venerdì 5 giugno 2009

Vigilia d'enciclica. E dalla Germania rispunta Marx (Magister)


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Vigilia d'enciclica. E dalla Germania rispunta Marx

A poche settimane dalla pubblicazione della "Caritas in veritate" il giurista cattolico tedesco Ernst-Wolfgang Böckenförde, molto stimato dal papa, vuole che sia la Chiesa a scrivere il definitivo "manifesto" contro il capitalismo. Che va rovesciato dalle fondamenta, in quanto disumano

di Sandro Magister

ROMA, 5 giugno 2009

Dell'enciclica economico-sociale che è da tempo in gestazione si conoscono le prime parole latine: "Caritas in veritate". Si pronostica che sarà firmata dal papa il 29 giugno e diffusa all'inizio dell'estate. Si sa che è passata attraverso vari rifacimenti, che fino all'ultimo hanno lasciato Benedetto XVI insoddisfatto.
A differenza dell'enciclica sulla speranza, scritta personalmente dal papa dalla prima riga all'ultima, e a differenza dell'enciclica sulla carità, la cui prima metà è anch'essa tutta di scrittura papale, alla "Caritas in veritate" hanno lavorato molte menti e molte mani.
Ma Benedetto XVI vi lascerà in ogni caso la sua impronta, già visibile nelle parole del titolo che coniugano indissolubilmente carità e verità.
Su quale sarà questa impronta la curiosità è forte. Perché poco si conosce del pensiero di Joseph Ratzinger in materia d'economia. In tutta la sua sterminata produzione di saggi, solo uno risulta dedicato espressamente a questo tema.
È una conferenza in lingua inglese del 1985 dal titolo: "Market economy and ethics".
In quella sua conferenza, Ratzinger sosteneva che un'economia che si priva di ogni fondamento etico e religioso è destinata al collasso.
Oggi che un collasso effettivamente c'è stato, si attendono quindi da Benedetto XVI analisi e proposte più circostanziate.
Pochi mesi fa, rispondendo alla domanda di un sacerdote di Roma, il papa si espresse così:

"È dovere della Chiesa denunciare gli errori fondamentali che si sono oggi mostrati nel crollo delle grandi banche americane. L'avarizia umana è idolatria che va contro il vero Dio ed è falsificazione dell'immagine di Dio con un altro Dio, Mammona. Dobbiamo denunciare con coraggio ma anche con concretezza, perché i grandi moralismi non aiutano se non sono sostenuti dalla conoscenza della realtà, che aiuta a capire che cosa si può in concreto fare. Da sempre la Chiesa non solo denuncia i mali, ma mostra le strade che portano alla giustizia, alla carità, alla conversione dei cuori. Anche nell'economia la giustizia si costruisce solo se ci sono i giusti. E costoro si formano con la conversione dei cuori".

Era il 26 febbraio 2009 e l'enciclica era in fase di stesura. Quelle parole del papa ebbero l'effetto di accrescere la curiosità.

