mercoledì 11 novembre 2009

Arnaldo Pomodoro: io, la sfera e la croce (Giuliano)


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INTERVISTA. Parla il famoso scultore che scava nella materia e che sarà il 21 all’incontro con il Papa : «Ritroviamo i valori più profondi»

Arnaldo Pomodoro: io, la sfera e la croce

DI ANTONIO GIULIANO

«Nessuno meglio di voi artisti, geniali costruttori di bellezza, può intuire qualcosa del pathos con cui Dio, all’alba della creazione, guardò all’opera delle sue mani » . Forse pensava soprattutto agli scultori Giovanni Paolo II quando nel 1999 scrisse la Lettera agli artisti. Perché nel riuscire a trasformare la materia ci deve essere una soddisfazione simile a quella del Creatore all’inizio dei tempi. Anche se oggi il mondo visto con gli occhi di Arnaldo Pomodoro appare tanto lontano dal Paradiso terrestre. Assomiglia piuttosto a quelle sfere di bronzo squarciate che l’hanno reso celebre anche a livello internazionale. Nato a Morciano di Romagna (Rn) nel 1926, tra i più noti e apprezzati scultori contemporanei, Pomodoro sarà presente il 21 novembre all’incontro degli artisti con Benedetto XVI.

È racchiuso nelle sfere il significato della realtà che stiamo vivendo?

«La sfera viene spesso vista come metafora della tragicità e delle contraddizioni della storia attuale, e della tensione per il loro superamento. Con i suoi grovigli e le sue corrosioni esprime una sensazione di inquietudine. Ciò forse non era nelle mie intenzioni: è stata la forza espressiva della scultura a renderla un simbolo delle odierne conflittualità. Ci troviamo in un momento di grande confusione. La globalizzazione sta delineando un modo diverso di produrre e di lavorare che genera un forte senso di spaesamento: si sono smarriti i principi della vita collettiva e dell’arte. Si è forse all’inizio di un nuovo ciclo storico e a me pare che ci sia molta dispersione e incertezza » .

Perché ha deciso di partecipare all’incontro in Vaticano?

«L’invito del Santo Padre mi ha emozionato e onorato. Credo che oggi come non mai abbiamo bisogno di ritrovare i valori umani più profondi.
Concordo con monsignor Gianfranco Ravasi sulla necessità di ristabilire un’alleanza nuova tra l’ispirazione divina della fede e l’ispirazione creatrice dell’arte.
Sono molto sensibile alla responsabilità artistica: l’arte ha la capacità di interpretare e sintetizzare il proprio tempo e a volte, persino, di anticiparne le tensioni e le dinamiche. E penso che l’artista non possa chiudersi in una torre d’avorio ma, anzi, debba essere coinvolto e proiettato nella società: è un problema etico che ho sempre sentito e da qui è nata l’idea di una mia Fondazione» .

Nelle sue opere c’è anche una tensione religiosa?

«Il mio rapporto con il sacro è da laico, ma ho ricevuto un’educazione cattolica che certo ha lasciato in me un segno profondo. Mia nonna mi introdusse ai misteri del cattolicesimo. Ponevo molte domande per cui non avevo e non ho tuttora le risposte. Nei periodi più difficili della mia vita ho realizzato le sculture più forti e significative. Credo che l’artista abbia una sua propria religiosità e un forte senso etico: l’idea di spiritualità, infatti, nell’arte è essenziale. La croce, come segno, mi ha sempre affascinato: realizzarne una per la chiesa di San Giovanni Rotondo è stato un lavoro molto stimolante e impegnativo. Mi sono poi cimentato con il tema della Trasfigurazione nella Porta per il Duomo normanno di Cefalù: lì ho realizzato il cielo o l’aldilà in una sfera d’oro e ho voluto che il magma terrestre si diffondesse attorno alla base come alone, nella presenza alta della ' nube luminosa' con la voce del Padre» .

Tra le sue fonti c’è anche la letteratura?

« All’inizio della mia ricerca, avvertivo la necessità di un ' supporto' poetico. Stentavo a vedere sino in fondo dentro di me, ad esprimere quel che sentivo e a far capire quale fosse il mio mondo. La letteratura mi aiutava a decifrare il lavoro.
Penso a Kafka: la lettura della Metamorfosi ossessionò a lungo i miei sogni. I suoi romanzi e i suoi racconti mi hanno aperto all’astrazione e alla visionarietà. Con la poesia il ' feeling' fu ancora più forte. I più importanti poeti italiani, quelli che erano i miei miti di ragazzo di provincia, divennero a Milano presenze concrete, amici carissimi: Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli. In seguito avrei incontrato - grazie all’attivissima amica Fernanda Pivano - i protagonisti della Beat generation, a cominciare da Allen Ginsberg. E non dimentico ovviamente Montale: una delle mie opere più significative, The Pietrarubbia Group , riporta infatti una citazione dai Mottetti, lo splendido verso: ' Lo sai: debbo riperderti e non posso' » .

Dove nasce il suo bisogno di scavare nella materia?

«Non credo all’ispirazione, si tratta piuttosto di suggestioni, di folgorazioni che mi vengono in diverse situazioni, nei momenti più impensabili. Ho iniziato la ricerca sui solidi della geometria perché volevo investigare l’interno di una forma. Nel 1960 al museo ' MoMa' di New York, ho avuto come una folgorazione: le opere di Brancusi mi hanno fatto riflettere sul valore della scultura astratta. Di fronte alla perfezione ideale di Brancusi ho avvertito un bisogno di scavare entro le forme geometriche per scoprirne i fermenti interni, il mistero che vi è racchiuso, la vitalità che vi è compressa» .

© Copyright Avvenire, 11 novembre 2009

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