mercoledì 24 giugno 2009

Paolo VI: una nuova luce sull’audacia di Montini, il papa “frainteso” (Gheda)


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PAOLO VI/ Una nuova luce sull’audacia di Montini, il papa “frainteso”

Paolo Gheda

lunedì 22 giugno 2009

Esce in questi giorni il volume biografico di Andrea Tornielli sul papa Giovanni Battista Montini (“Paolo VI. L’audacia di un papa”, Mondadori, Le Scie, 722 pp.).
Si tratta di un lavoro cospicuo e intelligente, innanzitutto perché consapevole dei limiti attuali nelle possibilità di ricostruzione della figura del pontefice bresciano, determinati sia dalla prossimità della sua vicenda, che ancora tende a mescolare i dati oggettivi con il flusso della memoria dei testimoni, sia dalla ancora parziale disponibilità delle fonti attualmente attingibili.
Su quest’ultimo versante è però individuabile uno dei guadagni del lavoro di Tornielli, e cioè il suo sforzo di raccogliere e coordinare documenti nuovi e già noti, muovendosi su larga scala rispetto alle situazioni e ai contesti dell’esperienza montiniana – dalla ricca documentazione edita di testi e studi prodotta dall’Istituto Paolo VI di Brescia, alle carte inedite del segretario della CEI negli anni Sessanta, mons. Alberto Castelli, ai fondi relativi ai cardinali Dell’Acqua e Tisserant, sino infine ai documenti messi a disposizione dalla famiglia Pacelli e dal senatore a vita Giulio Andreotti – , e avvalendosi di testimonianze orali inedite che aiutano a precisare aspetti in parte già noti e studiati, come, ad esempio, quella del presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga sul caso Moro (p. 606).
Un altro merito di questo “Paolo VI” è individuabile nella volontà dell’autore di confrontarsi con gli studi (e gli studiosi) recenti che più o meno direttamente hanno toccato Montini e la sua opera di sacerdote, vescovo e papa (come Giselda Adornato, esperta soprattutto del Montini “milanese”, o chi scrive per i rapporti con Siri e la CEI, oltre ai maggiori esperti attuali di storia della Chiesa contemporanea, a partire da Andrea Riccardi).
Uno degli aggettivi avvicinati al papa bresciano lungo tutto il volume è “frainteso”, espressione in cui, in qualche modo, Tornielli legge l’attuale percezione della testimonianza montiniana: Montini fu generalmente “criticato da sinistra e da destra” ed “equivocato “proprio dai suoi amici” , frainteso per la discussa «scelta religiosa» che lui additò per l’Azione Cattolica (p. 3), così come è rimasto incompreso il suo sforzo di “conciliazione” tra le varie anime della Chiesa durante il Vaticano II, secondo l’autore: «da quanti hanno ritenuto che il concilio fosse il principio di un’era assolutamente nuova, di totale rottura con il passato, così come da coloro che hanno visto nell’evento conciliare l’inizio della fine del cattolicesimo».
Una crescente incomprensione – al limite della testimonianza eroica nell’isolamento, aggiungiamo – di cui l’enciclica Humanae Vitae resta senza dubbio l’emblema più vivido, «il documento che ha segnato il massimo isolamento del papa bresciano» (p. 4).
Resta forse esemplare sul piano caratteriale l’episodio, innocente e strumentalizzato, della “fucina ardente” che segnò il declino della stella montiniana nella FUCI (p. 111). Di ben altro spessore è poi il passaggio conciliare – già in parte studiato, anche da chi scrive – della Nota Praevia del papa sul tema della collegialità (p. 398), conosciuta prevalentemente per essere stata considerata una difesa offerta da Montini al primato petrino, forse uno dei momenti di maggiore vicinanza registrato con il presidente della CEI card. Giuseppe Siri, secondo un’altra pregiudiziale interpretazione – suo “contraltare” nelle correnti di pensiero dell’episcopato peninsulare.
Di grande impatto pastorale fu poi l’equivoco in cui – secondo Tornielli – cadde un passaggio della Populorum Progressio, che in effetti suscitò, tra le altre, l’ansiosa reazione di Giovanni Spadolini circa le potenziali strumentalizzazioni anticapitalistiche da parte del mondo comunista (p. 459); riguardo a queste due grandi - e forse troppo anticipatrici per riscontrare un’immediata condivisione - encicliche montiniane, Tornielli cita anche gli equivoci più marchiani, come quelli dell’americano “Time”, sottolineando la “profeticità” (e si potrebbe quindi aggiungere l’inattualità) del papa bresciano (ivi).
Ma il tema del fraintendere, o meglio lo scongiurare tale eventualità nell’esercizio intellettuale e pastorale, fu pure una cifra di Montini, come quando precisava il significato cristiano del termine “rinascere” nel contesto della Rivelazione (p. 451), o quando nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del 1975 avvertì l’esigenza di precisare che «il Vangelo, e quindi l’evangelizzazione, non si identificano certo con la cultura, e sono indipendenti rispetto a tutte le culture», tuttavia il regno, «che il Vangelo annunzia, è vissuto da uomini profondamente legati a una cultura, e la costruzione del Regno non può non avvalersi degli elementi della cultura e delle culture umane» (passi dell’esortazione citati a p. 578), oppure ancora quando, nel contesto della drammatica esperienza della Chiesa cattolica nel mondo sovietico, Montini si premurava di precisare che l’ “Ostpolitik” vaticana, improntata sempre al dialogo costruttivo, non andava fraintesa quasi fosse un atteggiamento di debolezza, “acquiescenza o di rassegnata accettazione” delle persecuzioni (così Montini, p. 583).
Lo scavo biografico di questo “Paolo VI”, in definitiva – pure visto dalla prospettiva privilegiata di chi, come lo scrivente, ne ha seguito abbastanza assiduamente le fasi di costruzione e scrittura – , ha soprattutto il merito di riportare l’attenzione della cultura e dei media italiani sulla figura di un pontefice sinora immeritatamente “schiacciato” tra i profili di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II (se si esclude una recentissima riproposizione televisiva), soprattutto in ragione dell’esito dei suoi ultimi, faticosi anni, un papa “vecchio e aggredito dall’artrosi, che aveva chiesto in ginocchio «agli uomini delle Brigate Rosse» la liberazione di Moro e aveva quasi rimproverato Dio per non aver esaudito la preghiera di salvare la vita dello statista”; un papa che, nella felice espressione di Tornielli, se ne andò “in punta di piedi” (p. 622).
Un uomo di Chiesa che, peraltro, condusse “in porto” il Vaticano II e segnò profeticamente con alcune grandi intuizioni pastorali la vicenda del cattolicesimo che lo avrebbe seguito, obbedendo oltre ché alla fede ed alla vocazione, a quell’ “audacia” che già la madre aveva constatato in lui, e di cui i fratelli narrarono a Jean Guitton, come nota Tornielli nella sezione dedicata alla giovinezza di Paolo VI (p. 35), senza dubbio una delle parti più efficaci del volume.

