mercoledì 3 giugno 2009

Intervista al card. Hummes: Il sacerdote nell'era del digitale (Osservatore Romano)


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A colloquio con il cardinale Cláudio Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero

Il sacerdote nell'era del digitale

di Mario Ponzi

Il manuale per l'uso di windows accanto alla Summa teologica di san Tommaso d'Aquino; la rete telematica al posto di quella dell'apostolo Pietro, il pescatore; in discoteca con il saio; sul palcoscenico con l'abito talare, in spiaggia sotto il tendone-chiesa... Cambia il volto del sacerdote dell'era del digitale.
Dottore in teologia dogmatica ed esperto conoscitore delle nuove tecnologie, avvicina l'uomo del digitale navigando accanto a lui nel grande mare della comunicazione. È pronto a favorire l'incontro personale dei giovani con Cristo, seguendoli nella loro quotidianità, dunque - se concordato con il vescovo e nell'ambito di un preciso progetto pastorale - anche dove si incontrano per ballare. Usa il linguaggio della musica pur di lasciare una traccia nel cuore di chi l'ascolta. Porta l'Eucaristia anche in mezzo ai pigri dell'estate, pur di non farli allontanare dalla mensa, neppure per un breve periodo.
Soprattutto, però, prega. Anzi sa di dover pregare intensamente se vuole veramente portare Cristo all'uomo e l'uomo a Cristo. Dunque cambia il volto del sacerdote, non la missione.
Ne è convinto il cardinale brasiliano Cláudio Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero. È consapevole della necessità di un passaggio culturale decisivo per dare nuovo slancio alla missione del sacerdote, che resta quella di favorire, oltreché la conoscenza del Vangelo, in tutto il mondo, l'incontro personale di ciascuno con il Cristo. "Questo - dice il cardinale iniziando un lungo e cordiale colloquio con "L'Osservatore Romano" nel quale tocca numerosi e interessanti argomenti riguardanti la vita del sacerdote oggi - è quanto raccomanda Benedetto XVI dal primo giorno del suo Pontificato. E questo è quello che deve fare il sacerdote, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi modo possibile. Del resto il Papa per primo ha reso testimonianza dell'importanza di essere presente ovunque l'uomo si incontra, nella quotidianità della sua esistenza".
Il cardinale si riferisce alla decisione presa dal Papa di essere presente nella rete per un dialogo ravvicinato con i frequentatori del digitale, e a quella, ancor più avveniristica, di entrare nel mondo di facebook.
Novità sulle quali molto probabilmente si rifletterà e ci si confronterà proprio durante l'anno sacerdotale che, voluto da Benedetto XVI, si inaugurerà, come è noto, il prossimo 19 giugno. "Un'intuizione meravigliosa e lungimirante. Si tratta di un dono - sottolinea il cardinale - che il Papa fa alla Chiesa e al sacerdote. E, sono sicuro, non sarà un anno celebrativo del sacerdozio. Sarà piuttosto un anno propositivo".
In realtà l'iniziativa del Pontefice cade in un momento molto particolare della storia e della vita della Chiesa. Chiamata a confrontarsi con la società postmoderna, segnata da una, a volte esagerata, esasperazione relativistica e da quella forte ventata laicista che la spinge sempre di più a vivere quasi come se Dio non esistesse, la Chiesa non è stata essa stessa risparmiata dal contagio di un sistema perverso sino all'inverosimile. "I primi a risentirne - afferma in proposito il cardinale - sono stati proprio loro, i sacerdoti.
Ma direi che si tratta di una conseguenza quasi fisiologica, simile a quelle che si registrano in ogni ambito umano quando si verifica un così netto salto culturale e ci si trova improvvisamente immersi in una realtà che ci sorprende. Per questo è molto importante che i sacerdoti sentano il Papa e la Chiesa vicini, preoccuparsi per loro e per la loro condizione".