***

Ma la curiosità si è fatta ancor più pressante da quando è uscito, in maggio, l'articolo bomba di uno studioso tedesco che Ratzinger ha sempre letto con interesse e con stima.
Lo studioso è Ernst-Wolfgang Böckenförde, coetaneo del papa, cattolico, filosofo, insigne scienziato della politica. Fece epoca nel 1967 un suo saggio nel quale egli sosteneva ciò che fu poi definito "il paradosso di Böckenförde": la tesi secondo cui "lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non può garantire".
Da questa tesi presero spunto il 19 gennaio 2004 l'allora cardinale Ratzinger e il filosofo francofortese Jürgen Habermas per un dibattito a Monaco di Baviera, sul tema: "Etica, religione e Stato liberale".
Ebbene, in un articolo per la "Süddeutsche Zeitung" pubblicato in maggio anche in Italia dalla rivista dei religiosi dehoniani di Bologna "Il Regno" – e riprodotto integralmente più sotto – Böckenförde ha applicato il suo "paradosso" anche al capitalismo, ma in termini molto più devastanti.
A suo giudizio, i principi su cui si fonda il sistema economico capitalista non reggono più. Il suo attuale crollo è definitivo e ha messo allo scoperto i fondamenti disumani di tale sistema. L'economia esige quindi d'essere ricostruita da capo, su principi non più di egoismo ma di solidarietà. Tocca agli Stati, in primis all'Europa, prendere il controllo dell'economia. E tocca alla Chiesa, con la sua dottrina sociale, raccogliere il testimone da Marx, che aveva visto giusto.
Contro il "manifesto" anticapitalista di Böckenförde hanno reagito, in Italia, gli economisti cattolici più accreditati presso la Chiesa, intervistati da "il Foglio": Luigi Campiglio, prorettore dell'Università Cattolica di Milano; Dario Antiseri, filosofo e cultore della scuola economica liberale di Vienna; Flavio Felice, docente alla Pontificia Università Lateranense e presidente del Centro studi Tocqueville-Acton; Ettore Gotti Tedeschi, banchiere e commentatore economico per "L'Osservatore Romano".
In particolare, Antiseri obietta che "rivalutare oggi Marx è come continuare ad essere tolemaici dopo Copernico e Newton"; che "l'individualismo è l'opposto del collettivismo, non del solidarismo, e questo è possibile solo se si creano ricchezze da condividere, come avviene nelle società capitalistiche"; e infine che da Benedetto XVI non si può aspettare che si discosti dalla "Centesimus annus" di Giovanni Paolo II e dalla "Rerum novarum" di Leone XII con la sua "difesa lucida e appassionata della proprietà privata".
Flavio Felice contesta in Böckenförde la visione irreale di una "economia angelica" alternativa a un capitalismo identificato con la pura bramosia del guadagno. E a proposito del controllo salvifico dello Stato sull'economia fa notare che l'enciclica di Giovanni Paolo II "Centesimus annus", al paragrafo 25, mette in guardia proprio da questa utopia: "Quando gli uomini ritengono di possedere il segreto di un'organizzazione sociale perfetta che renda impossibile il male, ritengono anche di poter usare tutti i mezzi, anche la violenza o la menzogna, per realizzarla. La politica diventa allora una 'religione secolare', che si illude di costruire il paradiso in questo mondo".
Ettore Gotti Tedeschi osserva che Böckenförde si scaglia contro un capitalismo di matrice protestante in cui dominano l'egoismo e l'incapacità dell'uomo di fare il bene. Ma non si avvede che c'è un capitalismo che concorda con la dottrina cattolica, del quale i papi da Leone XIII a Giovanni Paolo II hanno denunciato gli errori ma apprezzato la validità di fondo, legata alla proprietà privata e alla libertà di investire e di commerciare.
In un articolo su "Il Sole 24 Ore" – il quotidiano economico più diffuso d'Europa – Gotti Tedeschi ha sostenuto che l'attuale dissesto mondiale non nasce dagli eccessi di avidità o dalla mancanza di regole. Questi hanno aggravato la crisi, ma non l'hanno causata. La vera causa è stata la riduzione delle nascite, e quindi di quel capitale umano che solo poteva assicurare la necessaria crescita di produzione della ricchezza.
L'attacco frontale portato da Böckenförde al capitalismo dovrà comunque misurarsi con la risposta che la "Centesimus annus", al paragrafo 42, dà alla domanda se il capitalismo sia un sistema che corrisponde al "vero progresso economico e civile".

La risposta dell'enciclica è la seguente:

"Se con 'capitalismo' si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di economia d'impresa, o di economia di mercato, o semplicemente di economia libera".
Nel suo articolo, lo studioso tedesco chiede invece alla dottrina sociale della Chiesa di risvegliarsi dal suo "sonno di bella addormentata" e applicarsi a una "radicale contestazione" del capitalismo, resa obbligata dal suo attuale "evidente crollo".
Dopo la pubblicazione della "Caritas in veritate" sarà quindi interessante anche come Böckenförde la commenterà.
Ma ecco intanto, qui di seguito, il suo articolo bomba, apparso in Italia su "Il Regno" n. 10 del 2009:

