martedì 3 marzo 2009
Inchiesta di Paolo Rodari: Il governo della curia romana al tempo di Papa Ratzinger. Parte prima. Da incorniciare!
Vedi anche:
Inchiesta di Paolo Rodari: Il governo della curia romana al tempo di Papa Ratzinger. Parte seconda
Inchiesta di Paolo Rodari: Il governo della curia romana al tempo di Papa Ratzinger. Parte terza
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Inchiesta. Il governo della curia romana al tempo di Ratzinger: difficoltà e strategie per il dopo “caso Williamson” (Parte I)
mar 3, 2009 il Riformista
di Paolo Rodari
La crisi che nelle ultime settimane ha investito violentemente il governo della curia romana - oltre alle critiche ebraiche per la preghiera del venerdì santo reintrodotta col Motu proprio Summorum Pontificum e alle polemiche austriache per le dimissioni che è stato costretto a rendere (sono state accettate ieri dal Papa) il vescovo ausiliare di Linz Gerhard Maria Wagner, importanti sono i malumori per la scomunica revocata ai lefebvriani e al vescovo negazionista quanto alla Shoah Richard Williamson - sembra non aver toccato più di tanto Joseph Ratzinger. Una dimostrazione di ciò la si è avuta sabato scorso.
Mentre la maggioranza dei presuli e dei porporati parlava della necessità di “sfruttare” il caso Williamson per mettere in campo quella riforma della curia che porti nei posti di comando gente più capace di tradurre in azioni di governo la mente illuminata del Pontefice, lui, Benedetto XVI, ha preso una decisione che è sembrata andare nella direzione opposta. Invece di mantenere l’accorpamento di due dicasteri sulla cui utilità sono in molti a nutrire dubbi - il pontificio consiglio di Giustizia e Pace e quello per la Pastorale dei Migranti e degli Itineranti - li ha di nuovo smembrati, lasciando al cardinale Renato Raffaele Martino (anche se ancora per poco) Giustizia e Pace e affidando i Migranti e gli Itineranti al segretario della congregazione per le Chiese Orientali, ovvero monsignor Antonio Maria Vegliò, presule di 71 anni compiuti.
Un controsenso, dicono in molti. Possibile? Possibile che il Papa non si renda conto che è di altri interventi che la macchina della Chiesa necessita?
Possibile non capisca che quella «sporcizia» che nel 2005 - nella Via Crucis che aveva preceduto di pochi giorni il conclave che lo elesse al soglio di Pietro - aveva denunciato essere presente nella Chiesa, sia ora da spazzare via con atti di comando forti, trancianti? Possibile che non comprenda come, senza un governo capace e competente, azioni come la lectio di Ratisbona, la nomina del polacco Stanislaw Wielgus ad arcivescovo di Varsavia, la revoca della scomunica ai lefebvriani, e ancora (tanto per fare qualche esempio significativo) la puntualizzazione della differenza esistente tra le «chiese» cattoliche e ortodosse e le «comunità» protestanti (quante polemiche seguirono il documento “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina della Chiesa” redatto nel 2007 dalla congregazione per la Dottrina della Fede!), non possano non essere destinate a subire forti critiche le quali, proprio perché provenienti anche dall’interno della Chiesa, ne minano valore e importanza?
Non si può rispondere a queste domande senza capire come Benedetto XVI concepisca il governo della Chiesa, lui che più di altri cardinali ne conosce meccanismi e ingranaggi. E, per farlo, occorre necessariamente tornare al 1968, a quell’Einführung in das Christentum (Introduzione al cristianesimo), nel quale, a un certo punto (pagine 333-334 dell’edizione Queriniana-Vaticana, 2005), egli scrive queste parole: «I veri credenti non danno mai eccessivo peso alla lotta per la riorganizzazione delle forme ecclesiali. Essi vivono di ciò che la Chiesa è sempre. E se si vuole sapere che cosa realmente sia la Chiesa, bisogna andare da loro. La Chiesa, infatti, non è per lo più là dove si organizza, si riforma, si dirige, bensì è presente in coloro che credono con semplicità, ricevendo in essa il dono della fede che diviene per loro fonte di vita. [...] Ciò non vuol dire che bisogna lasciar tutto così com’è e sopportarlo così com’è. Il sopportare può esser anche un processo altamente attivo…».
