lunedì 14 settembre 2009

Il Papa ai vescovi: Servire, non servirsi (Marco Doldi)


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Il Papa: "La fedeltà del servo di Gesù Cristo consiste proprio anche nel fatto che egli non cerca di adeguare la fede alle mode del tempo. Solo Cristo ha parole di vita eterna, e queste parole dobbiamo portare alla gente. Esse sono il bene più prezioso che ci è stato affidato. Una tale fedeltà non ha niente di sterile e di statico; è creativa...Fedeltà non è paura, ma è ispirata dall’amore e dal suo dinamismo" (Omelia Ordinazioni Episcopali)

CHIESA - Servire, non servirsi

Marco Doldi

Benedetto XVI, nel giorno della sua elezione si era presentato dal balcone di S. Pietro come “un umile servitore della vigna del Signore”, chiamato da quel momento alla guida della Chiesa. Umiltà e servizio sono due costanti della figura di questo Papa; naturale che egli le indichi anche agli altri.
Sabato 12 settembre, durante la consacrazione episcopale di cinque nuovi presuli, avvenuta nella Basilica vaticana, ha richiamato le dimensioni del servitore nella Chiesa.
“La prima caratteristica, che il Signore richiede dal servo – ha detto il Santo Padre - è la fedeltà”. Gli è stato affidato un grande bene, che non gli appartiene. “La Chiesa – ha continuato - non è la Chiesa nostra, ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio”. Il servo deve rendere conto di come ha gestito il bene che gli è stato affidato. Un pericolo potrebbe essere quello di legare gli uomini a sé, di cercare potere, prestigio, stima per sé stessi. Occorre, invece, che il ministro ordinato conduca gli uomini verso Gesù Cristo e, così, verso il Dio vivente. Con ciò li introduce nella verità e nella libertà, che deriva dalla verità. La fedeltà è altruismo, e proprio così è liberatrice per il ministro stesso e per quanti gli sono affidati.
A questo punto il Papa ha fatto un’amara constatazione: “sappiamo come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità, per il bene comune”. Si lavora per sé stessi quando si cerca l’affermazione delle proprie idee, quando si vuole comandare, quando si usa il proprio ruolo per affermare sé stessi nella logica della carriera. Insomma, quando anziché servire la Chiesa, ci si serve della Chiesa!
No! Al ministro ordinato, immagine del buon Pastore, è richiesto il continuo orientamento verso il Signore, cercando di adeguare tutto, persino, la propria fede a Gesù Cristo. Solo Cristo ha parole di vita eterna, e queste parole il ministro deve portare alla gente. Esse sono il bene più prezioso che ci è stato affidato. Una tale fedeltà non ha niente di sterile e di statico; è creativa. Fedeltà non è paura, ma è ispirata dall’amore e dal suo dinamismo. La fede richiede di essere trasmessa: non è stata consegnata soltanto per sé stessi, per la personale salvezza della propria anima, ma per gli altri, per questo mondo e per il nostro tempo. Deve essere una forza vivente, che fa aumentare la presenza di Dio.
Ancora, il Signore chiede al suo servo la prudenza. La prudenza è una cosa diversa dall’astuzia.
Prudenza, secondo la tradizione filosofica greca, è la prima delle virtù cardinali; indica il primato della verità, che mediante la "prudenza" diventa criterio dell’agire. Prudenza è la ragione umile, disciplinata e vigilante, che non si lascia abbagliare da pregiudizi; è il non giudicare secondo desideri e passioni, ma secondo la verità – anche se scomoda. Prudenza significa mettersi alla ricerca della verità ed agire in modo ad essa conforme. Il servo prudente è innanzitutto un uomo di verità e un uomo dalla ragione sincera.
Il pastore nella Chiesa deve, in primo luogo, essere un uomo che ascolta la Parola di Dio, per mezzo di Gesù Cristo. Nella Sacra Scrittura e nella fede della Chiesa egli trova la verità essenziale sull’uomo, che imprime la direzione giusta all’agire. “Così – ha detto Benedetto XVI - la prima virtù cardinale del sacerdote ministro di Gesù Cristo consiste nel lasciarsi plasmare dalla verità che Cristo ci mostra”. In questo mondo, si diventa uomini veramente ragionevoli, che giudicano in base all’insieme e non a partire da dettagli casuali.
Non ci si lascia guidare dalla piccola finestra della propria personale astuzia, ma dalla grande finestra, che Cristo ha aperto sull’intera verità. Si guarda il mondo e gli uomini e si capisce così che cosa conta veramente nella vita.
Un’altra caratteristica che il Signore cerca nel servo, cui affida la propria Casa, è la bontà: "Servo buono e fedele … prendi parte alla gioia del tuo padrone" (Mt 25, 21.23). La bontà dice riferimento diretto a Dio. Buono in senso pieno è solo Dio. Egli è il Bene, il Buono per eccellenza, la Bontà in persona. In una creatura – nell’uomo – l’essere buono si basa pertanto necessariamente su un profondo orientamento interiore verso Dio. La bontà cresce con l’unirsi interiormente al Dio vivente. La bontà presuppone soprattutto una viva comunione con Dio, il Buono, una crescente unione interiore con Lui. “E di fatto – si è chiesto il Papa - da chi altri si potrebbe imparare la vera bontà se non da Colui, che ci ha amato sino alla fine, sino all’estremo (cfr Gv 13, 1)”?
Il Papa offre alcuni importanti moniti, particolarmente significativi, per sacerdoti e vescovi: come in passato, non teme di denunciare atteggiamenti nella Chiesa contrari al Vangelo, perché troppo mondani.
In questo Anno sacerdotale sono inviti alla santità.

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