giovedì 5 marzo 2009

Inchiesta di Paolo Rodari: Il governo della curia romana al tempo di Papa Ratzinger. Parte terza


Vedi anche:

Inchiesta di Paolo Rodari: Il governo della curia romana al tempo di Papa Ratzinger. Parte seconda

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Inchiesta. Il governo della curia romana al tempo di Ratzinger: difficoltà e strategie per il dopo “caso Williamson” (Parte III)

mar 5, 2009 il Riformista

Paolo Rodari

Perché il governo della curia romana funzioni a dovere è necessario che tutti i canali del potere siano ben oliati, comunichino tra di loro senza intoppi e, soprattutto, senza che nessuno remi dalla parte sbagliata.
Nei recenti casi di mal governo vaticano, invece - dal caso Ratisbona al caso Williamson, tanto per citare due situazioni note a tutti -, si è avuta l’impressione che a giocare fossero tante monadi separate e, insieme, incapaci di fare squadra e spiegare al mondo, e soprattutto alla Chiesa, la ragionevolezza delle decisioni prese.
Coloro che nella curia romana sono chiamati a supportare il Papa nella difficile gestione del potere sono innanzitutto i prefetti delle nove congregazioni vaticane. Un tempo, fino alla riforma messa in campo da Paolo VI, la congregazione della curia con più peso era senz’altro quella che sull’annuario pontificio veniva chiamata “La Suprema”. Ovvero, la congregazione per la Dottrina della Fede. Il prefetto era direttamente il Pontefice, e cioè colui che quando afferma una dottrina o un dogma gode del principio dell’infallibilità.
Oggi il Papa ha conservato sulla congregazione un’attività di super visione, seppure la responsabilità della congregazione sia affidata a un prefetto il quale, ogni settimana, incontra il Pontefice per dipanare le questioni più importanti. È probabilmente per il fatto che con questa congregazione Benedetto XVI può dialogare con più frequenza che con altre, che Ratzinger ha deciso di nominare prefetto lo statunitense William Joseph Levada: non un “fulmine di guerra”, ma comunque un porporato fedele.
Oggi la congregazione strategicamente più importante e che necessariamente deve procedere in perfetta sintonia col Pontefice e con il segretario di Stato è quella dei Vescovi.
Il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della congregazione, ha il potere non da poco di nominare i vescovi. È lui, infatti, che propone al Papa una terna di nomi per gli incarichi vacanti decidendo chi e in quale ordine sia degno di farvi parte. Decide i trasferimenti e le promozioni dei vescovi. Le dimissioni per limiti di età. E, ancora, decide i cardinali: nel senso che quando promuove un presule in una diocesi che prevede la berretta cardinalizia, lo promuove di fatto al cardinalato.
Chi è il cardinale Re? Bresciano, visse l’escalation più importante della sua carriera quando nel 1989 Giovanni Paolo II lo nominò sostituto per gli affari generali della segreteria di Stato. In sostanza, il posto perfetto per succedere ad Angelo Sodano quando questi avesse lasciato la conduzione della stessa segreteria. Quando però il cardinale Lucas Moreira Neves lasciò la guida dei Vescovi, Re non ci pensò su più di tanto ad accettare la proposta di Wojtyla di esserne lui il successore.
Alla congregazione dei Vescovi, Re adottò inizialmente una politica filo wojtyliana. In sostanza, al contropotere rispetto al Papa rappresentato da Sodano egli mise in campo una politica di nomine filo papale, in sintonia perfetta (almeno inizialmente) con Stanislaw Dziwisz e col presidente della conferenza episcopale italiana Camillo Ruini.
Poi qualcosa è cambiato. Re, che di per sé ha sempre conservato i numeri necessari per sostituire Sodano al momento opportuno, una volta arrivato al soglio di Pietro Joseph Ratzinger ha compreso che la segreteria di Stato non gli sarebbe mai stata affidata.

E qui, usciti di scena Dziwisz e, poco dopo, Ruini, ha virato verso una politica più disponibile nei confronti delle istanze provenienti dalle varie conferenze episcopali.

Spieghiamo meglio: nel mondo, più che in Italia, le conferenze episcopali cercano di avere un potere reale. Le cupole delle conferenze e i nunzi vaticani che alle conferenze necessariamente si riferiscono, infatti, svolgono una costante politica di pressione sulla curia romana affinché i vescovi delle rispettive diocesi siano nominati tenendo conto del proprio indice di gradimento. E se le conferenze episcopali trovano un prefetto dei Vescovi disposto ad ascoltarle, il gioco è fatto.
Se c’è una pecca nella lunga, e a suo modo efficiente, gestione della congregazione dei Vescovi da parte di Re, risiede proprio qui: nella troppa accondiscendenza accordata alle istanze delle varie conferenze episcopali.

Un’accondiscendenza che oggi Benedetto XVI paga a caro prezzo.

