giovedì 30 luglio 2009
Don Natale Scarpitta: La laicità dello Stato secondo Benedetto XVI (Zenit)
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Su segnalazione del nostro Pino leggiamo questo articolo molto, molto, interessante:
La laicità dello Stato secondo Benedetto XVI
di don Natale Scarpitta*
ROMA, mercoledì, 29 luglio 2009 (ZENIT.org).
Termini come “laicità”, “laicismo”, “ragione laica” ricorrono sempre più frequentemente nell’odierno confronto sociale e politico.
Il Santo Padre Benedetto XVI, affermando che la laicità “sembra essere diventato quasi l’emblema qualificante della post-modernità, in particolare della moderna democrazia”, invoca come necessaria una riflessione attuale sul vero significato e sull'importanza che essa riveste nell'odierno scenario culturale.
Prima di entrare nel vivo del discorso, è necessaria una constatazione: nella plurale cultura contemporanea, alla parola “laicità” è associato spesso un concetto complesso ed equivoco.
Ciò deriva dal fatto che essa non è né univocamente interpretata né, tanto meno, univocamente attuata o vissuta. Oggi, infatti, al termine sembra essere attribuita una confusa polisemia, derivante da matrici culturali e politiche differenti. Omettendo volontariamente una retrospettiva storica sull’uso della parola, si osserva che oggi, soprattutto in Italia, il termine “laicità” tendenzialmente fa riferimento ad un degenerato secolarismo laicista che promuove un progressivo confinamento della religione nell'ambito strettamente privato della persona e della sua coscienza individuale, impedendo alla stessa religione di assumere rilevanza nella sfera pubblica.
Sempre Benedetto XVI, rivolgendosi ai partecipanti al IV Convegno nazionale della Chiesa Italiana, a Verona, proponeva una lucida disamina del cosiddetto “pensiero laico” contemporaneo, sempre più diffuso e contagioso, che propaganda una: «cultura che [...] vorrebbe porsi come universale e autosufficiente, generando un nuovo costume di vita.
Ne deriva una nuova ondata di illuminismo e di laicismo, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. Così Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare più direttamente, sembra divenuto superfluo, anzi estraneo. In stretto rapporto con tutto questo, ha luogo una radicale riduzione dell'uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. Si ha così un autentico capovolgimento del punto di partenza di questa cultura che era una rivendicazione della centralità dell'uomo e della sua libertà. Nella medesima linea, l'etica viene ricondotta entro i confini del relativismo e dell'utilitarismo, con l'esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso».
Nell’odierno contesto socio-culturale italiano, il Santo Padre rileva la “deriva nichilistica” di un processo culturale che si è messo in moto con l’obiettivo di ampliare la sfera della libertà individuale, ma che, invece, sta approdando progressivamente ad una sua limitazione e negazione.
Benedetto XVI scorge in tal fenomeno anche una “dittatura del relativismo”, perché in esso si propaganda una forma di cultura che taglia deliberatamente le proprie radici storiche volendo di proposito costituire una contraddizione radicale non solo al cristianesimo ma più ampiamente alle tradizioni religiose e morali dell’umanità.
Il Pontefice denuncia inoltre che la fiducia sempre più crescente ed incondizionata nel potere del connubio autoreferenziale scienza-razionalità sta riducendo l’intera esistenza umana unicamente a ciò che è calcolabile e concretamente sperimentabile.
Tale degenerazione è dovuta ad una concezione assoluta della libertà individuale. Essa, infatti, pur costituendo per la persona un valore primario e fondamentale, appare come l'esigenza intima regolante la propria autonomia di pensiero e di azione. L'immatura percezione di sentirsi “assolutamente” libero fa indebitamente presupporre all'uomo di possedere la legittima garanzia che tutto ciò che è in grado di fare, possa lecitamente realizzarlo; che tutto ciò che vuole possedere, debba necessariamente ottenerlo. Questa libertà, per la quale in ultima analisi tutto è relativo al soggetto, viene eretta a supremo criterio etico e giuridico: ogni altra posizione può essere quindi lecita soltanto finché rimane subordinata a tale criterio.