Quella di Ratzinger non è una scomunica dell’attività governativa della Chiesa. Ma, semmai, è una presa di coscienza che non è innanzitutto lì, nell’attività di comando, che la Chiesa gioca la sua partita più decisiva. Il Ratzinger Pontefice, l’uomo delle grandi idee, di una visione della modernità filosofica ma insieme religiosa e pneumatica, dell’ancoraggio alla rivelazione, ai padri della Chiesa, il sacerdote che ha vissuto il Vaticano II in pienezza d’effervescenza e che gode di una preparazione teologica sinfonica come pochi all’interno dell’attuale collegio cardinalizio, è ben consapevole del fatto che gli servano i giusti canali per tradurre il proprio pensiero in azioni di governo, ma è anche consapevole che il governo, il comando, non è tutto e soprattutto non è il tutto del suo pontificato. Nonostante vi sia chi ritiene che adesso, nelle scelte che Ratzinger sarà chiamato a prendere nel post “caso Williamson” - perché qualche decisione importante verrà pur presa: sono, infatti, parecchi i capi dicastero in scadenza, e di loro parleremo nelle prossime puntate di questa inchiesta - egli si giochi la credibilità dell’intero pontificato, lui, Benedetto XVI, è invece conscio che la partita più importante si gioca altrove, ovvero nel popolo che crede, che vive la fede con semplicità. Ciò non significa che per il Papa il “lavoro sporco”, quello del governo, sia da disprezzare, ma significa che quest’ultimo risiede su un piano inferiore rispetto alla prima attenzione che tutti, cardinali, vescovi e semplici fedeli debbono avere: la cura della fede, l’unico dono che porta la vita rigenerando e riformando, dall’interno e all’occorrenza, la Chiesa stessa.
Non si può comprendere Benedetto XVI e il suo pontificato senza tornare qui. Ogni analisi sul governo della Chiesa di Ratzinger non può non avere questa premessa. Non per niente, quanto a governo, quanto a spostamento di uomini da un posto all’altro, la pazienza di Ratzinger è proverbiale, a tratti addirittura eccessiva: «sopportazione attiva» è il termine che lui usa in Einführung in das Christentum. Lui è fatto così. Lui che dal 25 novembre 1981 al 19 aprile 2005 è stato prefetto della Dottrina della Fede, il dicastero dove sono custodite pagine e pagine dettagliate riguardanti tutti gli uomini di governo del Vaticano, sulle nomine, su quella riforma della curia attesa e auspicata da tutti e che lui più di altri potrebbe mettere in campo con cognizione di causa, ha deciso d’essere magnanimo. Ha deciso di lasciare in posti cruciali uomini probabilmente meno competenti di altri, al fine di salvaguardare le singole sensibilità di ognuno e, insieme, il desiderio di tutti d’essere, più o meno, utili.
Certo, a volte servirebbe altro. E Ratzinger lo sa, tanto che nelle prossime settimane finalmente qualcosa si muoverà. Anche lui è stato ed è consapevole di quanto ci sarebbe bisogno di una scure per tagliare il marcio e far crescere un nuovo germoglio.
Ma spesso ha voluto non agire. Perché lui, Benedetto XVI, preferisce avere pazienza, consapevole - qui sta il punto - che il governo non è tutto e che sopportare può comunque essere un’azione che porta frutti postivi.
E forse, oggi, molti di coloro che accusano il Papa e il suo più stretto collaboratore, il segretario di Stato Tarcisio Bertone, di una certa inefficienza rimpiangendo, nel contempo, il pontificato precedente, farebbero bene a ricordare. Molti di coloro che oggi rimpiangono il governo wojtyliano (sia il primo Wojtyla, quello con Agostino Casaroli segretario di Stato, che il secondo, quello con Angelo Sodano), infatti, sono gli stessi che con Giovanni Paolo II al comando rimpiangevano Paolo VI, Giovani XXIII e, addirittura, Albino Luciani: «Quanto sarebbe potuto avvenire - dicono costoro - se Luciani fosse vissuto più a lungo…». Ma dimenticano che anche il governo di Wojtyla aveva dei punti deboli. Anche Giovanni Paolo II «Il Grande», per usare una definizione coniata dal cardinale Angelo Sodano nella messa di suffragio celebrata per lui il 4 aprile 2005, anche il Papa di un indiscusso carisma e sguardo profetico, dovette fare i conti con una gestione del potere non sempre facile, una gestione che dopo ventisei anni e mezzo di pontificato rappresenta un lascito pesante per le spalle, pur larghe, del suo successore. (continua)
© Copyright Il Riformista, 3 marzo 2009 consultabile online anche qui, sul blog di Rodari.
Veramente interessantissima questa inchiesta di Rodari.
