venerdì 31 luglio 2009

Domani una rappresentanza di atleti in udienza dal Papa. A Paul Biedermann e Federica Pellegrini l'onore di consegnare un dono al Santo Padre


Vedi anche:

Card. Ratzinger: "Non solo l’autorità del Magistero ecclesiale è declassata agli occhi di molti, ma anche la Scrittura, al posto della quale entrano delle ipotesi pseudo-storiche mutevoli, che in fondo daranno spazio a qual si voglia arbitrio ed espongono la liturgia alla mercé della moda. Laddove sulla base di tali idee si manipola sempre più liberamente la liturgia, i credenti sentono che in realtà nulla vi è celebrato ed è comprensibile che abbandonino la liturgia e con questa la Chiesa" (Intervento del card. Ratzinger alla Conferenza sulla liturgia tenutasi nel monastero di Fontgombault nel 2001)

La voce del Papa in un disco benefico in uscita a Natale

Mons. Fisichella sulla pillola Ru486: Quando si banalizza la vita. I dubbi di Roccella sulla compatibilità con la legge 194 (Osservatore Romano)

LE VACANZE DEL PAPA IN VALLE D'AOSTA: LO SPECIALE DI 12VDA.IT

Reso noto il programma della visita del 6 settembre: Benedetto XVI a Viterbo (Osservatore Romano)

Nel concistoro del 1977 Paolo VI torna a criticare l'ermeneutica della rottura per richiamare all'obbedienza i contestaori

Concilio Vaticano II ed ermeneutica della rottura: nel 1976 Paolo VI mette i puntini sulle "i" usando un linguaggio particolarmente forte

Per la Giornata mondiale della Pace 2010, il Papa punta sull’ecologia (Aldo Maria Valli)

Lettera aperta di Padre Giovanni Scalese a Mons. Fellay

Tra Bonaventura e Tommaso: il Papa il 6 settembre a Viterbo e Bagnoregio (Radio Vaticana)

In arrivo un album con le canzoni del Papa. Benedetto cantante? :-)

A colloquio con il rettore del Collegio dei penitenzieri vaticani: Dispensatori della misericordia di Dio (Osservatore Romano)

Intervista a tutto campo di Apcom a Mons. Bernard Fellay, Superiore della Fraternità San Pio X

Pubblicati gli atti del simposio sulla storia della Penitenzieria Apostolica. La disciplina della misericordia (Osservatore Romano)

Padre Livio: «Gli adepti di Tomislav Vlasic parlano con gli alieni» (Corriere)

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Benedetto XVI a Castel Gandolfo (Osservatore Romano)

Card. Ratzinger a colloquio con Galli della Loggia: "Ciò che offende i musulmani e i fedeli di altre religioni non è parlare di Dio o delle nostre radici cristiane, ma piuttosto il disprezzo di Dio e del sacro, che ci separa dalle altre culture e non crea una possibilità d'incontro ma esprime l'arroganza di una ragione diminuita, ridotta, che provoca reazioni fondamentaliste" (2004)

La coscienza fondamento del culto conforme alla ragione (in margine al nuovo libro di Joseph Ratzinger,Benedetto XVI “Elogio della coscienza”)

Il Papa saluta Les Combes: «Un posto meraviglioso» (Mazza)

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Medjugorje, Tomislav Vlasic «ridotto allo stato laicale» (Gianni Cardinale)

LE VACANZE DEL PAPA IN VALLE D'AOSTA (13-29 LUGLIO 2009)

NUOTO/MONDIALI: DOMANI RAPPRESENTANZA ATLETI IN UDIENZA DAL PAPA

Una rappresentanza selezionata degli oltre 4000 tra atleti, tecnici e dirigenti di oltre 180 Paesi, 2500 volontari e 1500 operatori della comunicazione che stanno prendendo parte alla 13esima edizione dei Campionati del Mondo di nuoto di Roma sara' ricevuta domani in udienza Speciale da Papa Benedetto XVI.
L'udienza si terra' alle ore 11.00 al Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo.
''D'accordo con le autorita' vaticane - si legge in una nota - il Presidente federale Paolo Barelli ha assegnato ai campioni mondiali Paul Biedermann e Federica Pellegrini l'onore di consegnare al Santo Padre un dono da parte di tutta la famiglia acquatica in ricordo di Roma 2009''.

© Copyright Asca

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Papa: la sua voce in disco benefico in uscita a Natale

The Guardian: 'Alma mater', cd brani religiosi con etichetta Usa

La voce di Papa Benedetto XVI in alcuni canti religiosi, raccolti in un cd benefico la cui uscita e' attesa per Natale. Con l'etichetta discografica Geffen Records (Usa), la voce del Papa - anticipa oggi The Guardian - sara' registrata per la prima volta su un disco che conterra' preghiere mariane e litanie lorenziane, cantate in diverse lingue: italiano, portoghese, francese e tedesco. L'album, dal titolo 'Alma Mater', conterra' inoltre altri pezzi originali.

© Copyright Apcom

Esce in autunno un cd musicale della Multimedia San Paolo con la voce di Benedetto XVI

E’ un prodotto della “Multimedia San Paolo” in cooperazione con la Geffen-Universal: si tratta del cd musicale – in uscita nel prossimo autunno - con la voce del Papa: la Radio Vaticana ha messo a disposizione alcune registrazioni di Benedetto XVI, tratte dai suoi archivi: brani di discorsi e preghiere in diverse lingue. Tra le registrazioni c’è anche quella in cui il Papa canta il Regina Caeli. Un cd simile, intitolato “Abba Pater”, era stato realizzato con la voce di Giovanni Paolo II durante il suo Pontificato.

