mercoledì 29 luglio 2009
Caritas in Veritate: "La gratuità genera la giustizia" (Il Giornale di Vicenza)
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Su segnalazione di Elisabetta leggiamo:
La gratuità genera la giustizia
Il mondo attuale è caratterizzato dall’interdipendenza e dalla globalizzazione, generata dalla comunicazione e dall’economia, estesasi a tutti i settori della vita. I problemi sociali perciò vanno affrontati in questo quadro, nel quale scompaiono i confini degli Stati e gli uomini si trovano a convivere insieme. L’enciclica "Caritas in Veritate" parla di nuove dimensioni dell’economia e dell’impresa e della necessità di un nuovo stile di vita improntato al bene comune e all’etica.
Significativa è l’insistenza del Papa sulla gratuità: "Mentre ieri si poteva ritenere che prima bisognasse perseguire la giustizia e che la gratuità intervenisse dopo come un completamento, oggi bisogna dire che senza la gratuità non si riesce a realizzare nemmeno la giustizia".
“Senza forme interne - continua il Papa - di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica" (n. 35), perché i rapporti avvengono a distanza ed hanno bisogno di un supplemento di fiducia.
Per operare sono indispensabili “rapporti autenticamente umani, di amicizia e di socialità, di solidarietà e di reciprocità, anche all’interno dell’attività economica e non soltanto fuori di essa o ’dopo’ di essa" (n. 36).
Quali cambiamenti si richiedono di conseguenza nell’impresa e nell’organizzazione mondiale dell’economia?
Le vecchie modalità della vita imprenditoriale, scrive Benedetto XVI, improntate al massimo utile degli azionisti, vengono meno.
“La gestione dell’impresa non può tener conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell’impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento" (n. 40).
In particolare va ripensata la figura del “manager", che gestisce fondi anonimi rispondendo solo alle indicazioni degli azionisti. Già Giovanni Paolo II, nel commemorare la “Populorum progressio" con l’enciclica “Sollicitudo rei socialis" nel 1987, avvertiva che “investire ha sempre un significato morale, oltre che economico" (n. 24). L’economia supera oggi i confini territoriali rendendo impossibile il controllo dello Stato.
Di conseguenza “i canoni della giustizia - scrive Benedetto XVI - devono essere rispettati sin dall’inizio, mentre si svolge il processo economico e non già dopo o lateralmente" (n. 37).
Alla giustizia ed insieme allo spirito del dono devono essere improntate l’attività economica e le relazioni che nascono nel mondo. È compito degli Stati e della comunità internazionale “civilizzare l’economia" (n. 38), combattendo le forme di monopolio, aprendosi progressivamente nel contesto mondiale a forme di attività economica, le quali privilegino i cittadini che vivono nel sottosviluppo. Se è vero che l’autorità degli Stati è oggi diminuita, i governi dovranno sviluppare una più forte collaborazione reciproca.
La crisi attuale dimostra la necessità di interventi pubblici concordati, senza parlare del ruolo dello Stato per lo sviluppo in molti Paesi del mondo. Il Papa non condanna a priori la delocalizzazione, che può risultare utile alle popolazioni del Paese che la ospita. La condanna è se è fatta solo per godere di particolari condizioni di favore o peggio per sfruttamento (n. 40). La collaborazione internazionale emerge infine per importanza, proprio perché la globalizzazione economica non può essere assunta in senso deterministico, e richiede criteri per valutarla ed orientarla.
Essa, ribadisce il Papa, non va rifiutata ciecamente, date le opportunità di sviluppo che offre. “Bisogna correggerne le disfunzioni, anche gravi", che introducono nuove forme di divisioni fra i popoli e distribuiscono nel mondo povertà anziché sviluppo.
“La diffusione delle sfere di benessere a livello mondiale non va, dunque, frenata con progetti egoistici, protezionistici o dettati da interessi particolari" (n. 42).
Emerge alla base la responsabilità morale di far uscire i popoli dal sottosviluppo coinvolgendoli in tale processo. “I poveri - afferma Benedetto XVI - non sono da considerarsi un ’fardello’, bensì una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico".
È errato il pregiudizio che “l’economia di mercato abbia strutturalmente bisogno di una quota di povertà e di sottosviluppo per poter funzionare meglio" (n. 35).
La globalizzazione, conclude il terzo capitolo dell’enciclica “Caritas in Veritate", va assunta in chiave antropologica ed etica.
“Ciò consentirà di vivere ed orientare la globalizzazione dell’umanità in termini di razionalità, di comunione e di condivisione" (n. 42).
© Copyright Il Giornale di Vicenza, 28 luglio 2009
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