© Copyright Il Sussidiario, 22 giugno 2009

23 commenti:

Fabio ha detto...

Non ho letto il libro ma mi piacerebbe sapere come Tornielli interpreta l'opera più importante di Paolo VI: la riforma liturgica.
Paolo VI era veramente un sommo sacerdote. Mi sono rimaste fortemente impresse la grande dignità, compostezza e pietà con cui celebrava il Divin Sacrificio. I sacerdoti e i noi fedeli avremmo molto da imparare da l' "ars celebrandi" di Paolo VI. Speriamo che quest'aspetto venga messo in luce nel corso dell'anno sacerdotale.

Anonimo ha detto...

ARS CELEBRANDI CHE COSA ?Caro Fabio che ars celebrandi può mai avere uno che ha appena permesso la distruzione della Tradizione ammettedo pure che non l'abbia del tutto voluta?Questo papa è passato con una disinvoltura spaventosa dal v.o al n.o.e la fessura del fumo era una voragine.Credimi nessuna ras un gelido rito ,un parroco di campagna e bresciano.

Anonimo ha detto...

Distrutto la Tradizione? Non scriviamo eresie per favore. La Tradizione, rettamente intesa, non coincide con certe forme sterili ed esteriori care a certo tradizionalismo.

Fabio ha detto...

Benché la liturgia sia principalmente culto a Dio, tuttavia, essa svolge un’importante funzione educativa. Grazie alla liturgia, infatti - afferma il Vaticano II - «Dio parla al suo popolo e Cristo annunzia ancora il suo Vangelo». Nella liturgia, inoltre, «i segni visibili» hanno lo scopo di indicare le realtà spirituali in modo che «la fede dei partecipanti è alimentata e le menti sono elevate a Dio». Perciò è importante, che «i riti splendano per nobile semplicità; siano trasparenti per il fatto della loro brevità» e «siano adattati alla capacità di comprensione dei fedeli». (Cf. SC 33 – 34). Paolo VI ha realizzato pienamente tutto questo nel profondo rispetto della Sacra Tradizione.

Anonimo ha detto...

forse paolo vi avrà forse anche voluto rispettare la tradizione ma di certo bugnini no.

brustef1 ha detto...

L'audacia di Montini è davvero un ossimoro, pace all'anima sua

Anonimo ha detto...

allora se volessimo la tradizione vera dovremmo dire la messa in aramaico e sederci tutti allo stesso tavolo come nell'ultima cena.

tutto ciò che ora è tradizione è stata, una tempo, innovazione.

brustef1 ha detto...

L'ultimo post fa evidentemente l'elogio del focaccione di Linz

Anonimo ha detto...

bel metodo quello di far dire agli altri quello che non voglio dire...

Anonimo ha detto...

la focaccia di linz non mi piace, ma poi penso a Gesù che di lassù dovrebbe dire "guarda che brutti quelli col pinzone, e invece che bravi quelli col piatto dorato"
e mi passa ogni voglia di far polemica.

brustef1 ha detto...