© Copyright Radio Vaticana

PAPA: USCIRA' IN AUTUNNO CD MUSICALE CON LA SUA VOCE

E' prodotto della ''Multimedia San Paolo'' in cooperazione con la Geffen-Universal: si tratta del cd musicale - in uscita nel prossimo autunno - con la voce del papa. La Radio Vaticana ha infatti messo a disposizione alcune registrazioni di Benedetto XVI, tratte dai suoi archivi: brani di discorsi e preghiere in diverse lingue. Tra le registrazioni c'e' anche quella in cui il Papa canta il Regina Caeli. Un cd simile, intitolato ''Abba Pater'', era stato realizzato con la voce di Giovanni Paolo II durante il suo Pontificato.

© Copyright Asca

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LE VACANZE DEL PAPA IN VALLE D'AOSTA (13-29 LUGLIO 2009)

La pillola Ru486

Quando si banalizza la vita

di Rino Fisichella
Arcivescovo presidente
della Pontificia Accademia per la Vita

C'è una triste tendenza che si sta imponendo poco alla volta in alcuni frammenti della cultura contemporanea: la banalizzazione. Dalla vita alla morte tutto sembra sottoposto a un mero processo semplificativo che tende a rinchiudere ogni cosa in un affare privato senza alcun riferimento agli altri.
In questo modo, però, la coscienza si assopisce e diventa progressivamente incapace di giudizio serio e veritiero.
L'applicazione della pillola Ru486 a tecnica abortiva è stata una via di ripiego per recuperare i capitali investiti dopo la verifica del fallimento per la sperimentazione che era stata prefissata. Già questo "banale" particolare la dice lunga sullo scopo di alcune ricerche che vengono fatte nei laboratori. Dimenticare che la scienza e la ricerca tecnologica devono avere come loro primo scopo quello di promuovere la vita e la sua qualità comporta un inevitabile slittamento con la conseguenza di porre al primo posto la sete di guadagno e non la salvaguardia della natura. I proclami sulla neutralità della scienza rimbombano in alcuni momenti particolari con il solo scopo di accreditare un prodotto piuttosto che per ricordare il valore fondamentale che la ricerca possiede. Non si può divenire complici di queste situazioni, denunciate con coraggio da Benedetto XVI nella sua ultima enciclica Caritas in veritate, quando in gioco vi è la vita umana.
Fermarsi alla sola analisi del rapporto costi e benefici per introdurre nel mercato la Ru486 è una posizione molto pilatesca sulla quale si dovrà riflettere per non cadere in altrettante forme di ipocrisia. Dovrà pur esserci un'autorità in grado di considerare i gravi rischi a cui le donne sono sottoposte nel momento in cui fanno ricorso a questo farmaco. Come ci si può sottrarre davanti al fatto che troppi casi di morte si sono verificati dopo l'assunzione di questo trattamento? Come non considerare gli aspetti etici che questa pillola comporta? Come trascurare l'impatto che avrà sulle giovani generazioni di ragazze che ricorreranno sempre più facilmente a questo uso?
Gli interrogativi non sono affatto ovvi e obbligano a una risposta che si faccia carico di fornire argomenti per non rincorrere i soliti luoghi comuni. I sofismi, in questo caso, possono servire per una forma di personale soddisfazione, ma non convincono sulla drammaticità della situazione che deve essere affrontata. Inutile tergiversare.
La Ru486 è una tecnica abortiva perché tende a sopprimere l'embrione da poco annidato nell'utero della madre. Che il ricorso all'uso di questa pillola sia meno traumatico che sottoporsi all'operazione è tutto da dimostrare. Il primo trauma nasce nel momento in cui non si vuole accettare la gravidanza ed è proprio qui che si deve intervenire per aiutare la donna a comprendere il valore della vita nascente. L'embrione non è un ammasso di cellule né un po' di muffa come qualcuno ha avuto l'ardire di definirlo; è vita umana vera e piena. Sopprimerla è una responsabilità che nessuno può permettersi di assumere senza conoscerne a fondo le conseguenze.
L'assunzione della Ru486, quindi, non rende meno traumatico l'aborto, solo lo rinchiude ancora di più nella solitudine del privato della donna e lo prolunga nel tempo. È necessario ribadire che quanti vi fanno ricorso stanno compiendo un atto abortivo diretto e deliberato; devono sapere delle conseguenze canoniche a cui vanno incontro, ma soprattutto devono essere coscienti della gravità oggettiva del loro gesto. L'aborto è un male in sé perché sopprime una vita umana; questa vita anche se visibile solo attraverso la macchina possiede la stessa dignità riservata a ogni persona. Il rispetto dovuto verso l'embrione non può essere da meno di quello riservato a ognuno che cammina per la strada e chiede di essere accolto per ciò che è: una persona.
La Chiesa non può mai assistere in maniera passiva a quanto avviene nella società. È chiamata a rendere sempre presente quell'annuncio di vita che le permette di essere nel corso dei secoli segno tangibile del rispetto per la dignità della persona. Il cammino che si deve percorrere diventa in alcuni momenti più faticoso perché è difficile far comprendere che la via da seguire per mantenere il primato dell'etica non è quella di fornire con molta tranquillità una pillola, ma piuttosto quella di formare le coscienze. Questo compito è arduo perché comporta non solo l'impegno in prima persona, ma la capacità di farsi ascoltare e di essere credibile. La nostra opposizione a ogni tecnica abortiva è per affermare ogni giorno il "sì" alla vita con quanto essa comporta. Ciò significa ribadire il nostro richiamo all'urgenza educativa perché i giovani comprendano l'importanza di fare propri dei valori che permangono come patrimonio di cultura e di identità personale. Non potremo mai abituarci alla bellezza che la vita comporta dal suo primo istante in cui fa sentire di essere presente nel grembo di una madre fino al momento estremo in cui dovrà lasciare questo mondo.
Per questo motivo dinnanzi alla superficialità che spesso incombe permane immutato l'impegno per la formazione, così da cogliere giorno dopo giorno l'impegno per vivere la sessualità, l'affettività e l'amore con gioia e non con preoccupazione, ansia e angoscia.

