lunedì 2 novembre 2009

L’astronomo celeste. Così padre Funes regge la Specola vaticana e cerca la vita (Rodari)


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L’astronomo celeste. Così padre Funes regge la Specola vaticana e cerca la vita

Di Paolo Rodari

Padre José Gabriel Funes aveva appena sei anni quando il primo uomo arrivò sulla luna.
Eppure, fu proprio in quel 20 luglio del 1969 che, bambino come tanti altri in una Cordoba assonnata ai piedi della catena montuosa delle Sierras Chicas sulle rive del fiume Primero (siamo nell’Argentina centrale), nacque in lui l’indomabile spinta verso l’astronomia, la scoperta degli astri, la ricerca dell’infinito sopra di noi. A sei anni il seme gli si piantò nel cuore. Poi, a quattordici, la frase dalla quale non tornò più indietro: “Voglio fare l’astronomo”. E astronomo fu. Oggi, infattti, nel suo studio all’interno della sede della Specola vaticana sui colli albani, il 46enne – sacerdote gesuita per vocazione – padre Funes, il sogno di tutta la sua vita è chiamato a interpretare: astronomo per professione. Nel suo caso, astronomo per conto del Papa.
In una piovosa mattina di metà ottobre, padre Funes, nella sua stanza di lavoro, sono due pergamene che vuole da subito mostrare. La prima reca le firme originali degli ultimi Pontefici che hanno visitato l’osservatorio vaticano di Castel Gandolfo: Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II. Firme con inchiostri diversi. Tutte con rispettive date a fianco. La seconda mostra la firma dell’unico Papa che ha visitato la nuova sede di Albano, la sede attuale: Benedetto XVI. Ha firmato su una nuova pergamena perché non c’era più spazio nella prima. La firma di Wojtyla, a caratteri un po’ troppo grandi, aveva infatti occupato tutto lo spazio ancora a disposizione.
E’ arrivato il 16 settembre scorso, papa Ratzinger, ad Albano. Esattamente 75 anni dopo (era il 16 settembre del 1934) la visita di Pio XI. Allora Achille Ratti inaugurò una nuova era per la Specola, quella appunto di Castel Gandolfo: l’osservatorio venne trasferito dal Vaticano nel ’34 a causa dell’aumento delle luci elettriche nella città di Roma, aumento che non permetteva più di consultare le stelle più lontane. Poche settimane fa è stato Benedetto XVI a dire che, la sua firma in calce a una nuova pergamena, era di buon auspicio per “una nuova età” del suo centro astronomico.
L’era di Albano, dunque, secondo papa Ratzinger. Con ogni probabilità, un tempo di nuove scoperte, avventure, slanci celestiali. E, infatti, c’è una frontiera del domani, alla Specola, ancora tutta da percorrere: si chiama astrobiologia. Non che sia una scienza nuova: il novum risiede piuttosto nel fatto che è una lente quella che il Vaticano intende tenere puntata oggi più di prima addosso alla materia.
Tecnicamente, per astrobiologia, s’intende quella branca dell’astronomia che esamina le implicazioni biologiche connesse alla diffusione negli spazi interstellari, ed eventualmente su pianeti e satelliti del sistema solare, del materiale pertinente alla chimica organica che è stato ampiamente individuato sia nello studio dello spazio profondo sia delle comete. Sarebbe a dire, spiega padre Funes, “quella scienza che studia la possibilità che vi sia vita dentro e oltre il nostro sistema solare”. E della cosa, ovvero delle ultime scoperte (o comunque delle aspettative future di quel settore particolare dell’astronomia che è appunto l’astrobiologia), ne parleranno addirittura in un convegno in Vaticano. Un convegno in Vaticano organizzato dal Vaticano (e, dunque, col beneplacito papale). Padre Funes e la sua Specola, infatti, assieme alla pontificia accademia delle scienze (dunque una cosa in grande stile), organizza per l’inizio del mese di novembre (nella Casina Pio IV) un incontro dedicato proprio al tema. Vi partecipano i maggiori esperti mondiali. Tra questi Jonathan Lunine, Paul Davis, Jill Tarter. Insomma, non proprio gli ultimi arrivati.