In effetti negli ultimi anni i sacerdoti hanno sofferto per l'umiliazione subita a causa della debolezza di alcuni di loro. È di questi giorni il clamore suscitato dalla pubblicazione dei risultati di un'inchiesta condotta in Irlanda su quanto accaduto in certi istituti religiosi. "Si è trattato effettivamente - conferma il cardinale - di un periodo molto, molto duro e sofferto. Sofferto anche per la gogna mediatica alla quale sono stati sottoposti indistintamente tutti i sacerdoti, come "categoria", a causa di pochi che si sono macchiati di abusi gravissimi nei confronti di minori. Vorrei ricordare che i preti per primi si sono sentiti profondamente feriti da queste tragedie. Feriti nella loro anima sacerdotale, nella loro paternità spirituale nei confronti di quanti hanno subito violenza; hanno visto lacerata la loro immagine. Ho raccolto tante confidenze di sacerdoti sconfortati e messi in crisi per quanto fatto da altri. Sono certamente delitti gravi, e non solo dal punto di vista penale, ma anche dal punto di vista canonico". Anche se il dramma della pedofilia "non riguarda in modo specifico e esclusivo i sacerdoti - sottolinea il cardinale - ma investe in modo ben più incisivo la società e, purtroppo, soprattutto l'ambito familiare", resta tuttavia "un fatto gravissimo che sia compromesso anche un certo numero di presbiteri. È giusto che paghi chi è colpevole; ma non è giusto che a pagare sia anche quella stragrande maggioranza di preti onesti e zelanti che dedicano la loro vita a servire il gregge che è stato loro affidato. Dobbiamo pregare, lo ripeto, pregare molto per chi sbaglia ma anche per chi deve essere aiutato a riacquistare la propria autostima. E in quest'anno sacerdotale pregheremo tanto con e per i nostri sacerdoti. La Chiesa vuole pregare con e per i suoi sacerdoti, esprimere apprezzamento per loro".
A questo desiderio di attenzione genericamente avvertito tra i presbiteri, soprattutto nel momento in cui sono chiamati ad affrontare sfide quotidiane su versanti diversi, dovrà rispondere l'anno sacerdotale. "È nell'intenzione del Papa - dice il cardinale Hummes - preparare per quest'anno un documento sul sacerdozio. L'obiettivo, ripeto, è quello di far sì che il sacerdote si senta bene nella Chiesa e che ci siano tutte le condizioni per una sana e reale testimonianza in una società che presenta tante sfide da affrontare".
Per questo si punta molto sulla formazione. Discernimento e formazione sono del resto costanti preoccupazioni del Papa.
Anche nel suo recente viaggio in Africa, dinanzi a una Chiesa ricca di vocazioni, Benedetto XVI ha messo in guardia dal considerare la sola quantità come ricchezza.
"Certamente è necessaria un'attenta opera di discernimento nell'ammissione al sacerdozio; se si vuole contare su sacerdoti effettivamente motivati - concorda il cardinale - è necessario fare una selezione rigorosa, molto rigorosa". Anche se non è detto che poi non possano avvenire cambiamenti nella personalità del candidato al sacerdozio, pur rigorosamente selezionato. "È vero - dice il cardinale - e per questo io sostengo la necessità di proseguire nell'opera di discernimento durante tutto il cammino dall'accoglienza sino all'ordinazione.
A questo punto il secondo importantissimo momento è costituito dalla formazione permanente. Significa dare ai consacrati i mezzi, e dunque la possibilità di stare nel mondo che sono chiamati a evangelizzare. Significa aiutarlo a conoscere, a capire e a parlare il linguaggio del mondo per essere ascoltato e compreso". Questo anche se oltre ai libri di teologia, di filosofia morale, di ecclesiologia egli dovrà cominciare a sfogliare e ad approfondire manuali per apprendere l'uso delle nuove tecnologie, indispensabili ormai nell'approccio con la società del digitale. "Ne siamo convinti - dice il cardinale in proposito - al punto che stiamo esaminando la possibilità di introdurne lo studio nei corsi accademici riservati ai seminaristi o ai sacerdoti. Vedremo. L'uso della rete informatica è, del resto, ormai indispensabile se si vuole restare al passo con i tempi".
Ma sarà sufficiente l'esperienza in telematica per restituire al sacerdote il suo ruolo di testimone di Cristo in una società che sembra così lontana dalla dimensione religiosa? "Il problema - dice il cardinale prefetto - forse va invertito: questa società, così caotica e sempre più lontana da Cristo, sarà ancora capace di recepire la testimonianza del sacerdote? Questa è la domanda che dobbiamo porci. Io sono ottimista in questo senso, perché la fede, la nostra fede, ci chiede ottimismo e fiducia. Dunque la fede in Cristo può penetrare in questo contesto società. Ciò vuol dire che è possibile trasmettere e testimoniare la fede in questa come in tutte le altre società. Il sacerdote può e deve essere lo strumento per trasmettere questa fede alla gente del suo tempo. Forse oggi è più difficile che ai nostri tempi. Quel che è certo è che i giovani d'oggi conoscono solo questa società, questa cultura. Hanno sperimentato solo questo. E noi dobbiamo inserirci in questa società per raggiungerli. Certo mi rendo conto di quanto sia difficile. La cultura di oggi è prevalentemente relativistica, dominata da un laicismo a volte feroce contro la Chiesa e contro tutto ciò che la rappresenta; Dio è tenuto lontano, la religione sbeffeggiata. Ma io credo che anche in questa società, che si autodefinisce post-cristiana, sia possibile far conoscere Cristo, favorire l'incontro personale con Cristo. Bisogna cercare qualcosa di diverso dal solo approccio dottrinale e morale. E nell'incontro di ciascuno con Cristo tutto può accadere, anche che l'individuo sia toccato. La dottrina viene in un secondo momento".