(©L'Osservatore Romano - 1 agosto 2009)

I dubbi di Eugenia Roccella sull'applicabilità del protocollo

La pillola Ru486 è incompatibile con la legge sull'aborto

di Marco Bellizi

La commercializzazione della pillola abortiva Ru486 comporta forti dubbi di incompatibilità con la legge 194, che in Italia regola fra l'altro l'interruzione volontaria di gravidanza. E sembra contrastare con due pareri che il Consiglio superiore della sanità ha già espresso circa i rischi di somministrazione della pillola stessa. In tali pareri si affermava che i rischi per la salute della donna sono analoghi in caso di aborto chirurgico e di aborto chimico solo se in quest'ultimo caso viene garantito il ricovero ospedaliero. Circostanza praticamente impossibile da rispettare. Lo conferma a "L'Osservatore Romano" il sottosegretario al ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Eugenia Roccella, che alla vigilia della decisione dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) di commercializzare la pillola aveva richiamato l'attenzione sulle 29 donne morte a seguito dell'assunzione della Ru486. Alle quali fra l'altro andrebbero aggiunte le altre due decedute dopo l'assunzione della seconda pillola, che, contenendo prostaglandina, induce gli spasmi della gravidanza e l'espulsione del feto. "Mi chiedo - dice il sottosegretario - come farà l'Aifa a garantire l'applicazione del protocollo. L'aborto attraverso la Ru486 è un metodo intrinsecamente domiciliare ed è difficile ricondurlo alla legge 194. Su questo punto chiederemo chiarimenti. Dove questa incompatibilità si è già verificata, come in Francia, alla fine la legge sull'aborto, che era molto simile a quella italiana, è stata modificata". In base al protocollo dell'Aifa si dovrebbe poter verificare dunque che la donna rimanga in ospedale per il periodo di tempo previsto. In alcune regioni italiane, come l'Emilia Romagna, la somministrazione della Ru486 avviene invece in day hospital. "E nel 90 per cento dei casi, da prassi, le donne vengono rimandate a casa", rivela il sottosegretario. È bene precisare che, una volta assunta la pillola, l'aborto può completarsi anche dopo 15 giorni. In qualche caso più raro anche oltre. E naturalmente in qualsiasi momento, a loro rischio, le donne possono firmare per uscire dall'ospedale.
L'aborto procurato con la pillola Ru486 non è, secondo le ricerche, meno invasivo dell'aborto chirurgico, né meno pericoloso. Anzi. Sempre più frequentemente all'assunzione della prima pillola e della prostaglandina fa seguito l'assunzione di routine di antibiotici, per l'insorgenza di infezioni maggiori, e di antidolorifici. C'è inoltre il rischio che la paziente, una volta a casa, possa sottovalutare la pericolosità dei sintomi che accusa.
Per le donne, sostanzialmente, si tratta di un passo indietro nella tutela della salute. Non a caso - spiega il sottosegretario Roccella, che nel 2006 ha pubblicato insieme con Assuntina Morresi il libro La favola dell'aborto facile. Miti e realtà della pillola Ru486 (Milano, Franco Angeli) - "le prime a battersi contro l'uso della Ru486 negli Stati Uniti sono state delle femministe".
E lo stesso accade in molte parti del mondo, anche in luoghi dove di solito non si accusa lo Stato di essere condizionato dalle autorità religiose. Critiche alla pillola abortiva si registrano in Australia. Movimenti femministi sono stati attivi in Germania e in Gran Bretagna (dove fra l'altro si sono registrati cinque dei 29 decessi dovuti alla Ru486).
Non si tratta, dunque, di uno scrupolo tutto italiano. In Italia, però - ricorda Roccella - "abbiamo dei buoni risultati riguardo al numero degli aborti, che è in calo. E sono in calo anche fra le minorenni. Ho i miei dubbi che la decisione dell'Aifa vada nella stessa direzione. Il pericolo che si voglia aprire con questa decisione un altro fronte, che ha come obiettivo la 194, c'è. La promozione della pillola è stata tutta politica, tutta basata sul fatto fra l'altro che si tratta di un metodo meno invasivo e meno doloroso, quando invece tutta la letteratura scientifica dimostra il contrario. Noi abbiamo fornito all'Aifa tutta la documentazione che ci aveva trasmesso la ditta produttrice affinché valutasse tutto. La risposta dell'agenzia non ci ha soddisfatto, perché rimangono delle zone oscure sulle quali continueremo a chiedere chiarimenti al comitato tecnico-scientifico. Però solo l'Aifa in presenza di novità può tornare sulle decisioni prese. E in base a quanto ci hanno risposto le 29 morti non erano per loro una novità".