L'uomo funzionale. Capitalismo, proprietà, ruolo degli Stati

di Ernst-Wolfgang Böckenförde

La crisi bancaria e di conseguenza economica che ci ha investiti ed è ancora ben lontana dal finire solleva molte domande. È stata causata dall’irresponsabilità e dall’avidità di svariate banche, specialmente banche d’investimento? Oppure dalla mancanza di rigide regole per i mercati finanziari internazionali, dal mancato funzionamento della sorveglianza su banche e finanza, dalla separazione e indipendenza di un’economia finanziaria virtuale (e acrobatica), dall’economia reale della produzione e dei beni? Probabilmente vi hanno contribuito parecchi fattori del genere, collegati a un’ingenua fiducia in un mercato "libero" e senza regole.
Ma la ricerca delle cause unicamente in questa direzione non ci porta lontano. Infatti quel sistema che si è venuto costituendo in questo campo per decenni con successo e con ampi profitti materiali ma anche con una crescente distanza fra poveri e ricchi, quel "turbo-capitalismo" (così chiamato da Helmut Schmidt) che con la globalizzazione mondiale ha raggiunto una nuova qualità, prima di provocare un crollo, non può essere definito e spiegato solo facendo riferimento a comportamenti sbagliati di singole persone o anche di gruppi.
Questo certamente può aver contribuito, ma più globalmente si tratta dei frutti di un sistema d’interazione consolidato e molto diffuso che segue una propria logica funzionale, e a essa sottopone tutto il resto. Questo sistema d’interazione si è trasformato in un sistema d’azione: il capitalismo moderno. Esso forgia il comportamento economico (e in parte anche non economico) dei singoli e lo integra nel sistema. Q uesti sono certamente gli attori, ma nel loro comportamento non seguono tanto un proprio libero impulso, quanto piuttosto gli stimoli derivanti dal sistema e dalla sua logica funzionale.