Anche per questo servono sacerdoti ben formati. "Sacerdoti - dice il cardinale - che sappiano prima di tutto riconoscere il Cristo accanto a loro, nella loro stessa comunità, e sappiano poi portarlo nel mondo". E questa necessità chiama in gioco la responsabilità dei vescovi nei confronti del loro clero.
"Devono essere proprio i vescovi - conferma il cardinale Hummes - a fare sentire ai sacerdoti la presenza di Cristo accanto a loro. Devono affiancarli, comprenderli, aiutarli a superare situazioni critiche anche sul piano personale. Difficilmente un sacerdote che sente accanto a sé la presenza costante e amorevole del proprio vescovo, si lascia perdere".
Della comunione ecclesiale si parlerà certamente durante l'anno sacerdotale anche nell'ottica della comunità da costruire tra gli uomini. "Il pensiero va soprattutto alle comunità parrocchiali. Vivere e operare in comunione in ambito parrocchiale - spiega il cardinale - aiuta anche a inquadrare in modo più confacente alla famiglia di Dio l'azione dei laici. Il loro ruolo, soprattutto dove la Chiesa soffre per la crisi delle vocazioni sacerdotali, diviene fondamentale per il radicamento del Vangelo".
Un ruolo particolare oggi affidato al laicato cattolico è avvicinare quanti restano un po' al margine della vita della comunità parrocchiale, prima che se ne allontanino definitivamente. "Questo - spiega il cardinale - fa parte della condivisione, con i laici, di quella responsabilità che compete al pastore, chiamato a tenere unito il gregge che gli è affidato e ad andare a cercare le pecorelle che si allontanano e si smarriscono".
Capita però a volte che ad allontanarsi siano proprio alcuni pastori, i sacerdoti stessi. E forse è un po' più difficile per le "pecorelle" inseguire e riportare indietro il pastore. "Questo - spiega il cardinale - è naturalmente compito del vescovo e del suo presbiterio cioè è un compito di tutti gli altri pastori. Non a caso oggi sempre più frequentemente si parla di pastorale presbiterale.
Anzi in molte diocesi già esiste una pastorale presbiterale ben avviata. Destinatari sono naturalmente i singoli sacerdoti, i singoli presbiteri. Si cerca di accompagnare il sacerdote che si trova in difficoltà sia materiale, sia, e direi soprattutto spirituale". Anche quelli che, per motivi diversi, lasciano il sacerdozio devono continuare a essere comunque accompagnati "perché - dice il cardinale - avere problemi che portano a lasciare il ministero non significa necessariamente perdere la propria fede. Ogni giorno ci sono sacerdoti che vengono a espormi i loro casi personali. Raramente è la fede che viene meno. Certo in alcuni casi anche la fede va in crisi, si indebolisce. Ma è proprio in questi casi che diviene più importante la nostra vicinanza, la nostra presenza".
Ci sono situazioni poi in cui pur non venendo meno la fede, viene messo in dubbio il senso del proprio sacerdozio o viene meno la fermezza nel seguire tutto ciò che la missione sacerdotale comporta. "Sono i casi in cui - afferma il cardinale - è la natura dell'uomo a prendere il sopravvento sulla vocazione. Mi riferisco in particolare a quanti lasciano il sacerdozio perché incapaci di restare fedeli al celibato. Si tratta comunque di casi dolorosi. Pur implicando un indebolimento di quella fede robusta che forgia l'anima sacerdotale, non comportano tuttavia la "perdita della fede" tout court. Bisogna dunque anche in questi casi saper discernere. Anzi è forse proprio in momenti simili che c'è maggior bisogno di alimentare una fiammella che si affievolisce. A maggior ragione se in presenza di un consacrato".

(©L'Osservatore Romano - 3 giugno 2009)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Mi chedo se la Rai trasmetterà la cerimonia d'apertura dell'Anno sacerdotale.
L'anno scorso lo fece per l'Anno paolino.

Antonio