venerdì 16 ottobre 2009

Un miliardo di affamati: La fame e la politica (Osservatore Romano)


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Un miliardo di affamati

La fame e la politica

di Pierluigi Natalia

"Una visione di un mondo libero dalla fame è possibile solo se esiste una volontà politica ai livelli più alti".
L'affermazione del direttore generale della Fao, Jacques Diouf, nel suo intervento di questa settimana al Sinodo sull'Africa, denuncia che un mondo con oltre un miliardo di affamati non è conseguenza di fenomeni ingovernabili, ma di mancanza di volontà politica, di scelte internazionali che non hanno nella lotta alla miseria e al sottosviluppo la loro priorità assoluta. Tale affermazione trova conferme nel Sofi 2009, il rapporto annuale sullo stato dell'alimentazione nel mondo, pubblicato dalla Fao e dal Programma alimentare mondiale (Pam) dell'Onu, in concomitanza con la Giornata mondiale dell'alimentazione che si celebra oggi, venerdì 16 ottobre.
Nel 2009, per la prima volta il numero degli affamati ha superato il miliardo - il Sofi stima una cifra di un miliardo e venti milioni - con un aumento del 9 per cento nell'ultimo anno. La quasi totalità degli affamati vivono nei Paesi in via di sviluppo: in Asia e nel Pacifico si stima che siano 642 milioni; nell'Africa subsahariana 265 milioni; in America Latina e Caraibi 53 milioni; nel Vicino Oriente e in nord Africa 42 milioni. Ma il numero degli affamati è aumentato anche nei Paesi ricchi del nord del mondo, dove ha raggiunto i 15 milioni.
I dati del Sofi 2009 si prestano a una duplice lettura: da un lato confermano che il prezzo maggiore della crisi finanziaria in atto ricade sulle fasce più povere della popolazione mondiale. Dall'altro, però, sottolineano che l'aumento degli affamati non è riconducibile a tale crisi, se non nella sua accelerazione. Il numero delle persone sottonutrite è infatti aumentato in modo lento, ma costante, in tutto l'ultimo decennio.
Questo aumento, sia nei periodi di prosperità economica sia in quelli di recessione, mostra l'estrema debolezza del sistema mondiale di governance della sicurezza alimentare. Come ha sottolineato Josette Sheeran, direttore esecutivo del Pam, proprio nel momento in cui il numero delle persone che soffrono la fame ha raggiunto un picco storico, vi è il più basso livello di aiuti alimentari mai registrato. Né ciò può essere attribuito a mancanza di risorse. Proprio Diouf ha ricordato che la comunità internazionale ha i mezzi economici e tecnici per far sì che questa piaga sia eliminata. Di conseguenza, quello che manca è la volontà politica di sradicare la fame.
Tuttavia, una volontà politica, tanto più a livello internazionale, si definisce intorno a progetti. Questi non possono limitarsi al settore degli aiuti, peraltro indispensabili. Non si tratta solo di fronteggiare volta per volta le emergenze, ma di definire politiche che impediscano la cronicizzazione della fame e progressivamente restringano la forbice tra società dello spreco e società del bisogno. Tredici anni fa, il primo vertice mondiale sull'alimentazione s'impegnò ad almeno dimezzare il numero degli affamati entro il 2015, definendo il primo e il principale di quegli obiettivi di sviluppo del millennio che l'Onu avrebbe poi proclamato nel 2000. Tutti i parametri dimostrano che tale obiettivo non sarà raggiunto, almeno per la data prevista. L'analisi dei dati, cioè, mostra che i modelli di sviluppo finora perseguiti sono fallimentari. Né a questo sono estranee le stesse organizzazioni sovranazionali, se non altro per l'impressione che spesso offrono di essere autoreferenziali.
Il summit mondiale sulla sicurezza alimentare convocato a Roma il mese prossimo e al quale interverrà Benedetto XVI deve dunque individuare nuove strategie. La governance della sicurezza alimentare è parte di quella più generale della convivenza mondiale, di una globalizzazione che finora è stata affidata solo alla finanza e al potere mercantile. Da più parti, accanto a politiche di sostegno all'agricoltura, soprattutto nei Paesi più poveri, si sollecita una revisione dei modelli di sviluppo e delle regole del commercio internazionale, nella direzione di un'economia sociale compatibile con la tutela ambientale.

(©L'Osservatore Romano - 17 ottobre 2009)

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