IL CARATTERE DISUMANO DEL CAPITALISMO

Ma come si presenta più precisamente il capitalismo moderno come sistema d’azione? In questo ci può aiutare un grande sociologo umanistico del secolo scorso, Hans Freyer. Nel suo libro "Theorie des gegenwärtigen Zeitalters [Teoria dell’epoca attuale]" egli parla dei "sistemi secondari" come prodotti specifici del mondo industrializzato moderno e ne analizza con precisione la struttura (1).
I sistemi secondari sono caratterizzati dal fatto di sviluppare processi d’azione che non si collegano a ordinamenti preesistenti, ma si basano su pochi principi funzionali, da cui sono costruiti e traggono la loro razionalità. Questi processi d’azione integrano l’uomo non come persona nella sua integralità, ma solo con le forze motrici e le funzioni che sono richieste dai principi e dalla loro attuazione. Ciò che le persone sono o devono essere resta al di fuori.
I processi d’azione di questo tipo si sviluppano e si consolidano in un sistema diffuso caratterizzato dalla sua specifica razionalità funzionale, che si sovrappone – influenzandola, cambiandola e modellandola – alla realtà sociale esistente.
Ecco la chiave per l’analisi del capitalismo come sistema d’azione. Esso si basa su poche premesse: libertà generale dell’individuo e di associazioni di individui in materia di acquisti e contratti; piena libertà in materia di trasferimenti di merci, affari e capitali al di fuori dei confini nazionali; garanzia e libera disposizione della proprietà personale (compreso il diritto di successione), intendendo con proprietà il possesso di beni e denaro ma anche di sapere, tecnologia e capacità.
L’obiettivo funzionale è la generale liberazione di un interesse lucrativo potenzialmente illimitato, nonché delle potenzialità di guadagno e di produzione, che operano sul libero mercato ed entrano in competizione fra loro. La spinta decisiva è data da un individualismo egoistico che spinge le persone coinvolte ad acquistare, innovare e guadagnare. Tale spinta costituisce il motore, il principio attivo; non persegue un obiettivo contenutistico preesistente, che fissa misura e limiti, ma un’illimitata dilatazione di sé, la crescita e l’arricchimento. Perciò bisogna eliminare o accantonare tutti gli ostacoli e tutti i regolamenti che non sono richiesti dalle succitate premesse. L’unico principio regolativo deve essere il libero mercato.
Il punto di partenza e la base della costruzione non sono il soddisfacimento dei bisogni degli uomini e il loro crescente benessere; essi seguono il processo e il suo progresso, sono per così dire una conseguenza del sistema funzionante. Il diritto e lo Stato come suo tutore hanno unicamente il compito di assicurare la possibilità di sviluppo e il funzionamento di questo sistema d’azione. Sono una variabile funzionale, non una forza preesistente di ordinamento e limitazione.
Il dinamismo e l’influenza sui comportamenti di un tale sistema sono enormi. Lo stesso sistema diventa, ed è, soggetto di commercio. Realizzazione di profitti, crescita del capitale, aumento della produzione e della produttività, autoaffermazione e crescita sul mercato costituiscono il principio motore e dominante, la cui razionalità funzionale integra e subordina tutto il resto. I lavoratori vengono presi in considerazione solo in base alla funzione che svolgono e ai costi che comportano, per cui si riducono al minor numero possibile. La loro sostituzione, dove possibile, con macchine o tecnologie automatizzate per ridurre i costi appare non solo razionale ma economicamente necessaria.
La compensazione per i problemi sociali e i licenziamenti che ne derivano non rientra in questa logica funzionale, ma viene demandata allo Stato e alla sua funzione di garanzia, che proprio per questo può imporre tasse e chiedere contributi, che comunque comportano ancora dei costi per le imprese. Il principio strutturante non è la solidarietà verso le persone e tra loro; essa viene presa in considerazione solo come riparazione per bloccare, e in parte compensare, le conseguenze dannose e disumane del sistema, che si sviluppa in base alla propria logica interna.
Non si possono mettere in dubbio le straordinarie realizzazioni in termini economici e di benessere che il capitalismo così strutturato produce non solo in singoli paesi, ma oggi anche a livello mondiale, nonostante tutte le sue mancanze e deficienze; noi stessi, abitanti dell’Occidente, ne traiamo grandi profitti. Tuttavia non si può non vedere che si tratta di un processo in continua progressione. In base alla sua stessa dinamica esso cerca continuamente di estendersi e d’integrare nella sua logica funzionale tutti gli ambiti della vita nella misura in cui hanno un lato economico, con ampie ripercussioni anche nel campo della cultura e dello stile di vita personale. Di qui il dilagare del tratto economicistico in tutti gli aspetti della vita. Oggi lo constatiamo soprattutto nel sistema sanitario.

MARX AVEVA VISTO GIUSTO

Già più di 150 anni fa Karl Marx lo aveva chiaramente analizzato ed espresso e si resta colpiti dall’attualità della sua prognosi: "Grazie allo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi. Ha privato l’industria del suo fondamento nazionale. Le antichissime industrie nazionali sono state e sono giornalmente annientate. Vengono rimpiazzate da industrie nuove, la cui introduzione diventa una questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili, industrie che non lavorano più materie prime locali, bensì materie prime importate dalle zone più lontane e in cui i prodotti non vengono consumati esclusivamente nel paese ma dappertutto nel mondo. […] Al posto dell’antica autosufficienza e dell’isolamento locale e nazionale subentra un traffico universale, un’universale dipendenza reciproca fra le nazioni. E come nella produzione materiale, così anche in quella intellettuale. Grazie al celere miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, alle comunicazioni rese estremamente più agevoli, la borghesia porta la civiltà a tutte le nazioni. I bassi prezzi delle sue merci sono l’artiglieria pesante con cui essa rade al suolo tutte le muraglie cinesi, […] costringe tutte le nazioni ad adottare, se non vogliono morire, il modo di produzione borghese" (2).
Per il nostro tempo bisogna aggiungere che, grazie a una perfetta organizzazione a livello mondiale del trasporto di container via mare, i costi di trasporto di merci e prodotti sono minimi, per cui le grandi distanze non scoraggiano più, ma piuttosto stimolano il commercio a livello mondiale.
E non è al di fuori dello sviluppo, ma corrisponde piuttosto alla sua logica, il fatto che, nella ricerca di possibilità di guadagno sempre nuove, si diffondano sempre più, nel campo dei mercati finanziari, gli affari basati unicamente su capitale fittizio e sulla sua moltiplicazione, con la tendenza a non tener conto dei dati dell’economia reale e a danneggiarli. Karl Marx aveva già visto anche questo (3).
Lo Stato e il diritto possono certamente dall’esterno fissare limiti al sistema del capitalismo e imporgli regole, limitare gli eccessi e le conseguenze inaccettabili, nella misura in cui l’ordinamento statale, che da parte sua è vincolato alla promozione di un’economia favorevole alla crescita, ha la forza per farlo. E in una certa misura lo fa anche. Tuttavia anche in caso di riuscita questa rimane una correzione marginale, che deve essere estorta alla logica funzionale del sistema, in quanto quest’ultima mira sempre alla maggiore deregolamentazione possibile.