Indipendentemente dalla sua intima volontà, se non ci fosse stato Paolo VI non ci sarebbe, oggi, il focaccione di Linz. Il tormento interiore di un Papa non si deve riflettere sulla sua azione di governo

brustef1 ha detto...

Chi crede alla Chiesa come corpo mistico di Cristo deve anche credere al valore della Tradizione. Purtroppo il relativismo dei nostri tempi si riflette anche sui commenti di tanti bravi cristiani

Anonimo ha detto...

è risaputo che con i "se" si fa la storia..

Anonimo ha detto...

bravo brustef1. vedo che lei ha gia giudicato. non serve che dica altro.

Anonimo ha detto...

e comunque in quel "focaccione" molti hanno adorato il corpo di Cristo. e solo perchè non ce lo vede lei, non mi smbra il caso di denigrare tanto.

brustef1 ha detto...

Bene: se in molti fanno questo o quello vuol dire che è giusto; con i "se" non si fa la storia (ma non credo ci siano dubbi che se non ci fosse stato Hitler non ci sarebbe stato l'Olocausto). Relativismo allo stato puro, evidentemente inconsapevole.

Alessio ha detto...

Certamente la riforma liturgica avallata da Papa Montini non ha sortito i frutti positivi che si attendevano. Forse c'è stata una certa maggiore partecipazione (a livello esteriuore), ma si è sacrificata e mortificata la dimensione del bello, del sacro, del mistero. E poi Papa Montini ha "imposto" la riforma Bugniniana, quando avrebbe potuto permettere anche la Messa antica accanto a quello sgorbio che è la Messa Nuova, senza gesti di adorazione, inchini, genuflessioni, ecc.
Diaciamola tutta: ha sbagliato punto e basta.
Un sacerdote.

Anonimo ha detto...

lo sa lei cos'è giusto? ha avuto questo dono? presunzione allo stato puro, evidentemente inconsapevole.

brustef1 ha detto...

Senta, anonimo de coccio, ma se lei crede che tutto sia relativo, compresa la dottrina della Chiesa, perché partecipa a questo blog? perché si occupa di questioni di Chiesa? Io sarò consapevolmente presuntuoso, ma lei è inconsapevole di tutto

Anonimo ha detto...

ecco. è arrivata la classica domanda "che ci fa lei in questo blog?".
lei ha deciso che per me tutto è relativo, per non parlare del finissimo "de coccio".
"la dove ci sono due o più persone riunite in mio nome la ci sarò anch'io".
io sono cattolico e attaccato alla tradizione quanto lei, ma non mi permetto di giudicare la fede degli altri. per lei sono relativisti tutti quelli che non la pensano come lei?

Fabio ha detto...

Ammetto che il Papa è infallibile solo quando insegna "ex cattedra" e ammetto pure che la riforma liturgica può essere migliorata - vorrei chiedere agli accaniti sostenitori dell'antico Ordo:
1. Avete mai approfondito il senso dei cambiamenti che papa Montini ha voluto introdurre nel nuovo Messale?
2. Sapete distinguere gli abusi dal rito del nuovo Ordo?
3. Non vi ricordate come era la Messa di S. Pio V?
Se sotto certi aspetti era una Messa devota, sotto altri impediva una vera partecipazione attiva dei fedeli (la lingua incomprensibile, per il formalismo esasperante e il rubricismo...). Quante persone recitavano il Rosario durante la S. Messa perché incapaci di seguire i gesti e le parole del rito? Non state forse idealizzando un momento della vita liturgica della Chiesa? Non vi sembra di fare come i fratelli ortodossi che sono rimasti alla teologia dei primi Concili e alla Messa di s. Giovanni Cristomo? Lo Spirito santo soffia anche oggi! Negare un progressivo approfondimento dei contenuti della fede (e questo passa attraverso la liturgia!) non significa in fondo negare la Sacra Tradizione stessa?

Anonimo ha detto...

Raffa, ti segnalo dal blog "senza peli sulla lingua, questo bel commento di Padre Scalese:
Elogio di Paolo VI
Alessia

brustef1 ha detto...

Magari oggi ci fossero persone che recitano il rosario durante la messa! Di fronte a formule sciatte in linguaggio sindacal-sociologico meglio rifugiarsi nella preghiera personale, c'è sicuramente più devozione nel rosario che nello scambio del segno di pace, cioè in un saluto forzato e demagogico che lascia il tempo che trova. Mai sentito parlare di importanza anche culturale del rito e della Forma? mai sentito parlare di poesia del suono, di senso mistico della ripetizione, di contemplazione del Crocifisso e del Mistero senza che uno sbracato prete/conduttore televisivo col microfono in mano frapponga la propria ingombrante presenza tra Cristo e i fedeli? E non mi risulta che la sciatteria e i canti simil-Sanremo riempiano le chiese. Mai visto un rito ortodosso? La Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo è meravigliosa e in Russia, dopo i 70 anni di comunismo e di persecuzione le chiese le riempie, eccome