(©L'Osservatore Romano - 1 agosto 2009)
LE VACANZE DEL PAPA IN VALLE D'AOSTA: LO SPECIALE DI 12VDA.IT

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Reso noto il programma della visita del 6 settembre

Benedetto XVI a Viterbo

Reso noto il programma della visita che Benedetto XVI compirà domenica 6 settembre a Viterbo e a Bagnoregio.
Partirà in elicottero da Castel Gandolfo.
L'arrivo è previsto per le ore 9.30 nel campo sportivo comunale "Rocchi" dove ad attenderlo ci sarà il vescovo diocesano Lorenzo Chiarinelli.
Nei giorni scorsi il vescovo ha avuto modo di sottolineare la dimensione storica dell'evento "poiché si tratta - ha detto - dell'incontro con una città definita "la città dei Papi"". In effetti Viterbo ha un'antica confidenza con i Pontefici. Cinquanta Papi hanno infatti trovato ospitalità tra le mura del borgo medioevale e diciotto vi hanno risieduto per alcuni mesi. Ancora oggi tra i monumenti da visitare c'è lo storico Palazzo dei Papi dove i Pontefici hanno abitato per 24 anni, dal 1257 al 1281.
Quasi naturale è dunque il fatto che Benedetto XVI inizi la sua visita proprio dal Palazzo dei Papi. Entrerà in città da Porta Romana, sormontata dalla statua di santa Rosa, raffigurata nell'atto di raccogliere nel grembiale le bombe lanciate contro la città dalle artiglierie di Federico ii. In macchina raggiungerà il Palazzo in piazza San Lorenzo, dove saranno ad attenderlo numerosi fedeli per un primo saluto. All'interno del Palazzo Benedetto XVI visiterà la sala del Conclave, dove furono eletti ben cinque Pontefici.
L'appuntamento con la popolazione viterbese sarà nella spianata Valle Faul. Il Papa presiederà la concelebrazione eucaristica alla quale parteciperanno i sacerdoti del viterbese. Conclusa la celebrazione della messa il Papa proporrà la sua riflessione per l'Angelus domenicale.
Lasciata piazza Faul il corteo papale si dirigerà verso il santuario della Quercia dove, nell'attiguo convento, Benedetto XVI sosterà per il pranzo e per un breve riposo. Lungo il tragitto il Papa si fermerà per ammirare la singolare Macchina di Santa Rosa, una torre altissima che, nella notte tra il 3 e il 4 settembre, festa della patrona viterbese, attraversa le principali strade della città antica, tra due ali di folla, portata a spalle da centocinquanta "facchini", rigorosamente selezionati e in genere discendenti da famiglie che hanno sempre dato "facchini" a santa Rosa.
Nel primo pomeriggio Benedetto XVI compirà una visita privata al santuario. Quello della Madonna della Quercia è il santuario principale della diocesi. Il nome deriva dall'immagine mariana miracolosa, conservata incastonata nel tronco di una quercia, attorno alla quale, nel 1469, è stata eretta la chiesa. Il 27 maggio del 1984 l'immagine mariana fu incoronata da Giovanni Paolo II durante la visita pastorale compiuta nella diocesi viterbese.
Alle 17 il Papa, in elicottero, raggiungerà Bagnoregio. L'arrivo è previsto al campo sportivo "Alessandro Pompei". In macchina raggiungerà poi la cattedrale di San Nicola per venerare la reliquia di san Bonaventura, un santo al quale Papa Ratzinger è particolarmente legato. In piazza Sant'Agostino avverrà poi l'incontro con la popolazione, al termine del quale il Papa lascerà in elicottero la diocesi e rientrerà a Castel Gandolfo.
Il vescovo Chiarinelli, presentando nei giorni scorsi in Comune la visita, ne sottolineava il significato "in un momento particolarmente importante per la città e per la stessa diocesi che si prepara all'appuntamento con il Papa per la prima volta da quando le è stata data l'attuale configurazione" (dal 1986).
Dal momento in cui è stato dato l'annuncio della visita - era l'8 dicembre dello scorso anno - in diocesi si sono moltiplicate le iniziative spirituali e culturali in preparazione all'evento. Nella lettera alla diocesi il vescovo ha voluto ricordare che "il Papa viene per confermarci nella fede e per edificarci come Chiesa che testimonia il suo amore". Che egli "trovi menti aperte - è stato il suo auspicio - cuori vibranti, volontà decise".
Tra le iniziative culturali da segnalare la pubblicazione di un volume, curato da monsignor Salvatore Del Ciuco, dal titolo "Viterbo e i Papi". 150 pagine con illustrazioni particolari che raccontano naturalmente la storia del rapporto tra la città e i Pontefici. Nella presentazione monsignor Chiarinelli ricorda che "unanime è stata all'annuncio, la gioiosa esplosione dell'accoglienza da parte della comunità ecclesiale, delle istituzioni ai diversi livelli e ambiti, del popolo nella genuinità dei suoi sentimenti. Pregiudizi ideologici sono sulla via del tramonto e arroccamenti psicologici fanno parte di stagioni che tutti sanno pregresse. Come accogliere il Papa? L'ho scritto nel manifesto "Padre Santo benvenuto. L'accogliamo con affetto sincero, gratitudine viva e fedeltà filiale"".

(©L'Osservatore Romano - 1 agosto 2009)

Nel concistoro del 1977 Paolo VI torna a criticare l'ermeneutica della rottura per richiamare all'obbedienza i contestaori


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LA SACRA LITURGIA: LO SPECIALE DEL BLOG

COSTITUZIONE SULLA SACRA LITURGIA SACROSANCTUM CONCILIUM (Concilio Vaticano II, 4 dicembre 1963)

Il 3 aprile 1969 Paolo VI promulgava il "Novus Ordo". Sono passati quarant'anni da quel giorno...andiamo alla fonte!