ROVESCIARE IL CAPITALISMO DALLE FONDAMENTA

Di che cosa soffre quindi il capitalismo? Non soffre solo a causa dei suoi eccessi e dell’avidità e dell’egoismo degli uomini che in esso operano. Soffre a causa del suo punto di partenza, del suo principio funzionale e della forza che crea il sistema. Perciò è impossibile guarire questa malattia con rimedi marginali; la si può guarire solo cambiando il punto di partenza.
Bisogna sostituire l’esteso individualismo in materia di proprietà, che prende come punto di partenza e principio strutturante il profitto dei singoli potenzialmente illimitato, considerato diritto naturale e non soggetto ad alcun orientamento contenutistico, con un ordinamento normativo e una strategia d’azione, basati sul principio secondo cui i beni della terra, cioè la natura e l’ambiente, i prodotti del suolo, l’acqua e le materie prime non appartengono a coloro che per primi se ne impossessano e le sfruttano, ma sono destinati a tutti gli uomini, per il soddisfacimento delle loro necessità vitali e per il raggiungimento del benessere.
È un principio radicalmente diverso; punto di partenza e di riferimento ne è la solidarietà degli uomini nel loro vivere insieme e in competizione. È da qui che bisogna dedurre le norme fondamentali in base alle quali informare i processi d’azione, economici ma anche non economici (4).
La scelta di un tale punto di partenza non è del tutto nuova. Si ricollega a un’antica tradizione, che si è persa solo al momento del passaggio all’individualismo della proprietà e al capitalismo. Tommaso d’Aquino, il grande teologo e filosofo del Medioevo, afferma esplicitamente che in base al diritto naturale, cioè all’ordinamento della natura voluto da Dio, i beni terreni sono ordinati al soddisfacimento dei bisogni di tutti gli uomini. La proprietà privata del singolo esiste solo nel quadro di questa destinazione universale, e subordinata ad esso. Essa non appartiene al diritto naturale in sé, ma è un’aggiunta legislativa che si giustifica per motivi pratici, perché ognuno cura maggiormente ciò che appartiene a lui stesso, piuttosto che a tutti insieme, perché è più conforme allo scopo che ognuno possieda e amministri le cose da se stesso e, infine, perché la proprietà privata favorisce la pace fra gli uomini (5). Poi Tommaso distingue anche fra possesso, amministrazione e uso di ciò che si possiede. Mentre il primo spetta solo al singolo individuo, l’uso deve tener conto del fatto che i beni esteriori, in base alla loro destinazione originaria, sono comuni, per cui chi ne è provvisto deve condividerli di sua volontà con i poveri (6). Perciò per Tommaso, in caso di estrema necessità, il furto non è peccato (7).
Qui compare un modello che è contrario al capitalismo. Un modello che parte da altri principi fondamentali e così smaschera anche il carattere disumano del capitalismo. La solidarietà non appare più come una riparazione, per bloccare e compensare le conseguenze dannose di uno sbrigliato individualismo in materia di proprietà, ma come un principio strutturante della convivenza umana anche in ambito economico.
Questo punto di partenza opera in molti modi: attribuzione dei prodotti del suolo e delle materie prime naturali; relazione con i beni di consumo e l’ambiente, natura, acqua e aria; ruolo direttivo di ciò che è lavoro rispetto al capitale; limiti all’accumulazione di proprietà e di capitali; riconoscimento degli altri esseri umani – anche delle future generazioni – come soggetti e partner nel campo dell’uso, del commercio e del possesso invece che oggetti di possibile sfruttamento.
In questo modo si ha un quadro normativo, all’interno del quale il senso del possesso e dell’uso personale, la garanzia della proprietà possono e devono avere il loro significato pragmatico e la loro funzione come forze motrici del processo economico e del suo progresso. Ma rimangono legati al concetto prioritario della solidarietà, che offre orientamento contenutistico e pone dei limiti a un’espansione illimitata.