“E’ difficile dare dei numeri precisi – dice padre Funes –, quantificare. Ma in modo più o meno unanime gli astronomi d’oggi stimano che nell’universo vi siano circa cento miliardi di galassie formate (ciascuna) da cento miliardi di stelle. Ora, esaminando gli spettri della luce proveniente dalle stelle e dai pianeti, si potranno in futuro individuare gli elementi delle rispettive atmosfere e intuire se ci sono o meno le condizioni per la vita. Ancora non abbiamo strumenti adeguati per scoprire altre forme di vita nell’universo. Ma che vi sia vita, anche simile alla nostra, è un’ipotesi assolutamente plausibile. Nessuno pu escludere la cosa”.
Sono 13 i gesuiti che lavorano nella Specola Vaticana (sommando la sede laziale a quella americana). Un po’ stanno sui colli albani, un po’ nel deserto dell’Arizona, a Mount Graham. E’ negli Stati Uniti, infatti, che è posizionato il grande telescopio vaticano con cui i gesuiti fanno ricerca. Un telescopio molto costoso e il cui mantenimento è garantito da un gruppo di benefattori cattolici ed ebrei. Ad Albano, invece, i telescopi sono usati solo per scopi didattici: vengono fatti visionare a scolaresche e astronomi ancora in erba.
“Oggi – dice padre Funes – si studiano le stelle con telescopi i cui obiettivi hanno dieci metri di diametro. Per scoprire la vita, o almeno per sperare di scoprirla, occorrono telescopi il cui diametro sia almeno quattro volte più grande”. Dunque, è questione di strumenti. In futuro, quando strumenti migliori arriveranno, molto si potrà scoprire e capire. Mentre oggi ciò che resta è soltanto l’ipotesi (certo fascinosa) della vita oltre la terra. O forse la speranza. A volte, il dubbio. Già, il dubbio. Ve ne è uno tutto cattolico: perché l’eventuale scoperta della vita in galassie lontane dalla nostra, d’una qualche vita oltre di noi, oltre l’uomo, pone diversi problemi di fede. Anche se, dice padre Funes “di per sé, come esiste una molteplicità di creature sulla terra, così potrebbero esserci altri esseri, anche intelligenti, creati da Dio”. E la cosa non sarebbe più di tanto un problema, teologicamente parlando, perché “nessuno può limitare la libertà creatrice di Dio”. Se Dio è Dio, insomma, il suo genio creatore può aver fatto anche l’impensabile.
Già, eppure come conciliare i nuovi mondi, le nuove forme di vita con noi, col nostro mondo investito oltre 2000 anni fa dalla Rivelazione? Ecco il dubbio. Ecco, di conseguenza, le due vulgate. “Ma, occorre dirlo – e lo dice a mo’ di premessa padre Funes – qui entriamo nel campo della fanta-teologia: comunque, a premessa fatta, si può provare a sbilanciarsi, fino a dire che vi sono coloro che ritengono che tutto l’universo sia stato creato solo ed esclusivamente in funzione dell’uomo. Che Dio, insomma, abbia creato l’immensità del cosmo solo e soltanto per noi. E coloro, invece, che pensano che vi possano essere altre forme di vita intelligenti, simili, dunque, a noi. In questo senso, noi essere umani, potremmo essere – perché no? – la pecora smarrita, i peccatori che hanno bisogno del pastore. Quelli che a causa del peccato di Adamo sono decaduti. E proprio per salvarci, Dio si è fatto uomo in Gesù. Se così fosse, se anche esistessero altri esseri intelligenti, non è detto che questi debbano aver bisogno della redenzione. Potrebbero essere rimasti da sempre nell’amicizia piena con il loro Creatore”.