IL TESTO DEL MOTU PROPRIO "SUMMORUM PONTIFICUM" (in italiano e nell'originale latino)

Il Concilio non fu una rottura con la precedente tradizione (Monumentale discorso alla curia romana, 22 dicembre 2005)

Concilio Vaticano II ed ermeneutica della rottura: nel 1976 Paolo VI mette i puntini sulle "i" usando un linguaggio particolarmente forte

Su segnalazione di Antonio e con riferimento al discorso del post precedente, leggiamo questo ulteriore contributo.
Si tratta del discorso di Paolo VI in occasione del concistoro per la creazione di quattro nuovi cardinali, fra cui Joseph Ratzinger
.
R.

DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI IN OCCASIONE DEL CONCISTORO PER LA NOMINA DI QUATTRO CARDINALI

Lunedì, 27 giugno 1977

Ringraziamo di cuore il Cardinale Sotto-Decano per le parole, animate da esemplare fedeltà e devozione, che ci ha testé rivolte. Esse bene esprimono i sentimenti di tutti voi, Venerati Fratelli nostri, che ci fate corona in questo Concistoro. E certamente interpretano i sentimenti, a noi ben noti, del venerato Cardinale Decano, Luigi Traglia, al quale va il nostro pensiero affettuoso, accompagnato dalla preghiera affinché il Signore gli sia vicino e lo conforti nella sua grave infermità.
Oggi, nuovi membri - servitori eletti della Chiesa e in vari e gravi ministeri - saranno aggregati al Sacro Collegio: una gioia sincera accomuna i nostri cuori per questo segno eloquente di vitalità e di fedeltà.
Il Concistoro è circostanza solenne nella vita della Chiesa: i Cardinali, stretti intorno al Papa, esprimono anche visibilmente l’unità che la fa vivere: questo è un momento privilegiato nella vita della Chiesa, perché il Successore di Pietro si trova insieme con i suoi più stretti collaboratori e consiglieri, espressione di collegialità episcopale, ad essi confida le sue sollecitudini pastorali e universali, e tratta con loro dei problemi ecclesiali che più gli stanno a cuore.

I

Anzitutto un profondo ringraziamento a Dio, che il compimento di un nuovo anno di Pontificato rende più commosso. Il Papa si sente sostenuto dall’affetto, dalla preghiera, dalla cooperazione di tutte le componenti della Chiesa: Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, famiglie, associazioni cattoliche, fedeli tutti. È una grande corrente di fede e di comunione, che non può non rendere pensosi anche i distratti e i lontani, e a noi ispira sentimenti di fiducia, di serenità, di ottimismo, basati sulla parola di Cristo: «Ego sum, nolite timere» (Matth. 14, 27); «Confidite!» (Marc. 6, 50; cfr. Io. 16, 33); «Vobiscum sum» (Matth. 28, 20).

Prima di gettare uno sguardo su problemi più vasti, ci piace ricordare un evento che interessa da vicino la diocesi romana, quella Sede, cioè, per cui siamo legati per divina disposizione al governo e alla responsabilità della Chiesa universale. Ne parliamo ancora a voi, venerati Fratelli nostri, perché, a strettissimo titolo, siete membri di questa stessa Chiesa di Roma, ad essa incardinati in virtù di quel Titolo, che vi rende partecipi per eccellenza del presbiterio romano e, come tali, «gaudium meum et corona mea»! (Phil. 4, 1). Vogliamo alludere alla riforma del Vicariato, attuata il 6 gennaio scorso mediante la Costituzione Apostolica «Vicariae Potestatis». Come dicemmo nella splendente cornice della Cattedrale di Roma, per la promulgazione della riforma del Vicariato, questa, oltre che atto di piena fiducia nei nostri diretti collaboratori - in primo luogo il nostro Cardinale Vicario -, ha voluto «mettere in più chiara luce il naturale legame che esiste tra la persona del Papa, Vescovo di Roma, e la sua diocesi, con la conseguente necessità della comunione dottrinale e pastorale con lui di tutta la comunità diocesana» (PAULI PP. VI Vicariae Potestatis in Urbe: AAS 69 (1977) 55). La partecipazione di tutte le componenti della nostra diocesi è stata poi definita e precisata attentamente nei suoi compiti di collaborazione, di coordinamento, di corresponsabilità, stimolando ciascuna, nell’ambito suo proprio, all’impegno sia della animazione cristiana della Città secondo gli orientamenti nati dal Concilio e dal Post-Concilio, sia della promozione umana, che il colossale sviluppo dell’Urbe postula a tutti i livelli. Né è mancato il riordinamento dei Tribunali secondo una visuale più consona alle odierne esigenze.

Noi tanto ci aspettiamo da questa riforma diocesana per il rinvigorimento costante della pastorale nella Città ch’è nostra a titolo particolare, e che deve rifulgere davanti a tutta la Chiesa come centro operante, fervoroso e ordinato di autentica vita cristiana.

II

In questo momento sentiamo altresì il bisogno di gettare uno sguardo sull’intera Chiesa che Cristo ci ha affidata come pegno supremo del suo amore: «Pasce agnos meos; pasce oves meas» (Io. 21, 15 ss.). Il Papa, come una vigile sentinella, ha sotto gli occhi la Chiesa di Cristo, viva nella fede, unita nella lode a Dio, pulsante nella carità.