DOPO MARX, È L'ORA DELLA CHIESA

Non è questa la sede per elaborare in dettaglio un tale modello teorico e pratico ispirato dal principio di solidarietà. I fondamenti per farlo si trovano nella tradizione della dottrina sociale cristiana. Basta risvegliarli dal loro sonno di bella addormentata nel bosco e applicarsi con decisione a tradurli in pratica.
Questa dottrina sociale della Chiesa ha assunto a lungo nei riguardi del capitalismo, impressionata dai suoi indiscutibili successi, un atteggiamento piuttosto difensivo. Essa lo ha criticato su punti specifici invece di metterlo in discussione in quanto tale. L’attuale evidente crollo del capitalismo a causa della sua espansione illimitata e quasi sregolata può, e dovrebbe, permettere alla dottrina sociale della Chiesa una sua radicale contestazione.
Per questo il magistero sociale può richiamarsi semplicemente a papa Giovanni Paolo II, il critico più lucido ed energico del capitalismo dopo Karl Marx. Già nella sua prima enciclica egli intraprese una valutazione del sistema in quanto tale, delle strutture e dei meccanismi che dominano l’economia mondiale nel campo delle finanze e del valore del denaro, della produzione e del commercio. A suo avviso, essi si sono dimostrati incapaci di rispondere alle sfide e alle esigenze etiche del nostro tempo (8). L’uomo "non può diventare schiavo delle cose, schiavo dei sistemi economici, schiavo della produzione, schiavo dei suoi propri prodotti" (9).
Ma il nuovo orientamento solidaristico e la trasformazione di un esteso sistema d’azione economico che, come abbiamo mostrato, non tiene conto della natura e della vocazione dell’uomo, e anzi le contraddice, non avviene da sé. Richiede un potere statale in grado di agire e decidere, che oltrepassi la mera funzione di garanzia dello sviluppo del sistema economico e di accertamento del parallelogramma delle forze, ma assuma efficacemente la responsabilità del bene comune mediante la limitazione, l’orientamento e anche il rifiuto del perseguimento del potere economico, cercando continuamente di ridurre al tempo stesso le disuguaglianze sociali.
È impossibile realizzare una tale trasformazione con semplici interventi di coordinamento. Ma dove si trova oggi una tale statualità? Di fronte all’intreccio economico mondiale la forza dello Stato nazionale non è più sufficiente; sarà sempre sconfitta dalle forze economiche che operano a livello mondiale. D’altra parte, è impossibile organizzare una statualità a livello mondiale, sotto forma di Stato planetario. Lo si può fare solo per e in aree limitate, che sono in relazione fra loro e collaborano. L’appello è rivolto quindi anzitutto all’Europa. Ma essa avrà la volontà e la forza per farlo?

NOTE

(1) H. Freyer, "Theorie des gegenwärtigen Zeitalters", Deutsche Verlag-Amstalt, Stuttgart, 1956, p. 79ss.

(2) K. Marx, F. Engels, "Manifesto del partito comunista", Marietti, Genova, 1973, p. 60.

(3) K. Marx, "Das Kapital", vol. III, c. 25, Dietz-Verlag, Berlin, 1956, pp. 436-452.

(4) Cfr. E.-W. Böckenförde, "Ethische und politische Grundsatzfragen zur Zeit", in Id., "Kirche und christilicher Glaube in der Herausforderungen der Zeit", Münster, 2007, pp. 362-366.

(5) Tommaso d’Aquino, "Summa Theologiae", IIa-IIae, q. 66, art. 2 e art. 7.

