sabato 4 luglio 2009

L’irripetibile esperienza di un’alba liturgica all’abbazia di Fontgombault: de Mattei recensisce il testo di Mosebach "Eresia dell’informe"


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L’irripetibile esperienza di un’alba liturgica all’abbazia di Fontgombault

(Roberto de Mattei su "Il Foglio" del 3/07/09)

Il tema della liturgia costituisce un importante filo conduttore dell’itinerario intellettuale e spirituale di Joseph Ratzinger. Fin dal 2001, in un’intervista a “La Croix”, il cardinale Ratzinger definiva la liturgia come il frutto di una riflessione di cinquant’anni in cui si ritrova tutto il suo percorso spirituale.

Non a caso il primo volume in tedesco dell’Opera omnia di Benedetto XVI (2008) è dedicato agli scritti liturgici e si apre con una prefazione in cui il Papa ricorda come la liturgia della chiesa, vista nei suoi rapporti con la teologia, abbia costituito l’attività centrale della sua vita.

Lo stesso anno sacerdotale, aperto il 19 giugno di quest’anno, vede al suo centro la celebrazione dell’Eucaristia e l’Eucaristia è il centro dell’azione liturgica.
In questo senso il motu proprio Summorum pontificum del 14 settembre 2007, con cui il Papa ha concesso la piena libertà di celebrare la liturgia tradizionale costituisce un evento di straordinaria portata.

L’avversione al motu proprio pontificio è il principale punto di coagulo del partito “antiratzingeriano”, mentre è proprio a partire dalla difesa del Rito romano antico che si sviluppa la reazione del nuovo “partito romano” sceso in campo negli ultimi anni per riaffermare il valore immutabile della Tradizione.

E’ su questo sfondo che va situata la pubblicazione anche in Italia del libro di Martin Mosebach, Eresia dell’informe. La liturgia romana e il suo nemico(Cantagalli, Siena 2009), con traduzione e prefazione di Leonardo Allodi. Mosebach è un romanziere e saggista tedesco da anni interessato alla liturgia e ben conosciuto dallo stesso Pontefice. Peter Seewald, nel suo colloquio con l’allora cardinale Ratzinger, Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio(San Paolo, Cinisello Balsamo, 2001), ricorda un poetico passo in cui lo scrittore tedesco descrive la celebrazione di una Messa tradizionale in una desolata cappella di Capri che pare trasfigurarsi quando il sacerdote la “risacralizza” con i suoi gesti e con il suo rito.
Questo brano è contenuto, assieme ad altri, nel libro ora pubblicato, il cui significativo titolo rimanda a quella che Dom Prosper Guéranger, il restauratore della liturgia romana nel XIX secolo, definiva l’“eresia antiliturgica”.

Secondo il grande abate di Solesmes “soltanto dove c’è qualcosa da demolire il genio della distruzione cercherà di introdurre veleno” (“L’eresia antiliturgica e la riforma protestante”, Amicizia Cristiana, Chieti, 2008, p. 14). I distruttori del XX secolo sono gli autori di una riforma liturgica che ha provocato una delle fratture più rivoluzionarie del secolo scorso, paragonata da Mosebach alla guerra iconoclasta di Bisanzio. “Vorrei sentire volentieri sulla bocca di un amico della riforma una volta la seguente ammissione – egli scrive – e cioè che mai nella storia della chiesa fino a Papa Paolo VI si sia osato porre in questione le seguenti caratteristiche fondamentali della liturgia tradizionale: la sacralità della lingua, la celebrazione della liturgia versus orientem, sacerdote e comunità insieme rivolti verso Cristo che risorge; infine la più importante: il carattere sacrificale della celebrazione liturgica” (p. 225).