Ciò accade soprattutto nel campo della tecnica e del progresso, dove non vi sono più frontiere etiche che ne regolino la ricerca e la sperimentazione. Non esistono norme né principi morali assoluti, tanto meno se abbiano un’origine divina. L’etica viene rinchiusa piuttosto nella sfera privata, unicamente regolamentata dal soggettivismo dei giudizi e dall’utilitarismo delle valutazioni. La morale diventa così totalmente funzionale alle esigenze della propria volontà.
Relativismo e funzionalismo diventano così fenomeni che pongono, di volta in volta, ed a seconda delle convenienze, specifici valori di riferimento, privi quindi di ogni carattere di stabilità e di oggettività. Tale mancanza di valori assoluti, appartenenti ad un patrimonio sociale condiviso, si registra anche nel campo culturale: l’imperante relativismo fa sì che ogni convinzione sia lecita ed ogni comportamento legittimo.
E l'uomo? È comunemente considerato un mero prodotto della natura, frutto dell’evoluzione cosmica e biologica. Egli però acquista sempre più consapevolezza di considerarsi padrone autosufficiente del proprio destino, realizzando se stesso unicamente basandosi sul potere delle sue capacità umane. In questo triste scenario, sembra chiaro che non vi è più spazio per ciò che trascende la pura ragione. Dio e la sua legge non hanno più diritto ad abitare lo spazio pubblico né del pensiero né dell'agire umano. La fede è ridotta a devozione personale. Tutto ciò che è religioso è estraniato, emarginato dalla dimensione pubblica e relegato unicamente nell’intimità silente – perché ammutolita – della coscienza individuale. Non si riconosce più al fatto religioso alcun rilievo sociale: anzi, ogni convinzione politica o sociale dell’uomo scaturente da una qualsiasi appartenenza religiosa lederebbe la libertà del suo stesso pensiero.
L'identificazione indebita ed inopportuna tra laicità e laicismo a cui facevamo accenno prima, proposta con sempre maggiore vigore oggi in Italia da forze politiche e ideologiche, è stata ripetutamente smascherata da Papa Benedetto XVI che, nel corso del suo pontificato, ha spesso parlato piuttosto di una laicità positiva, aperta, autentica, sana.
Da una lettura attenta dei suoi interventi emergono tre punti cardine del suo pensiero.
– Innanzitutto sana laicità è quella che garantisce, in accordo coi principi costituzionali (cfr. art. 7) e i dettami conciliari (cfr. GS 76), l'effettiva distinzione ed autonomia delle realtà terrene dalla sfera ecclesiastica. A quanti, animati da uno “spirito laico”, invocano una netta separazione tra religione e Stato, tra fede e politica, il Santo Padre risponde non solo riconoscendo, bensì rivendicando autorevolmente la distinzione tra Stato e Chiesa. Uno spirito positivo di laicità, infatti, deve preservare la legittima indipendenza e sovranità delle due sfere negli ambiti ad esse propri, ma non vieta che esse promuovano congiuntamente una sempre più costruttiva e pacifica convivenza civile, fondata sul reciproco rispetto, in un clima di collaborazione feconda e di dialogo leale. Tale collaborazione tra la Comunità politica e la Chiesa genera anche la preoccupazione condivisa di offrire alle domande della società odierna risposte concordi, ed al contempo fa maturare l'esigenza di trovare comuni soluzioni reali ed efficaci ai problemi che attanagliano l’uomo post-moderno. Gli stretti vincoli di cooperazione, inoltre, implicando una convergenza fattiva di sforzi, manifestano che la comune responsabilità viene posta dalla due sfere al servizio della ricerca del bene autentico ed integrale di ogni singola persona umana e dell’intera collettività.
