domenica 12 luglio 2009

Secondo Campanini (Avvenire) nel Concilio c'è il nuovo inizio della dottrina sociale della Chiesa. Non sono affatto d'accordo...


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Dispiace che sia proprio Avvenire a sposare la tesi della "rottura" pre e postconciliare.
Nell'enciclica del Papa c'e' scritto altro...
Leggiamo e commentiamo
.
R.

Nel Concilio Vaticano II il nuovo inizio della dottrina sociale della Chiesa

DI GIORGIO CAMPANINI

Un importante aspetto della Caritas in veritate, fin qui non adeguatamente considerato dai pur ricchi ed articolati commen­ti di cui l’enciclica è stata fatta og­getto, è quella sorta di « ricentra­mento » che essa opera in ordine al­la dottrina sociale della Chiesa.
Co­me ben noto, a lungo il magistero so­ciale ha fatto riferimento alla Rerum novarum di Leone XIII e ne ha ricor­rentemente celebrato i più impor­tanti anniversari, dalla Quadragesi­mo anno di Pio XI al radiomessaggio del 1941 di Pio XI, dalla Mater et ma­gistra di Giovanni XXIII (1961) alla Octogesima adveniens di Paolo VI (1981). Con la Caritas in veritate av­viene un ulteriore ricentramento, e­merge un nuovo punto di vista, rap­presentato non più dalla Rerum no­varum ma dal Concilio Vaticano II.
È lo stesso Benedetto XVI, infatti, – prendendo lo spunto per l’avvio del suo discorso dalla Populorum pro­gressio – a sottolineare come questa enciclica sia strettamente connessa con il messaggio del Concilio Vatica­no II.
Tale legame «non rappresenta una cesura tra il Magistero sociale di Paolo VI e quello dei Pontefici suoi predecessori, dato che il Concilio co­stituisce un approfondimento di ta­le magistero nella continuità della vita della Chiesa» (n. 12).
E tuttavia viene meno, di fatto, il quasi rituale riferimento alla Rerum novarum e viene avviato una sorta di «nuovo i­nizio », quello appunto rappresenta­to dal Vaticano II, poi continuamen­te richiamato nel testo della nuova enciclica. Non si tratta in alcun mo­do di una «sconfessione» della pre­cedente impostazione, ma la Rerum novarum , come gran parte del suc­cessivo magistero della Chiesa, ri­sentiva di un approccio che avrebbe voluto essere universalistico ma era in realtà «occidentalistico». Il fatto che di questo « nuovo corso » della dottrina sociale della Chiesa venga assunto a simbolo la Populorum pro­gressio e che di essa ( non più del­l’enciclica leoniana) sia stato volu­tamente celebrato dapprima il 20° (Sollicitudo rei socialis) e poi il 40°, con la Caritas in veritate , sta a signi­ficare questo importante mutamen­to di prospettiva, che trova le sue ra­dici nell’avvenimento conciliare.
Senza mettere nel dimenticatoio u­na ricca stagione di riflessione idea­le e di impegno operativo dei catto­lici – quella, appunto, cui la Rerum novarum ha dato impulso – una nuo­va stagione si apre ora, nei nuovi sce­nari della globalizzazione ampia­mente esplorati in questa enciclica di Benedetto XVI.
Al centro di questa nuova prospettiva sta ormai non tan­to la «questione sociale« quanto la « questione antropologica » , il pro­blema, cioè, di dare una risposta ra­pida ed insieme convincente ai pro­blemi dell’uomo, a partire da una più equa distribuzione dei beni della ter­ra come espressione di quella emi­nente carità – operosa e fattiva, ca­pace di incidere non soltanto sulle coscienze ma anche sulle strutture – che è il nucleo centrale del messag­gio cristiano. Non è soltanto la dura realtà delle cose ma soprattutto l’a­scolto umile e paziente della Parola – come mette in evidenza Benedet­to XVI in una serie di importanti pas­saggi della sua enciclica – che legit­tima e fonda l’impegno dei credenti nella storia.
Nel loro agire il magi­stero del Concilio Vaticano II assu­me un significato determinante, so­prattutto per la lettura che, in parti­colare nella Gaudium et Spes , esso ha fatto dei «segni dei tempi». Anche la globalizzazione è uno di questi «segni»: spetta ai credenti coglierne appieno le potenzialità umanizzan­ti, in spirito di collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà.

