lunedì 16 novembre 2009

Il Papa: L'uomo, la storia, il mistero di Dio (Zavattaro)


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Il Papa: "La Sacra Scrittura non conosce ambiguità: tutto il creato è segnato dalla finitudine, compresi gli elementi divinizzati dalle antiche mitologie: non c’è nessuna confusione tra il creato e il Creatore, ma una differenza netta. Con tale chiara distinzione, Gesù afferma che le sue parole "non passeranno", cioè stanno dalla parte di Dio e perciò sono eterne" (Angelus)

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BENEDETTO XVI - Le cose ultime

L'uomo, la storia, il mistero di Dio

Fabio Zavattaro

È il tempo delle “cose ultime”, in questa domenica, penultima del tempo ordinario, prima dell’Avvento. Si compie così quel cammino di fede – antico e sempre nuovo – nella grande famiglia spirituale della Chiesa”.
Cammino che, afferma il Papa, “è un dono inestimabile, che ci permette di vivere nella storia il mistero di Cristo, accogliendo nei solchi della nostra esistenza personale e comunitaria il seme della Parola di Dio, seme di eternità che trasforma dal di dentro questo mondo e lo apre al Regno dei Cieli”.
Papa Benedetto ricorda la frase del Vangelo di Marco “il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” riferita a Gesù, per accompagnare la riflessione che affida ai fedeli, sugli eventi riguardanti gli ultimi tempi. Ma c’è subito da fare una riflessione: non si tratta di un’affermazione pessimistica. È vero queste parole hanno come orizzonte il limite estremo del tempo storico, il momento in cui questo tempo cesserà per fare posto al mondo futuro. Gesù dichiara che tutto è destinato a passare: nella Bibbia il cielo e la terra sono sinonimo di tutto l’universo. Ricorda Benedetto XVI: “La Sacra Scrittura non conosce ambiguità: tutto il creato è segnato dalla finitudine, compresi gli elementi divinizzati dalle antiche mitologie: non c’è nessuna confusione tra il creato e il Creatore, ma una differenza netta. Con tale chiara distinzione, Gesù afferma che le sue parole non passeranno, cioè stanno dalla parte di Dio e perciò sono eterne”.
Parole profetiche, spiega il Papa. E se riflettiamo sulle letture del giorno, ci troviamo di fronte a immagini che richiamano – in Marco e nel profeta Daniele – tempi di guerre e di divisioni, tempi di angoscia. Ma non è certo questa la strada che Gesù indica all’uomo: certo c’è il giudizio – salvezza o condanna – ma non è mai un qualcosa contro l’uomo. La parola, ricorda il Papa, se viene accolta è luce che guida: “In una celebre parabola, Cristo si paragona al seminatore e spiega che il seme è la Parola: coloro che l’ascoltano, l’accolgono e portano frutto, fanno parte del Regno di Dio, cioè vivono sotto la sua signoria; rimangono nel mondo, ma non sono più del mondo; portano in sé un germe di eternità, un principio di trasformazione che si manifesta già ora in una vita buona, animata dalla carità, e alla fine produrrà la risurrezione della carne”.
È questa la grande novità, quel “ma io vi dico” che trasforma, che porta dall’Antico al Nuovo Testamento. Che fa del cristiano l’uomo che vive ogni terra straniera come la sua patria pur restando straniero in ogni patria. Difficile equilibrio; ma come non guardare a questa espressione come a un tendere a quei tempi ultimi in cui il senso della storia sarà svelato.
Sempre in quella lettera degli inizi della storia dei cristiani – a Diogneto – troviamo questa espressione che rimanda ad una speranza che non conosce oblio: “Dopo che la nostra ingiustizia giunse al colmo e fu dimostrato chiaramente che come suo guadagno spettava il castigo e la morte, venne il tempo che Dio aveva stabilito per manifestare la sua bontà e la sua potenza. O immensa bontà e amore di Dio. Non ci odiò, non ci respinse e non si vendicò, ma fu magnanimo e ci sopportò e con misericordia si addossò i nostri peccati e mandò suo Figlio per il nostro riscatto; il santo per gli empi, l'innocente per i malvagi, il giusto per gli ingiusti, l'incorruttibile per i corrotti, l'immortale per i mortali. Quale altra cosa poteva coprire i nostri peccati se non la sua giustizia?”.
La speranza matura proprio nel momento in cui le possibilità umane sembrano essere giunte a un vicolo cieco, sembrano esaurirsi. Jurgen Moltmann, teologo luterano, iniziatore della teologia della speranza, scrive che “la speranza cristiana si fonda sulla memoria e ripresentazione di Cristo. O è la speranza di Cristo o non è cristiana. Essa è speranza rammemorata, perché cerca il futuro di Cristo nel passato di Cristo, e lo trova nella risurrezione da morte del Cristo crocifisso. […] La speranza cristiana si lega sempre alla memoria della passione di Cristo e della sua fine sulla croce. Crocifisso e resuscitato sta a significare che nella sua fine sulla croce va trovato il nuovo inizio e, con lui, quello del mondo. La risurrezione di Cristo dice che egli non è tra i morti e che quindi l’ordine di questo mondo mortale è stato stravolto”.
La Parola, dunque, è il chicco di grano caduto in terra, nella terra buona che porta frutto. È il seme nascosto nella tomba il venerdì, venerdì santo, che il terzo giorno porta frutto. Segno evidente di questa verità, della potenza della Parola di Dio, afferma ancora il Papa, è Maria: “Il suo cuore è stato terra buona che ha accolto con piena disponibilità la Parola di Dio, così che tutta la sua esistenza, trasformata secondo l’immagine del Figlio, è stata introdotta nell’eternità, anima e corpo, anticipando la vocazione eterna di ogni essere umano”.
La novità di quei giorni ultimi, allora, sta proprio nel saper accogliere la parola, guardare per comprendere, per conoscere. Il cammino della storia dell’uomo non è mai un andare incontro al nulla, non è un camminare verso la fine, ma verso un fine, verso l’incontro definitivo con Cristo. Ecco, allora, che quei giorni ultimi, che la liturgia mette in evidenza, non sono la conclusione di un percorso ma, il compimento di un itinerario. Se Marco scrive nel suo Vangelo “allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”, non è per annunciare eventi drammatici, catastrofici. “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”: è proprio questa parola che ci permette di camminare nella storia, certi di non smarrire la strada, in questo tempo di attesa.

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