Tra la liturgia e la fede della chiesa esiste un nesso inscindibile secondo il principio Lex orandi, lex credendi. Al centro del Cristianesimo si trova il mistero dell’Incarnazione. Il messaggio cristiano si riassume in Gesù stesso, uomo-Dio, che promette ai suoi discepoli: “Io sono con voi fino alla fine dei tempi”. Questa promessa riguarda una presenza reale, corporea, attraverso l’azione dello Spirito Santo nella liturgia. Si potrebbe dire che la Santa Messa è lo Spirito Santo promesso ai discepoli. “Gesù, la cui esistenza fisica costituiva il centro del suo messaggio, scrive Mosebach, continua a vivere in essa fisicamente, nell’imposizione delle mani, nell’unzione, nei corpi attraverso il pane e il vino” (p. 81).
Il rito è per sua natura immodificabile, perché è sottratto per sua essenza ad ogni modifica, dal momento che ogni intervento distrugge l’esperienza che non il celebrante del rito, ma Cristo stesso opera in esso. Con finezza psicologica Mosebach precisa: “E’ forse meno importante che il rito per secoli e secoli sia rimasto del tutto invariato piuttosto che esso sia stato percepito e vissuto dai partecipanti come appunto invariato” (p. 222).
E’ impossibile infatti che una successione di parole e di gesti, anche se esattamente fissati in libri liturgici, sia rimasta invariata attraverso un lungo intervallo di tempo. Il rito, a partire dall’epoca della prima cristianità, non ci è giunto inalterato, perché è destinato a trasformarsi di continuo, impercettibilmente, nel corso dei secoli. Tali trasformazioni e graduali mutamenti non sono mai “riforme”, dal momento che dietro di esse non agisce l’intenzione di fare qualcosa di meglio. E nondimeno, spiega Mosebach, noi possiamo considerare l’antica Messa, a torto chiamata “tridentina” (la si potrebbe meglio definire come “gregoriana”) come immutata, sempre ugualmente offerta come dono dall’alto, dal momento che questi mutamenti erano qualcosa di involontario, intervenuto lentamente e in maniera così graduale che nessuno, quasi, se ne è accorto.
Oggi la Messa costituisce un’irripetibile esperienza, come quella che provocò la conversione di Paul Claudel, la notte di Natale del 1886 a Notre Dame. Bellissima è la descrizione di quanto accade oggi all’alba nell’abbazia benedettina di Fontgombault. E’ buio e la chiesa è vuota, quando un corteo di monaci lascia la sacrestia. Avanzando lungo la navata, il corteo si divide. Davanti a ogni pilone è un altare dove restano un sacerdote e un ministrante, fino a che tutti i dodici altari sono stati occupati. “Chi si mette dietro, al centro della navata della chiesa – scrive Mosebach – ha davanti a sé un’immagine unica. La Messa, che di solito riempie il centro di una chiesa, appare qui di colpo onnipresente, come per un gioco di molteplici riflessi. La prospettiva dello spazio che finisce nel coro è popolata da sacerdoti che celebrano da soli, ciascuno dei quali, con ognuno dei suoi gesti solenni, con l’elevazione delle mani, gli atti di riverenza e le genuflessioni, pretende di fare qualcosa di particolare. Nessun muro, nessuna colonna dove non abbia luogo un sacrificio” (pp. 109-110). Oggi si è rinunciato alla pluralità di messe in nome di una “concelebrazione” che dovrebbe esprimere la dimensione comunitaria della chiesa. Ma quando una molteplicità di sacerdoti celebrano allo stesso tempo un unico rito, essi privano la chiesa e i fedeli del valore infinito di innumerevoli Messe celebrate in altari diversi nella stessa giornata.

A Davide Cantagalli vorremmo suggerire la pubblicazione degli Atti del colloquio, presieduto dal cardinale Ratzinger, che si tenne nel luglio 2001 all’abbazia di Fontgombault sul tema “Autour de la question liturgique”. La liturgia, disse in quell’occasione il cardinale, non deve essere il terreno di sperimentazione per ipotesi teologiche. Essa trae la sua grandezza da ciò che essa è e non da ciò che noi pretendiamo farne.

(Roberto de Mattei)

© Copyright Il Foglio, 3 luglio 2009 consultabile online anche qui.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

A proposito dell'Opera omnia di J. Ratzinger, quando sarà disponibile in lingua italiana? Grazie :-))

Raffaella ha detto...

Non c'e' ancora un data precisa.
Probabilmente il prossimo anno :-)
R.

Fabio ha detto...

Basta! E' veramente uno scandalo questo continuo attacco alla riforma liturgica voluta dal Santo Padre Paolo VI e dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Gli abusi liturgici non hanno nulla a che vedere con la riforma liturgica! Sarebbe ora che si iniziasse a ragionare in modo serio su queste cose. Ci sono molti incompetenti in giro.
La Messa di San Pio V non è la Messa di sempre. E i riti non sono mai stati intoccabili. Anche la Messa di S. Pio V è frutto di una riforma fatta a tavolino. Bisogna avere il tempo per informarsi prima di prendere parola su queste cose. Anche la riforma voluta da Sua Santità Paolo VI e dal Concilio Ecumenico Vaticano II sono un atto del Magistero. Se mettiamo in discussione questo, possiamo iniziare a mettere in discussione tutto. E’ ora di finirla!

SERAPHICUS ha detto...

Grazie a de Mattei, grazie al Foglio. Il libro di Mosebach - fa respirare proprio perché fa sentire le angustie, la soffocante mancanza dei "riformatori".