La Chiesa è sempre il «signum levatum in nationibus procul» (Cfr. Is. 5, 26; 11, 12); eccone alcuni segni eloquenti:

1. presenza operante nel mondo, specie dove il bisogno reclama l’intervento della sua carità;

2. lo sforzo missionario, che non abbiamo mancato di illustrare e di stimolare in diverse occasioni;

3. incremento delle vocazioni abbastanza sensibile in vari paesi, che deve fare attenti i nostri diletti sacerdoti a cogliere i segni della vocazione nell’animo degli adolescenti e dei giovani per far brillare davanti ad essi l’attraente e severa bellezza di una vita totalmente consacrata a Dio e al prossimo, con animo indiviso;

4. la testimonianza della coerenza e del lievito evangelico in mezzo ai problemi più scottanti che l’individualismo e l’edonismo di oggi le pongono davanti come una sfida;

5. l’opera di soccorso e di promozione sociale, svolta in varie circostanze di cataclismi naturali e di umane sofferenze, e specialmente a favore delle giuste e indilazionabili esigenze dei Paesi emergenti: e a questo proposito ci piace anche qui menzionare che si è compiuto di recente il decimo anniversario della «Populorum Progressio», mentre ringraziamo di quanto è stato fatto per ricordare il significato, la portata, gli intenti di quel documento, la cui attuazione ci sta tanto a cuore;

6. i contatti instancabili con le Autorità civili per garantire, confermare e incrementare la libertà di annunciare il Vangelo per gli Episcopati nei singoli Paesi, e tutelare la sfera di azione della Chiesa: in questa luce si collocano i continui incontri del Papa con uomini di Stato e della vita internazionale, come pure l’accreditamento degli Ambasciatori presso la Sede Apostolica.

Tutto si riconduce al noto binomio, nel quale la Chiesa si sente oggi particolarmente impegnata: evangelizzazione e promozione umana.

III

Un punto particolare della vita della Chiesa attira oggi di nuovo l’attenzione del Papa: i frutti indiscutibilmente benèfici della riforma liturgica. Dalla promulgazione della Costituzione conciliare «Sacrosanctum Concilium» è avvenuto un grande progresso, che risponde alle premesse poste dal movimento liturgico dello scorcio finale del sec. XIX, e ne ha adempiute le aspirazioni profonde, per cui tanti uomini di Chiesa e studiosi hanno lavorato e pregato. Il nuovo Rito della Messa, da noi promulgato dopo lunga e responsabile preparazione degli organi competenti, e nel quale sono stati introdotti, accanto al Canone Romano, rimasto sostanzialmente immutato, altre eulogie eucaristiche, ha portato frutti benedetti: maggiore partecipazione all’azione liturgica; più viva consapevolezza dell’azione sacra; maggiore e più ampia conoscenza dei tesori inesauribili della Sacra Scrittura; incremento del senso comunitario nella Chiesa.

Il corso di questi anni dimostra che siamo nella via giusta. Ma vi sono stati, purtroppo - pur nella grandissima maggioranza delle forze sane e buone del clero e dei fedeli - abusi e libertà nell’applicazione. È venuto il momento, ora, di lasciar cadere definitivamente i fermenti disgregatori, ugualmente perniciosi nell’un senso e nell’altro, e di applicare integralmente nei suoi giusti criteri ispiratori, la riforma da Noi approvata in applicazione ai voti del Concilio.

- Ai contestatori che, in nome di una mal compresa libertà creativa, hanno portato tanto danno alla Chiesa con le loro improvvisazioni, banalità, leggerezze - e perfino con qualche deplorevole profanazione -Noi chiediamo severamente di attenersi alla norma stabilita: se questa non venisse rispettata, ne potrebbe andare di mezzo l’essenza stessa del dogma per non dire della disciplina ecclesiastica, secondo l’aurea norma:«lex orandi, lex credendi». Chiediamo fedeltà assoluta per salvaguardare la «regula fìdei». Siamo certi che, in quest’opera, ci sovviene l’instancabile, oculata, paterna azione dei Vescovi, responsabili della fede e della preghiera nelle singole diocesi.

- Ma con pari diritto ammoniamo coloro che contestano e si irrigidiscono nel loro rifiuto sotto il pretesto della tradizione, affinché ascoltino com’è loro stretto dovere, la voce del Successore di Pietro e dei Vescovi, riconoscano il valore positivo delle modificazioni «accidentali» introdotte nei sacri Riti (che rappresentano vera continuità, anzi spesso rievocazione dell’antico nell’adattamento al nuovo), e non si ostinino in una chiusura preconcetta, che non può essere assolutamente approvata. Li scongiuriamo, in nome di Dio: «Obsecramus pro Christo, reconciliamini Deo» (2 Cor. 5, 20).

IV

Queste raccomandazioni che ci scaturiscono dal cuore, vogliono sottolineare la sentita necessità di quell’unità della Chiesa, di cui abbiamo parlato all’inizio di questa Allocuzione.

Intendiamo anzitutto l’unità nella carità. Alla vigilia dell’Anno Santo, Noi lanciammo un pressante appello alla riconciliazione all’interno della Chiesa (Cfr. PAULI PP. VI Paterna cum Benevolentia, 8 dec. 1974: AAS 67 (1975) 5-23). Crediamo necessario d’insistere nuovamente su quell’appello, poiché, ci sembra, il gregge tende talora a dividersi, e i membri della Chiesa subiscono la tentazione del mondo di opporsi fra di loro. Ora, è nell’ardore posto nella ricerca dell’unità che si riconoscono i veri discepoli del Cristo; è nell’armonia di sentimenti fraterni, ispirati a umiltà, a mutuo rispetto, a benevolenza, a comprensione, che le comunità cristiane riflettono il vero volto della Chiesa, mentre invece lo spettacolo delle divisioni nuoce alla credibilità del messaggio cristiano. Noi ci rivolgiamo pertanto a tutti i nostri figli affinché sian banditi dall’interno della Comunità ecclesiale quei motivi di critica corrosiva, di divisione degli animi, di insubordinazione all’autorità, di sospetto reciproco che talora han potuto paralizzare energie spirituali ricchissime e trattenere il moto di conquista della Chiesa a favore del Regno di Dio. Desideriamo che tutti si sentano a proprio agio nella famiglia ecclesiale, senza preclusioni o isolamenti nocivi all’unità nella carità, e che non si cerchi il prevalere di alcuni a detrimento di altri. «Cor unum et anima una» (Act. 4, 32). Come i cristiani della prima comunità madre di Gerusalemme, sotto l’ombra di Pietro, dobbiamo lavorare, pregare, soffrire, lottare per dare testimonianza a Cristo Risorto, «usque ad ultimum terrae» (Ibid. 1, 8).