(6) Ivi, q. 66, art. 2, resp.

(7) Ivi, art. 7, resp.

(8) Cfr. Giovanni Paolo II, "Redemptor hominis", 1979, n. 16. Cfr. inoltre: Id., "Laborem exercens", 1981; "Centesimus annus", 1991.

(9) Giovanni Paolo II, "Redemptor hominis", 1979, n. 16.

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2 commenti:

Scipione ha detto...

Ci mancava quessta uscita per ringalluzzire i tanti cattocomunisti che sotto le spoglie del cristianesimo di fatto venerano solo il marxismo.
Ma possibile che anche studiosi non certo sprovveduti continuino a riproporre Marx come vera alternativa o vera soluzione? Non nasce in nessuno un sospetto vedendo che da 200 anni queste due ideologie - marxismo e liberismo - si dividono il mondo e giocano alternativamente - a seconda dei periodi o dei luoghi - il ruolo di sistema o di alternativa al sistema? Di nemiche acerrime o di alleate (si pensi alla loro comune lotta al fascismo) ma di fatto convivono senza che nessuna delle due voglia davvero annientare l'altra?
Pensiamo alla gioventù dei principali stati capitalisti-liberisti che invariabilmente vive una fase di innamoramento marxista, pensiamo alle case editrici e alle istituzioni culturali degli stessi paesi che diffondono senza problemi e massicciamente il "credo" maraxista senza che questo preoccupi minimamente il sistema capitalistico che in apperenza è il suo vero mortale nemico e che quindi sarebbe sensato aspettarsi che si difendesse da - che reprimesse la - diffusione massiccia di un'idea tanto sovversiva e pericolosa per la sua sopravvivenza. E non si dica che il mondo liberale non reprime l'ideologia marxista appunto per liberale tolleranza... perchè quando incappa in veri antagonisti (come il Cattolicesimo) lo stesso mondo liberale dà prova di una capacità cinica e spietata di censura e repressione (la sua lotta contro il Cattolicesimo è inziata fin dal XVII secolo e nonostante le tante vittorie riportate specie durante e dopo la Rivoluzione francese, continua con nuovi e più subdoli mezzi oggi più che mai).
Questo è il punto... cane non mangia cane. Detto meno popolarmente (ma meno efficacemente) marxismo e capitalismo sono figli gemelli della medesima visione del mondo materialistico-tecnicistica (atea) sorta con l'illuminismo (e anche un po' prima). Inutile cecare in un fratello la soluzione dei mali creati dall'altro o viceversa... Finchè non si andrà alla radice del problema, appunto quel materialismo assoluto che ha disumanizzato l'esere umano e la sua storia, sarà vano ogni artificio politico o economico. Ci si pensi bene il "capitalismo", come semplice modo di organizzare le risorse economiche esisteva ben prima dl capitalismo moderno, e in un certo senso anche alcune forme di collettivismo sono rintracciabili nelle economie antiche e medievali.... Ma mai questi sistemi sono riusciti a crescere in modo abnorme sfuggendo di mano agli uomini e diventando delle "megamacchine" che di fatto hanno asservito gli uomini stessi e questo non perchè artifici politici o tecnici o economici o legali tenessero a bada quei sistemi ma solo perchè si trovavano ad agire in un mondo in cui la concezione dominante non era quella di un materialismo assoluto ed integrale, in cui a dominare era l'idea trascendente di Dio... esplicitamente come nel caso dell'età medievale che riconosceva il Dio cristiano, ma velatamente e implicitamente anche nell'età antiche in cui la religiosità sebbene non fosse ancora giunta a riconoscere la sua vera Via, era comnque un'esigenza certa e diffusa.
Quindi smettiamola di inseguire ricette materiali e diamo retta al magistero dei papi che da più di 200 anni e con maggiore acutezza di Marx hanno capito qual è il problema e sopratutto, a differenza sua - che ha solo vagamnte dscritto la malattia ma non ha trovato nè proposto alcuna valida cura - forniscono a tutti l'unica e vera medicina.
Un saluto a Raffaella e a tutti voi.

Raffaella ha detto...

Un saluto a te :-))