– Solo una laicità statale cieca ignora la dimensione religiosa della comunità civile e ne disconosce i valori. Una sana laicità, invece, riconosce che la religione, piuttosto che costituire un ostacolo al perseguimento dei nobili fini di un Paese, rappresenta per lo Stato un solido partner per la coesione sociale e l’edificazione di uno spazio civile più umano, giusto e libero. Un clima di autentica laicità implica quindi che ciascun Governo assicuri alla Chiesa il debito riconoscimento della sua specifica natura e la rassicurazione di farle esercitare liberamente la missione che le è propria. Questo comporta che lo Stato, in opposizione alle correnti laiciste, non deve “tollerare” che vi sia al suo interno una dimensione religiosa, considerandola come un semplice sentimento individuale confinabile all’ambito privato. Al contrario, alla religione va riconosciuta la legittimità della sua presenza comunitaria pubblica e garantito e valorizzato il libero esercizio delle attività di culto (spirituali, culturali, educative e caritative) della comunità credente. Ciò implica pertanto che la Chiesa deve poter godere del diritto di libertà religiosa, considerato in tutta la sua ampiezza. Tale riconoscimento deve permettere anche che la dimensione pubblica della religione si esprima attraverso una legittima e fattiva partecipazione dei credenti alla costruzione dell’ordine sociale. Appare proficua e legittima perciò quella laicità che garantisce ad ogni cittadino il diritto di vivere la propria fede religiosa con autentica libertà anche in ambito pubblico. Una reale democrazia laica permette infatti alle istituzioni religiose di dare pubblicità ai propri messaggi al fine di poter offrire ai cittadini materia di riflessione in maniera equanime.
- Inoltre, una sana laicità riconosce l’ordine morale al quale appartengono istanze etiche che trovano il loro fondamento nell’essenza stessa dell’uomo. Essa tutela la dignità dell’uomo e garantisce la difesa dei diritti inviolabili di cui egli è portatore. La persona umana, nella sua concreta individualità sociale, deve essere riconosciuta come un valore originario per cui i suoi diritti fondamentali permangono in ogni situazione non-negoziabili. Questi valori, prima di essere cristiani, sono umani, tali perciò da non lasciare indifferente e silenziosa la Chiesa, la quale ha il dovere di proclamare con fermezza la verità sull'uomo e sul suo destino. Se valori come libertà, giustizia, rispetto della vita e degli altri diritti della persona, vengono insegnati anche da una comunità religiosa, questo non diminuisce la “laicità” dell'impegno di coloro che si riconoscono in questi principi.
Il Pontefice, offrendo il suo contributo culturale all’individuazione di una retta concezione di laicità, delinea anche quello che è il compito dei laici credenti nella società contemporanea. Pur riconoscendo che la Chiesa non è un agente politico, egli crede che la fede religiosa rappresenti un rilevante fattore di “civilizzazione” e, perciò, possa avere una funzione ispiratrice di un concreto operare politico, improntato ai valori che dalla stessa fede discendono.
Il Santo Padre sprona così il laicato cattolico ad assumere una posizione esistenzialmente e politicamente attiva che si esplichi nell’assunzione di responsabilità civili. Si avverte oggi il bisogno di fornire alla comunità un ordine sociale libero e virtuoso. E spetta in primo luogo ai laici cattolici operare in tale direzione. Essi devono compiere una “scelta di campo”: impegnarsi in prima persona in politica, investire le loro intelligenze e la loro professionalità per la promozione del bene della collettività che è norma fondamentale sia dello Stato che della Chiesa.
Il laico credente impegnato in politica, consapevole della grave responsabilità sociale di cui è investito, deve sentirsi particolarmente interpellato dalla sua coscienza ad un impegno forte soprattutto nel campo dell’etica pubblica. All’umile coraggio della sua missione deve associare anche la ferma fedeltà ai principi morali della sua coscienza: egli è pertanto chiamato a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana, soprattutto quando sono compromesse esigenze etiche fondamentali ed irrinunciabili come l’aborto, l’eutanasia, la manipolazione genetica. Ma pure la tutela della famiglia che non può essere in alcun modo, tantomeno giuridicamente, equiparata ad altre forme di convivenza; la tutela del diritto alla libertà religiosa e lo sviluppo di un’economia che sia al servizio della persona e del bene comune, nel rispetto della giustizia sociale.