Ma il Cristo ha voluto che questa unità nella carità non sia mai disgiunta dall’unità nella verità, senza di cui la prima potrebbe allearsi ad un pluralismo insostenibile o ad un indifferentismo esiziale. La «regula fidei», alla quale abbiamo già accennato, esige questa perfetta coesione nella fedeltà alla Parola di Dio, senza che sia mai offuscata la pura sorgente di verità, zampillante dalla Trinità Santissima e comunicata agli uomini da Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, la Pietra d’angolo su cui si fonda la Chiesa; né mai si interrompa la continuità che ha tramandato quella Rivelazione nei secoli con immutata fedeltà, e ne ha tratto dal di dentro i tesori in essa nascosti, in continuo approfondimento, ma «eodem sensu eademque sententia» (S. VINCENTII LIRINENSIS Commonitorium, 23).

Ma chi secondo l’insegnamento stesso di Cristo, e secondo la costituzione immutabile della Chiesa, è responsabile del giudizio da emettere circa la fedeltà al deposito della fede, circa la conformità di una dottrina o di una regola di condotta con la tradizione vivente della Chiesa? È il Magistero autentico, che emana dalla Sede Apostolica e dall’insieme dei Pastori in comunione con essa. Tale è sempre stata, fin dalle origini, la pietra di paragone della verità, si tratti di fede o di morale, della disciplina dei sacramenti, degli orientamenti più importanti della pastorale per l’annuncio del Vangelo nel mondo.

È ben necessario oggi ricordare questo, dal momento che certune interpretazioni dottrinali mettono in pericolo la fede di credenti non sufficientemente maturi o preparati. Come già abbiam fatto, trattando degli abusi nella liturgia, Noi siamo certi che i Vescovi vigilano incessantemente su questo punto; e tutti noi invitiamo caldamente, Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli, a operare unanimi per l’unità nella verità.

Ed esprimiamo ancora, col cuore pieno di tristezza, la sofferenza che ci procurano le illegittime ordinazioni, che un nostro Fratello nell’episcopato recidivamente ha conferito ieri e si accinge a conferire e che noi deploriamo fermamente. Agendo così, egli accentua la sua opposizione personale alla Chiesa e la sua azione di divisione e di ribellione su temi di estrema gravità, nonostante le nostre pazienti esortazioni e la sospensione incorsa con l’interdizione formale a persistere nei suoi propositi contrari alla norma canonica. Sono così posti dei giovani al di fuori del ministero autentico, che sarà loro proibito di esercitare dalla legge sacrosanta della Chiesa: sono trascinati i fedeli, che li seguiranno, in un’attitudine di turbamento, se non addirittura di rivolta fortemente pregiudizievole ad essi stessi e alla comunione ecclesiale. Quali ne siano i pretesti, ciò costituisce una ferita inferta alla Chiesa, una di quelle che San Paolo condannava così severamente. Noi supplichiamo quel nostro Fratello: voglia porre attenzione alla frattura che egli opera, al disorientamento che arreca, alla divisione che introduce, con gravissima responsabilità. I nostri Predecessori alla cui disciplina egli presume di appellarsi, non avrebbero tollerato tanto a lungo, quanto noi pazientemente abbiam fatto, una disobbedienza altrettanto ostinata quanto dannosa. Vi chiediamo di pregare con noi lo Spirito Santo affinché illumini le coscienze.

Cristo ha voluto la sua Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Ma se si infrange l’unità, da una parte o dall’altra, un’ombra si diffonde sulla intera realtà ecclesiale nelle sue note costitutive. Per l’unità Cristo ha pregato (Io. 17, 20-26); per l’unità ha dato la vita: «Iesus moriturus erat . . . ut filios Dei, qui erant dispersi, congregaret in unum» (Ibid. 11, 51 ss.); l’unità Egli ha affidato alla Chiesa nascente, perché fosse testimone unanime della Parola di Dio e della sua salvezza davanti al mondo e per il mondo.

Questa unità, che la Chiesa Cattolica custodisce intatta, noi raccomandiamo instantemente a tutti i nostri Fratelli e figli. Nella imminenza della Solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, colonne della Chiesa per la quale han dato la vita, noi ne affidiamo loro la tutela; invochiamo per questo l’intercessione della Madonna, Mater Ecclesiae. E chiedendo la generosa, consapevole, attiva cooperazione di tutti i nostri Fratelli e Figli, impartiamo la particolare Benedizione Apostolica, avvaloratrice di fermi e salutari propositi.

E ora nominiamo Cardinali di Santa Romana Chiesa gli eletti ecclesiastici, che elenchiamo per nome:

Giovanni Benelli, Arcivescovo di Firenze;

Bernardin Gantin, Arcivescovo già di Cotonou;

Joseph Ratzinger, Arcivescovo di Monaco e Frisinga;

Luigi Ciappi, Vescovo tit. di Miseno
.

