzinger e dal card. Castrillon sotto il pontificato del primo.
E' la famosa riforma della riforma che deve (dovrebbe), sul tronco del rito romano antico, innestare alcune novità, e cioè qualche nuova lettura, alcuni nuovi prefazi e la preghiera dei fedeli, oltre ovviamente alle nuove messe votive.
Ma è bene anticipare che il ripescaggio di alcuni elementi dell'antico rito, privati della teologia della Messa che li sottende, non potrebbe esser accettato dai "tradizionalisti", i quali non voglion un maquillage del NO.

Anonimo ha detto...

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