Certo! Non posso nascondere che io colpirei di ramazza e ci sono due o tre uomini "in rosso" che metterei sul primo aereo che parte da Fiumicino (per qualsiasi destinazione), ma comprendo che la saggezza del Papa e' sicuramente superiore alla mia impazienza ed al mio innato senso di pulizia e di ordine :-)
R.
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4 commenti:
Vorrei pregarvi tutti di leggere in queste ore, in questa settimana la terza parte della citata Introduzione al cristianesimo: Lo Spirito e la Chiesa. E soffermatevi per favore in particolare al secondo capitolo, punto 1.
Così si respira meglio.
SERAPHICUS
Finalmente un vero vaticanista....bravo!!!! Bravo davvero...
fr.David
All'appello di Seraphicus...suggerisco anche san Bosco...che richiama ROMA ergo la Curia Romana a ricordare il suo ruolo...^__^
Rammentiamoci il sogno che fece e che risponde anche alle accuse contro il vescovo wagner per aver detto che l'uragano Katrina è stato voluto da Dio come castigo...
cosa facciamo, censuriamo anche san Bosco? gli revochiamo la canonizzazone?
^__^
1870, dopo aver descritto la Francia, san Bosco vede Roma...
E di te Roma, che sarà?… Roma ingrata, Roma effeminata, Roma superba!… Tu sei giunta a tale che non cerchi altri, né altro ammiri nel tuo Sovrano se non il lusso, dimenticando che la tua e la sua gloria sta nel Golgota!… Ora egli è vecchio, cadente, inerme, spogliato; però con la sua sola parola, egli fa tremare il mondo!
Roma!… Io verrò quattro volte a te!… La prima volta, percuoterò le tue terre e gli abitanti di esse. La seconda volta, porterò la strage e lo sterminio fino alle tue mura. La terza volta, abbatterò le difese e i difensori, e per comando del Padre installerò il regno del terrore, dello spavento e della desolazione!
Ma i miei saggi fuggono, la mia legge è calpestata… perciò io ritornerò per la quarta volta. E allora guai a te se la mia legge sarà ancora un nome vano!
Vi saranno prevaricazioni tra i dotti e gli ignoranti; e il tuo sangue e quello dei tuoi figli laveranno le macchie che tu fai alle leggi del tuo Dio. La guerra, la peste, la fame sono i flagelli con cui sarà percossa la superbia e la malizia degli uomini. Dove saranno, allora, o ricchi, le vostre magnificenze, le vostre ville, i vostri palazzi?… Saranno diventati la spazzatura delle piazze e delle strade!
E voi, sacerdoti, perché non correte a piangere, tra il vestibolo e l'altare, invocando la sospensione dei flagelli?
Perché non prendete lo scudo della Fede e non andate sopra i tetti, nelle case, nelle vie, sulle piazze, in ogni luogo, anche inaccessibile, a portare il seme della mia parola? Ignorate, forse, che essa è la terribile spada a due tagli che abbatte i miei nemici e che infrange l'ira di Dio e degli uomini?
Queste cose dovranno inesorabilmente venire, l'una dopo l'altra. Ma l'augusta Regina del Cielo è presente. La potenza del Signore è nelle sue mani. Ella disperde i suoi nemici come nebbia! Ella riveste il venerando vecchio di tutti i suoi antichi paramenti!
…Arriverà ancora un violento uragano.
L'iniquità è consumata; il peccato avrà fine e, prima che trascorrano due pleniluni del mese dei fiori, l'iride di pace comparirà sulla terra.
Il gran Ministro vedrà la Sposa del suo Re vestita a festa. Su tutto il mondo apparirà un sole cosí luminoso quale non fu mai dalle fiamme del Cenacolo fino ad oggi, né piú si vedrà fino all'ultimo dei giorni.
L'articolo di Rodari mi fa venire in mente questa folgorante e attualissima definizione del cardinalato di Enea Silvio Piccolomini (Pio II), 1405-1464:
"La dignità cardinalizia, del resto, non è sempre accessibile per chi la merita, e spesso la usurpa chi ne è indegno. Ci sono tuttavia alcuni che prima dimostrano di meritarla, e quindi la conseguono; altri se ne rendono degni dopo averla ottenuta; alcuni infine dopo averla strappata al papa la portano con sé senza meriti fino al sepolcro" (da "I Commentarii").
Credo che Benedetto XVI sia ben consapevole che ancor oggi è così, e che anche per questo non intervenga troppo nel governo "umano troppo umano" della Chiesa. Non dimentichiamo che se lui è il Nocchiero, il Comandante è un altro...
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