L'eresia liturgica - è la più terribile in quanto fonte delle altre eresie moderne.Allontana dal Dio vero. Essa è espressione perfetta di una grande perdita: della perdita dei sensi, dell'atrofizzazione dell'intimo dell'essenza umana. Il surrogato, la banalità domina tutto. L'eresia liturgica esprime la povertà dell'uomo moderno che, avendo perso la possibilità di accogliere nell'intimo suo il sommo dell'intero universo, delega se stesso ad altro, si intontisce con il mero consumo, è malignamente contento soltanto quando tutto, e proprio anche il più alto, si riduce alle più basse pianure del proprio essere e volere.

L'eresia liturgica rende drammaticamente visibile la tragicità dell'uomo in questo momento della storia: egli ha perso una parte della sua umanità, ci ha rinunciato, l'ha mandata in rovina, volutamente. La "tradizione": è il concetto cattolico per ciò che il mondo chiama "storia". Esiste dolore più grande che quello dell'uomo che ha perduto la sua storia? La sua memoria?

Storia ed essere: rompendo questo binomio si rompe e si distrugge l'uomo, la sua possibilità di riconoscersi al di là del mero dato, della frenesia del consumo, dell'olezzo dei profumi artificiali, dell'apparenza di una corporeità artefatta.

L'eresia liturgica: è il luogo e il metodo attraverso i quali si passa dal moderno all'assenza di Dio che si celebra solo simbolicamente, ad immagine delle povere possibilità dell'uomo.

L'eresia liturgica: è il ricupero del "Si" che si dice al maligno, sostituendo quel grande "No" che Gesù disse al diabolico tentatore nel deserto.

SERAPHICUS

Areki ha detto...

Caro Fabio le tue affermazioni non sono tutte esatte e condivisibili. Mi spiego: La Messa di San Pio V è la messa di papa Gregorio Magno: San Pio V in realtà non fece quasi nessuna modifica e non fece altro che proporre il messale che da sempre aveva usato la Curia Romana.
La Messa di Paolo VI invece venne composta a tavolino dal "Consilium" con elementi dell'antica tradizione e alcune novità. Certamente la Messa di Paolo VI è valida perchè da lui approvata, ma ciò non toglie che non possa essere criticata in alcuni suoi punti. Resta il fatto che il Papa Benedetto ha dichiarato che la Messa di Paolo VI non ha abrogato il messale precedente che a determinate condizioni può essere usato.
Il Concilio Vaticano II è infallibile solo nei punti dogmatici riguardanti la dottrina tradizionale... la riforma liturgica come il Papa stesso riconosce nel Summorum Pontificum deve essere migliorata e corretta.
don Bernardo

raffaele ha detto...

Concordo sostanzialmente con Fabio.Esaltando recentemente le figure di Cirillo e Metodio, Benedetto XVI ha riconosciuto che Dio può essere lodato in una pluralità di lingue (anche liturgicamente). Cirillo e Metodio condannarono l'eresia del "trilinguismo", secondo cui si poteva celebrare la liturgia solo nelle tre lingue considerate "sacre" (latino, greco, ebraico). La Chiesa è nata con la Pentecoste, che significa effusione dello Spirito su tutti i popoli e swu tutte le lingue della Terra.

Rutilio Namaziano ha detto...

Raffaele, nell'ansia di difendere la liturgiada lui amata, confonde la lingua con la liturgia: la vera differenza tra VO e NO non è nella lingua (latina, volgare o ...esperanto), ma nei significati teologici sottesi alla liturgia, espressioni di diversi modi di intendere la Chiesa. Il NO è andato molto al di là di quello che voleva il Concilio Vaticano II (leggetene i documenti, non le evocazioni del cd "spirito del Concilio"!) e se non fosse stato per le modifiche di Paolo VI in corso d'opera la Messa avrebbe perso sin nella definizione il suo principale significato di rinnovazione incruenta del Sacrificio di Cristo sulla Croce per limitarsi all'aspetto di riunione del Popolo di Dio alla mensa eucaristica.
Celebrazione di una festa, pace e amore, nascondimento del Sacrificio e dell'immolazione, con uno scolorarsi progressivo del significato del sacerdozio ministeriale a favore di quello universale dei fedeli. La direzione del culto verso oriente (veso Dio) o verso il popolo è segno di questa diversità che si esprime in mille modi. Le conseguenze sono molte, la prima l'affievolirsi della fede nella presenza reale del Signore nelle specie eucaristiche. Quanti oggi hanno l'EVIDENZA della transustanziazione durante una messa, specialmente se la celebrazione si realizza in liturgie festose, piene di applausi e magari di palloncini colorati?
Il mio conforto è che essendo oggi equiparate le due forme liturgiche, ordinaria e straordinaria, ciò che è chiaro nella forma straordinaria possa esserlo anche in quella ordinaria, aperta com'è (e al di là delle buone intenzioni dei più) a molte interpretazioni, anche eterodosse.