© Copyright Avvenire, 11 luglio 2009

No, non ci siamo...
Nell'enciclica di Papa Ratzinger viene ribadito il concetto fondamentale, imprescindibile (mi dispiace per chi si strappa i capelli), della "ermeneutica della riforma", del "rinnovamento nella continuita'.
Ne abbiamo parlato ieri nel post dedicato proprio a questo aspetto.
Lo stesso Papa ne parla chiaramente e scrive
:

"Il legame tra la Populorum progressio e il Concilio Vaticano II non rappresenta una cesura tra il Magistero sociale di Paolo VI e quello dei Pontefici suoi predecessori, dato che il Concilio costituisce un approfondimento di tale magistero nella continuità della vita della Chiesa [19]".

Non ci sono se e non ci sono ne' ma e tuttavia, caro Campanini!
Non c'e' alcuna rottura fra il Magistero preconciliare e quello postconciliare. Caspisco che dispiaccia, ma ricordo che la Chiesa e' nata duemila anni fa, non cinquanta anni fa, e che e' stato fondata da Cristo, non certo dal Concilio Vaticano II
.
R.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Quello della novità, del "nuovo mondo" che sarebbe nato solo 50 o 60 anni fa per noi, "nuova" umanità più evoluta, più umana e, finalmente, più "adulta" è il solo tipo di razzismo che i cosiddetti progressisti si possono permettere per non turbare le loro anime belle. Si, poichè così riescono a coltivare il loro senso di supriorità senza scandalo, non applicandolo ai vivi ma solo a quegli zoticoni dell'aborrito passato, quando eravamo (anzi, erano) animali. Lo stesso razzismo politicamente corretto riescono poi ad applicarlo ipocritamente ai popoli lontani, che proprio a causa di tale lontananza da noi non riescono a scrollarsi di dosso tutti i burka del loro attuale medioevo (che schifo il medioevo!). Inutile insistere con costoro. Si sentono unti del Signore, anche loro popolo eletto a cui tutto è permesso, tutto sarà perdonato (ma di cosa dovrebbero mai farsi perdonare, d'altronde?).

Fabiola ha detto...

Hai già detto quasi tutto tu.
Ciò che impressiona è che ci si serva di un documento papale per correggere e forzare con i "tuttavia" ciò che nel documento stesso è dichiarato a chiare lettere. E' gia accaduto altre volte. (ad esempio la cosiddetta Scuola di Bologna che ha tentato di annettersi Benedetto XVI circa l'interpretazione del Concilio provando a stravolgerne i pronunciamenti).
E temo che sia solo l'inizio. La netura stessa e la complessità del testo come la stesura a più mani stanno già connsentendo di dirne tutto e il contrario di tutto. Una lettura dell'enciclica "fai da te": in genere, ovviamente, oscurandone i fondamenti.

Lapis ha detto...

mi trovate d'accordo! Di solito quando esce un'enciclica sociale i media sono tendenzialmente più "morbidi" nei confronti dei pontefici; difficile trovare attacchi frontali e totali verso documenti che parlano in maniera diretta di aiuto ai poveri, di sviluppo della persona umana, di distribuzione della ricchezza...
il rischio si sposta allora su un altro piano, sulla selezione di singoli passaggi che possano servire, a ciascun commentatore, pro domo sua, di rafforzare la tesi che intende dimostrare.
Anche questo è un modo come un altro per stravolgere il Magistero della Chiesa, così come, a mio parere, lo è il contrapporre, a quanto ho visto fare, le encicliche dedicate alla fede a quelle che parlano della carità.
Come se quando la Chiesa parla dell'una non implicasse anche l'altra e viceversa.

Buona domenica a tutti voi