Ascolti padre Funes e ti gira la testa. Non è facile penasare ad altri mondi, altri globi terrestri, uomini e donne o chissà che altro. Altri essere intelligenti più intelligenti di noi. Comunque, fantascientificamente e fantateologicamente parlando, la cosa potrebbe reggere. In sostanza, loro, gli altri essere intelligenti, potrebbero vivere in una sorta di paradiso terrestre e noi, invece, nel mondo corrotto dal peccato, nel mondo, dunque, bisognoso di redenzione? “Difficile rispondere. Ma più o meno diciamo di sì” spiega padre Funes. Fantatelogia, dunque. Ed anche fantascienza perché la scienza, a rispondere, non vi arriva. Ma comunque teorie degne d’essere discusse. E pensate.
La Specola Vaticana non è soltanto ricerca astrobiologica, ovviamente. E’ anche altro. Anzitutto lo studio degli oggetti posti nella periferia del nostro sistema solare. Ovvero lo studio di quegli oggetti che si trovano nella cosiddetta Cintura di Kuiper: è una regione a forma di disco situata oltre l’orbita di Nettuno, all’incirca fra 30 e 100 Ua dal Sole (una Ua è la distanza che c’è tra la terra e il sole), la quale contiene molti corpi ghiacciati, ed è considerata la fonte delle comete a breve periodo. Sulle dimensioni di questi corpi si fanno, per ora, soltanto delle ipotesi, anche perché non se ne conosce la sostanza di cui è fatta la superficie. Gli astronomi della Specola le studiano queste comete. Anche se la distanza tra loro e la Cintura è ancora abissale.
Padre Funes lo dice chiaro: “Quanto diciamo qua dentro. Molte delle scoperte che facciamo. Molte delle conclusioni a cui arriviamo sono le medesime alle quali arrivò padre Angelo Secchi nell’Ottocento”. Questo tanto per dire che sì, hai voglia a ricercare e a ricercare ancora. Oggi, è un signore dell’Ottocento ad essere considerato il migliore. Già, perché alla Specola padre Secchi è una presenza viva, mica morta. Gesuita, venne chiamato a dirigere l’Osservatorio del Collegio Romano. Primo a classificare gli astri in base ai loro spettri, studiava il cielo dal tetto della chiesa di San Filippo Neri, a Roma. Lo faceva da astronomo certo. Ma soprattutto da fisico. Studiava geodesia, spettroscopia stellare, fisica solare, geofisica, meteorologia, idraulica, lasciando in tutti i suoi studi un segno degno di nota. Un’impronta, insomma, che oggi hai voglia a cancellare. Non è a caso, infatti, che sia considerato un pioniere, se non il fondatore, dell’astrofisica. “Le domande che mi pongo io oggi intorno alla vita nell’universo e le risposte che provo a darmi – dice padre Funes – sono le medesime che si diede Secchi. C’è, poco di nuovo. Tutti siamo debitori di Secchi. Noi, in qualche modo, stiamo ancora un passo dietro di lui”.
Tra queste domande, anche quella circa l’estensione dell’universo: “Sul tema dell’estensione spaziale e temporale dell’universo ci spono varie ipotesi. Io lo giudico finito a 14 miliardi di anni ma so che altri lo ritengono infinito. Ci sono teorie interessanti in proposito, per esempio quella del cosiddetto multiverso, anche se finora restano meramente speculative”. Come sempre, insomma, il problema è provare la scientificità delle teorie. Una prova difficile. Talmente difficile che la maggior parte delle domande “astronomiche” più che risposte sono ipotesi. O meglio, abbozzi d’ipotesi.
Il 3 settembre di un anno fa padre Funes è stato ricevuto in udienza privata da Benedetto XVI. “Il Papa – spiega – ci ha chiesto delle nuove leve”. Sarebbero? “I nuovi gesuiti che studiano astronomia e che intendono venire a lavorare alla Specola. Sono cinque. Tanti se si pensa che qui siamo una dozzina”.