Non è forse per le pressioni della conferenza episcopale austriaca guidata dal cardinale Christoph Schönborn che il Papa è stato costretto ad accettare le dimissioni del vescovo ausiliare di Linz, Gerhard Wagner? La stessa cosa non è forse successa con Stanislaw Wielgus nel 2006, costretto a dimettersi 36 ore dopo che il Papa lo aveva nominato arcivescovo di Varsavia? E, al contrario, non è forse per le pressioni dei vescovi di vari paesi del mondo che nei posti di comando della Chiesa spesso non vengono messi i migliori quanto coloro che sono più graditi ai leader dei rispettivi episcopati?

Il cardinale Re ha la sua parte di responsabilità anche nel caso Williamson.

Se è vero che il decreto di revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani porta la sua firma, occorre che se ne assuma la responsabilità fino in fondo, magari ammettendo che una corretta valutazione delle criticità in gioco non è stata fatta. E magari sostenendo con più forza i motivi del decreto da lui firmato: non tanto la volontà di reintrodurre nella Chiesa una fazione anti-ebraica quanto il desiderio di abbattere una prima barriera sulla strada ancora parecchio lunga che porta i lefebvriani alla piena comunione con Roma.
Re ha compito 75 anni lo scorso 30 gennaio. In curia c’è chi si aspettava che avrebbe adottato la medesima politica fatta propria dal suo predecessore: si ritirò nel 2000, il giorno in cui compì 75 anni. Se avesse agito così, già in queste settimane sarebbe stato più facile far dimettere quei capi dicastero e quei presuli entrati in età pensionabile: con un prefetto dei Vescovi ancora in sella a 75 anni, tutto è più difficile. E lo è ancora di più con un segretario dei Vescovi, come l’arcivescovo Francesco Monterisi, anch’egli 75enne.

La crisi che sta attraversando la curia romana è principalmente qui, a livello di una gestione del potere poco adeguata ai tempi e allo spirito dell’attuale pontificato.

Poi, certo, c’è anche un problema di comunicazione. C’è la difficoltà di padre Federico Lombardi a gestire congiuntamente sala stampa (Joaquin Navarro-Valls aveva solo questa responsabilità), Radio Vaticana, centro televisivo vaticano e il compito di assistente del preposito generale dei Gesuiti: troppi incarichi per una sola persona. Ma è un problema che, seppure non trascurabile - a breve il Papa correrà ai ripari - viene dopo il mal governo.

Partendo dalla congregazione dei vescovi, Benedetto XVI ha la possibilità in questo 2009 di sostituire parecchia gente nella curia romana e di creare così un sistema che sappia seguirlo con maggiore lucidità nelle sue scelte.

Il 23 settembre compie 75 anni il prefetto della congregazione dei Religiosi, il cardinale Franc Rodé e, l’8 agosto, li compie il prefetto del Clero, il cardinale Claudio Hummes. Se è vero che, come scrisse il benedettino Columbia Marmion, una vera riforma del clero e degli ordini religiosi non può che venire da un sacerdote secolare, è evidente che in queste due decisive congregazioni l’uomo giusto è tra il clero che deve essere pescato.
Ma 75 anni li hanno già compiuti anche altri importanti esponenti della curia. Innanzitutto lo statunitense James Francis Stafford, penitenziere maggiore della Penitenzieria Apostolica. Quindi il cardinale Javier Lozano Barragán, presidente del pontificio consiglio per la Pastorale della Salute. E ancora, il cardinal Renato Raffaele Martino, presidente di Iustitia et Pax. E, infine, il cardinale Walter Kasper, presidente della promozione dell’Unità dei Cristiani: oggi compie 76 anni. (3.fine)

© Copyright Il Riformista, 5 marzo 2009 consultabile online anche qui, sul blog di Rodari.

Veramente perfetta questa inchiesta di Rodari!
Speriamo che si prendano decisioni (DRASTICHE) nelle prossime settimane.
Questo articolo ci ha spiegato bene dove si trova la falla...

R.

8 commenti:

A.R. ha detto...

Però, se ci fate caso, quando si parla di gerarchia non si tiene conto che in realtà si tratta di gerontocrazia! Va bene qualche anziano (lucido e saggio) al vertice dei vertici, ma poi avrebbe bisogno di quello che gli manca: forze un tantino più giovani e fedeli per realizzare e mettere in atto la sua saggezza. Tanta saggezza (diciamo così) senza un po' di sana efficienza oggigiorno serve a poco.
Ciao

Lapis ha detto...

buongiorno cara lella! Grazie a questa approfondita inchiesta di Paolo Rodari non ho potuto fare a meno di ricordare quello che ho letto a proposito del "problema" delle conferenze episocopali già individuato dal Cardinale Ratzinger in "Rapporto sulla Fede", rispondendo alle domande di Vittorio Messori. Ecco il passaggio che mi aveva colpito di più:

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Il Conciio, ricorda il Card. Ratzinger "voleva proprio rafforzare il ruolo e la responsabilità del vescovo, riprendendo e completando l'opera del Vaticano I, interrotto dalla presa di Roma, quando era riuscito a occuparsi solo del Papa. A quest'ultimo i Padri conciliari avevano riconosciuto l'infallibilità del magistero quando, come Pastore e Dottore supremo, proclama da tenersi come certa una dottrina sulla Fede o sui costumi". Si era creato così un certo squilibrio presso qualche autore di manuali di teologia che non sottolineava abbastanza che anche il Collegio episcopale gode della medesima "infallibilità nel magistero", sempre che vescovi conservino "il legame di comunione tra loro e con il successore di Pietro".
Tutto rimesso a posto, dunque, con il Vaticano II?
"Nei documenti sì, ma non nella pratica, dove si è verificato un altro degli effetti paradossali del postconcilio", risponde. Spiega, infatti: "il deciso rilancio del ruolo del vescovo si è in realtà smorzato o rischia addirittura di essere soffocato dall'inserzione dei presuli in conferenze episcopali sempre più organizzate, con strutture burocratiche spesso pesanti. Eppure NON DOBBIAMO DIMENTICARE CHE LE CONFERENZE EPISCOPALI NON HANNO UNA BASE TEOLOGICA, NON FANNO PARTE DELLA STRUTTURA INELIMINABILE DELLA CHIESA COSI' COME E' VOLUTA DA CRISTO; hanno soltanto una funzione pratica, concreta".
E' del resto, dice, quanto riconferma il nuovo Codice di diritto canonico, che fissa gli ambiti di autorità delle Conferenze, le quali "non possono agire validamente in nome di tutti i vescovi, a meno che tutti e singoli i vescovi non abbiano dato il loro consenso", e a meno che non si tratti di "materie in cui lo abbia disposto il diritto universale oppure lo stabilisca un mandato speciale della Sede Apostolica". Il collettivo, dunque, non sostituisce la persona del vescovo il quale -ricorda il Codice ribadendo il Concilio- "è l'autentico dottore e maestro della Fede per i credenti affidati alle sue cure". Conferma Ratzinger: "Nessuna Conferenza episcopale ha, in quanto tale, una missione di insegnamento; i suoi documenti non hanno un valore specifico, ma il valore del consenso che è loro attribuito dai singoli vescovi.
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sempre profetico e di estrema attualità questo testo, a oltre vent'anni dalla pubblicazione!

Raffaella ha detto...

Grazie, Lapis :-))
R.

brustef1 ha detto...

Giustissima la considerazione sulla gerontocrazia: credo che la soluzione giusta sarebbe puntare su giovani outsider, com'è avvenuto per mons. Guido Marini; i vecchi pescicani di curia o sono troppo potenti per essere fedeli o troppo compromessi per abbandonare le vecchie cordate di appartenenza

Caterina63 ha detto...

L'analisi di Paolo Rodari è eccellente sotto diversi punti di vista, andrebbe analizzata, tale inchiesta, spunto per spunto e purtroppo diventa un problema in un blog...

Sarebbe un peccato se chi, venuto a conoscenza del testo diviso in tre parti, se lo lasciasse sfuggire...

Non che a noi possa cambiare la vita^__^ ma indubbiamente fa comprendere un mondo che non conosciamo e che spesso i Media ci propongono in modo riduttivo e spesso anche distorto...

Va da tenere sempre in considerazione che ciò che descrive Paolo Rodari non è una cosa di oggi...anzi, oggi conosciamo molte più notizie dalla Curia che in passato non trapelavano affatto e diventavano così oggetto di "leggende"...^__^

Il Governo della Curia Romana ha sempre dovuto fare i conti con chi ha remato e rema contro le decisioni del Pontefice e questo sia in passato come nel presente e nel futuro...
Il Papa deve aver cura di chi sceglie come collaboratore (questo sono i Cardinali: COLLABORATORI DEL PAPA) spesso deve anche accontentare nomine che gli vengono a sua volta suggerite da altri, proprio per dare una realtà composta da diversità che dovrebbero lavorare INSIEME al Pontefice...ma questo purtroppo non accade spesso e da qui ecco la scorretta infomazione scaturita da decisioni prese (decisioni anche di giudizi personali e di opinioni personli fatte passare come voce del Papa) in verità contro la volontà del Pontefice stesso...
E' così che poi si vengono a formare situazioni come il caso Williamson...
Dopo diventa tutto uno scarica barili...che il più delle volte finisce per penalizzare la Missione stessa di Pietro...

Fraternamente CaterinaLD

Anonimo ha detto...

Per brustef1 secondo me è più valida la seconda ipotesi certi vecchi pescicani come li definisci tu giustamente, sono troppo legati alle vecchie cordate per darsi una ripulita a fondo. Mi auguro anch'io che tanti vecchi seggioloni di curia vengano mandati o in pensione per raggiunti limiti di età oppure a fare opera di missione in paesi lontani!

Anonimo ha detto...

Forze "un tantino" più giovani significherebbe insediare esponenti della generazione sessantottina.

Semmai dobbiamo auspicare l'avvento di forze "molto" più giovani. O, in alternativa, di gerontocrati più avveduti, e ce ne sono parecchi.

brustef1 ha detto...

Beh anche don Guido Marini potrebbe essere anagraficamente un sessantottino. Credo che tra i quaranta-cinquantenni ci siano meno nostalgici del '68 che tra le vecchie gerarchie, sclerotizzate nella sciagurata rincorsa al "moderno" iniziata, appunto, nel '68