domenica 22 marzo 2009

Il Papa incontra la madre della dottoressa Bonino, uccisa dal virus di Marburg. Il racconto di Andrea Tornielli


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«Ora posso pregare sulla tomba di mia figlia»


di Andrea Tornielli

nostro inviato a Luanda (Angola)

«Fino ad oggi non avevo avuto il coraggio di arrivare in Angola a pregare sulla tomba di Maria... Ora sono a Luanda, proprio adesso che c’è il Papa.
È una bella coincidenza, ma non sono venuta per lui, sono venuta per lei».
Gabriella Orioli Bonino è una donna fragile e forte. Seduta sotto la grigia tettoia nel cortile della sede di «Medici con l’Africa» del «Cuamm», l’associazione dei medici missionari sorta a Padova mezzo secolo fa e impegnata in progetti per lo sviluppo e la salute, è impaziente di uscire dal cancello bianco che la separa da quell’universo di povertà e miseria così amato da sua figlia. Il 24 marzo di quattro anni fa, la pediatra Maria Bonino, 51 anni, si spegneva in questa città dopo aver contratto una febbre emorragica nell’ospedale di Uige, dove aveva cercato di salvare tanti bambini colpiti dallo stesso morbo.
«Ogni volta che ripartiva – racconta la madre, con una discrezione e compostezza tipicamente piemontesi – Maria mi diceva: “Se muoio in Africa lasciatemi dove sono”. Ci è riuscita». È sepolta in un cimitero della periferia di Luanda e martedì, per la prima volta, Gabriella visiterà la tomba di quella figlia forte e testarda, che aveva realizzato il sogno della sua giovinezza spendendo la sua vita per gli altri.
«Mio marito era medico – continua -, siamo una famiglia cattolica. Maria venne in Africa, in Kenya, subito dopo la laurea, con un’amica scout. Visitò le missioni, non fece la turista. Rimase colpita e da allora il suo cuore è sempre rimasto in questo continente». Presta servizio prima a Ikonda, in Tanzania, poi in Burkina Faso, quindi in Uganda e nel marzo 2003 arriva all’ospedale provinciale di Uige, in Angola. Attacca alle sette di mattina, esce la sera. Abbraccia e cura centinaia, migliaia di bambini, come fossero suoi figli. «Era convinta dell’importanza di operare sul campo – ripete l’anziana madre –, qui è capitato quello che il Signore ha voluto».
Nell’ottobre 2004, a Uige, inizia a diffondersi un’epidemia di febbre emorragica. «Lei aveva lanciato l’allarme. Non l’hanno ascoltata - sussurra Gabriella -.
E io credo che l’Europa abbia enormi responsabilità.
Quel virus africano venne isolato nel 1965, a Marburg, in Germania. Morirono tre ricercatori.
Ma siccome era un morbo africano, che non interessava noi europei, non si fece ricerca per cercare delle cure. Maria condannava questa assoluta indifferenza».
A Uige cominciano a morire adulti e soprattutto bambini, tra le urla e i gemiti dei genitori disperati. Gli allarmi della dottoressa Bonino non vengono presi sul serio, fino a quel 16 marzo 2005, quando fonti ministeriali segnalano che nella provincia si è diffusa un’epidemia sconosciuta che ha ucciso 55 bambini e sei adulti.
«Quel giorno Maria avvertì i primi sintomi della malattia. A sua sorella scriveva email tranquillizzanti. Diceva: “Mascherina e guanti, candeggina à gogo, stai tranquilla che mi difendo”. Ma il virus l’aveva colpita». La donna spera all’inizio che si tratti di malaria, dice di non voler morire ma aggiunge: «Mi va bene morire se la mia morte sarà l’ultima».
Il 19 marzo 2005 Maria viene trasportata da Uige a Luanda, in una clinica privata. Pochi giorni dopo l’Oms conferma che l’epidemia è causata dal virus di Marburg e alle 16.30 del 24 marzo, il sacrificio di Maria si compie. Gabriella Orioli, che ieri pomeriggio ha incontrato Benedetto XVI, potrà finalmente pregare sulla tomba della figlia.

© Copyright Il Giornale, 22 marzo 2009 consultabile online anche qui.

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