Ma il Papa, padre Funes, l’ha incontrato pure il 16 settembre scorso. È’ arrivato ad Albano per inaugurare la nova sede. Qui, tra antichi telescopi e astrolabi, si è soffermato davanti alla ricca collezione di meteoriti da cui gli studiosi ricavano preziose informazioni sui primordi del sistema solare. Il Papa ha prelevato dalla bacheca alcuni reperti a cominciare da quello di Nakhla che sarebbe piovuto sulla terra dal Pianeta rosso milioni di anni fa. Poi ha toccato un grosso pezzo del Canyon Diablo, l’enorme meteorite che circa decine di migliaia di anni fa colpì la terra in Arizona, nel punto dove ora si trova il cratere più famoso del mondo. Infine ha ammirato un piccolo frammento di terreno lunare.
Poi la biblioteca. Il giovane astronomo David Brown, laureato a Oxford, gli ha mostrato antiche edizioni di opere che hanno fatto la storia dell’astrofisica e della cosmologia: ‘De revolutionibus orbium coelestium di Copernico’; ‘Epitome astronomiae’ di Keplero; ‘Philosophiae naturalis principia mathematica’ di Newton.
“Ho parlato al Papa del libro ‘The hevavens proclaim. Astronomy and Vatican’ edito dalla Libreria Editrice Vaticana – spiega padre Funes –. E ho fatto ripercorrere al Pontefice la storia di uno degli osservatori astronomici più antichi del mondo, la cui origine risale alla seconda metà del sedicesimo secolo, quando Gregorio XIII fece erigere in Vaticano la Torre dei Venti, invitando i gesuiti astronomi e matematici del Collegio Romano a preparare la riforma del calendario che porta il suo nome, realizzato poi nel 1582. Sulla base di questa tradizione Leone XIII, per contrastare le accuse di oscurantismo rivolte alla Chiesa, con il motu proprio Ut mysticam del 14 marzo 1891 rifondò poi l’Osservatorio sul colle Vaticano, dietro la basilica di San Pietro”.
La nuova sede della Specola ad Albano si trova negli antichi locali del monastero delle basiliane. Qui vi sono uffici e biblioteca. Poi la sala conferenze, la zona scuola e la residenza della comunità dei gesuiti. C’è anche una foresteria per gli ospiti, destinata ad accogliere studiosi e ricercatori. Nell’antica sede del palazzo pontificio, invece, ci sono ancora i due telescopi più grandi sotto le cupole della terrazza – quello visuale Carl Zeiss e il doppio astrografo – oggi utilizzati per scopi didattici. E poi nelle Ville Pontificie vi sono altri due strumenti di osservazione di grande valore storico: il telescopio Schmidt, che veniva usato per la ricerca prima della fondazione del centro in Arizona, e il telescopio detto Carte du ciel. Telescopi inventati da uomini di scienza e uomini di fede assieme.
Chi fa meglio l’astronomo, l’ateo o l’uomo di fede? “Secondo una mentalità diffusa – spiega padre Funes –, per diventare uno scienziato bisogna essere per forza atei. Non è vero. Lo ha detto molto bene il Papa nella messa dell’Epifania, quando ha ricordato i ‘non pochi scienziati che sulle orme di Galileo non rinunciano né alla ragione né alla fede, anzi, le valorizzano entrambe fino in fondo, nella loro reciproca fecondità’. Io ho scelto di fare l’astronomo perché credo che nell’universo è possibile trovare Dio. E continuo a farlo con la stessa convinzione”.
Studiare l’universo per cercare Dio, dunque. Una ricerca che oggi appare ancora senza fine. Lo sa padre Funes. Ma lui, imperterrito, continua a cercare. Anche perché, tra le altre cose, a chiederglielo non è proprio l’ultimo arrivato. È direttamente il Papa.

Pubblicato sul Foglio sabato 31 ottobre 2009

© Copyright Il Foglio, 2 novembre 2009 consultabile online anche qui, sul blog di Rodari.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Segnalo un interessantissimo articolo scritto dall'arcivescovo di New York e ripreso anche da Rodari nel suo blog.


http://www.archny.org/news-events/columns-and-blogs/blog---the-gospel-in-the-digital-age/index.cfm?i=14042

Antonio