Ogni laico credente è, in definitiva, chiamato ad un lavoro intellettuale che offra un contributo alto e nobile ai problemi ed alle sfide della società contemporanea attraverso approfondite elaborazioni culturali ed incisive argomentazioni razionali. Solo così la sua voce potrà entrare a pieno titolo nel confronto sulle differenti posizioni filosofiche ed antropologiche e verrà valutata non da pregiudizi anticlericali, ma in base alla “forza del pensiero” ed alla ragionevolezza concreta di quanto propone.
Per concludere, bisogna riconoscere al Papa Benedetto XVI un coraggio intellettuale e civile (oltre che apostolico) non comune, nel tentativo di voler purificare il concetto di laicità che l’opinione dominante tende a diffondere. Egli mira così a ridisegnare il rapporto tra Stato e Chiesa ed a riequilibrare la loro collaborazione spostando l’attenzione intellettuale sulla centralità dell’uomo.
La sana laicità dello Stato di cui ci parla il Santo Padre non coincide con un diplomatico equilibrismo di compromessi fra “trono ed altare” o di rispetto formale di regole da parte delle due Istituzioni. Essa consiste piuttosto nello sforzo comune di leggere la multiforme realtà, accoglierla ed interpretarla secondo un codice di valori condivisi. Proprio per questo una rilettura attuale del termine “laicità” deve prendere le mosse da una comprensione comune di valori che sia lo Stato che la Chiesa pongono a fondamento del loro dialogo.
Tra di essi il primo principio da prendere in considerazione sarà sicuramente quello riguardante la persona umana. L’uomo non può essere ridotto ad un semplice prodotto della natura materiale! Una visione antropologica comune deve rispettare la dignità dell’uomo e riconoscerne i diritti fondamentali innati, previi a qualsiasi giurisdizione statale e, di conseguenza, non negoziabili dal dibattito politico.
Tra le priorità legate alla persona emergono anche altre preoccupazioni come la tutela della vita umana, in tutte le sue fasi, dal concepimento fino alla morte naturale; la tutela dell’istituto familiare fondato sul matrimonio monogamico tra uomo e donna, protetto nella sua unità e stabilità; la garanzia che possa essere assicurata a tutti la libertà di educazione dei propri figli.
Inoltre, in un’epoca come la nostra, nella quale torna a farsi sentire la difficoltà di una convivenza tra diverse culture e diverse confessioni religiose, la laicità deve essere considerata come uno spazio comune in cui alle varie “alterità polifoniche” è consentito un pacifico e fecondo pluralismo che lo Stato laico dovrebbe impegnarsi a garantire, politicamente e giuridicamente.
Una sana e positiva laicità è poi quella che, pur affermando il principio di distinzione tra Stato e Chiesa, non revoca alla religione il suo ruolo pubblico, anzi la considera apertamente una risorsa per la vitalità della comunità politica in generale, fatta salva ovviamente la compatibilità dei diversi valori religiosi con i valori fondamentali della stessa comunità.
In linea con quanto sostiene Papa Benedetto XVI, una laicità autentica dovrebbe rappresentare un canale che connette quei valori cristiani, legati alla storia ed alla tradizione culturale del nostro Continente, con le nuove sfide che la società contemporanea sottopone al dibattito civile. Soprattutto in Italia, è innegabile l’apporto che il cristianesimo, nel corso della storia, ha offerto, in tante modalità distinte, alla formazione della cultura umana e politica. La Carta Costituzionale è anche frutto proprio della tradizione cristiana e della dottrina sociale della Chiesa. Non ci si deve quindi meravigliare che la laicità, correttamente intesa, possa ancora oggi coniugarsi con la cultura cristiana. Del resto, il Cristianesimo conserva ancora fresca quella forza razionale e spirituale che genera pensiero ed elementi di cui la democrazia statale ha bisogno.
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*Don Natale Scarpitta, presbitero dell'Arcidiocesi di Salerno-Campagna -Acerno, alunno dell'Almo Collegio Capranica, è licenziando in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana.
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1 commento:
credo che valga la pena di essere letto!
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