Ad essi aggreghiamo Francesco Tomášek, Vescovo tit. di Buto, Amministratore Apostolico di Praga, il cui nome ci riservammo «in pectore» nel Concistoro dello scorso anno.

L’Allocuzione di Paolo VI durante il Concistoro Pubblico

Il Concistoro, celebrato stamani nel Palazzo Apostolico secondo la vetusta tradizione, trova in quest’Aula la sua prosecuzione e il suo coronamento. Imporremo tra qualche istante la Berretta ai nuovi Cardinali. E questi salutiamo cordialmente, ormai fatti membri anch’essi del Sacro Collegio.

Salutiamo altresì le delegazioni, qui presenti: Vescovi, Autorità civili e militari, membri del Clero e dei fedeli, venuti a far corona ai nuovi eletti in rappresentanza dei paesi di origine, come delle diocesi di cui tre di essi sono Pastori. Tutti li ringraziamo di esser venuti a questo importante avvenimento ecclesiale.

Ma il nostro ringraziamento va qui anzitutto al Neo-Cardinale Giovanni Benelli, Arcivescovo di Firenze, che ha saputo così bene interpretare i sentimenti che si agitano nell’animo suo e dei suoi Confratelli nell’Episcopato, come nella dignità cardinalizia a cui sono stati chiamati, in questo momento della loro vita.

Il singolare carattere di questa cerimonia finale del Concistoro, ci suggerisce alcune riflessioni su un tema che a noi pare fondamentale, e specifico di questa cerimonia: la fedeltà.

È appunto quanto abbiamo voluto sottolineare nell’indire il Concistoro di quest’anno. Effettivamente, i degnissimi e venerati ecclesiastici che abbiamo testé aggregato al numero dei Cardinali, si distinguono tutti e precipuamente per questa dote: l’assoluta fedeltà, che da essi è stata vissuta, in questo periodo Post-conciliare ricco di fermenti sani ma anche di elementi disgregatori, in una continua disponibilità, in un diuturno servizio, in una totale dedizione a Cristo, alla Chiesa, al Papa, senza flessioni, senza tentennamenti, senza transazioni. Nell’adempimento di delicatissimi incarichi, voi, che da oggi chiameremo nostri venerati Fratelli, avete offerto davanti alla Chiesa intera una testimonianza incomparabile di fedeltà.

Di questa fedeltà siamo lieti di rendere ora pubblico attestato: anzitutto a Lei, Cardinale Benelli che ci è stato tanto vicino fin da tempi lontani, e soprattutto nei dieci anni in cui, come Sostituto della Segreteria di Stato, ha dato operosa esecuzione alla nostra volontà, senza risparmio di tempo e di energie, ininterrottamente, instancabilmente: e se tanto .ci è costato privarci della sua collaborazione, abbiam pensato al bene che ne verrà alla Chiesa di Firenze, alla quale facciam dono delle sue doti, della sua dedizione, del suo spirito di sacrificio.

Diamo egualmente atto di questa fedeltà a Lei, Cardinale Gantin, che, dopo aver servito esemplarmente la sua arcidiocesi nativa di Cotonou, nel Benin (come ora si chiama l’antico Dahomey), in un primo tempo è stato Segretario del Dicastero che promuove la evangelizzazione nel mondo, e ora presiede alla Commissione «Iustitia et Pax», da noi istituita per l’avvaloramento della buona causa della giustizia e della pace, specie a favore dei Paesi emergenti.

Diamo attestato di questa fedeltà anche a Lei, Cardinale Ratzinger, il cui alto magistero teologico in prestigiose cattedre universitarie della sua Germania e in numerose e valide pubblicazioni, ha fatto vedere come la ricerca teologica - nella via maestra della «fides quaerens intellectum» - non possa e non debba andare mai disgiunta dalla profonda, libera, creatrice adesione al Magistero che autenticamente interpreta e proclama la Parola di Dio; e che ora, dalla Sede arcivescovile di Monaco e Frisinga, Ella guida con tanta nostra fiducia un eletto gregge sulle vie della verità e della pace.

E diamo atto a Lei, Cardinale Ciappi, di una fedeltà che è stata sempre per Lei come una seconda natura, e ha ispirato il suo insegnamento presso l’«Angelicum», come Decano della Facoltà di Sacra Teologia, e quindi come apprezzatissimo, umile, autorevole Padre Teologo della Casa Pontificia già con i nostri Predecessori di v. m. Pio XII e Giovanni XXIII, come pure in questi quattordici anni del nostro Pontificato. Il nostro gesto vuol essere premio per questo servizio preziosissimo, e altresì ulteriore riconoscimento dell’Ordine Domenicano, di cui Ella è figlio esemplare.

E infine, quale non è stata la fedeltà del Cardinale Tomášek, che ci rallegriamo di vedere qui in mezzo a noi, dopo di averne pubblicato il nome rimasto «in pectore» fin dal Concistoro del maggio dello scorso anno? La sua lunga e generosa opera di sacerdote e di Vescovo nella dilettissima Cecoslovacchia, con sempre evangelica dirittura e coerenza, doveva così esser da noi segnalata davanti alla Chiesa e alla società civile, come pegno di un domani più sereno e costruttivo.

Pubblicamente vi ringraziamo, venerati Fratelli nostri, dell’esempio di questa meritoria e benefica fedeltà: ma se di ciò abbiamo dato a voi pubblica testimonianza, non vogliamo certo dimenticare le mille e mille vite, che si spendono nel silenzio, nella preghiera, nella fatica, per la gloria di Dio e per il bene dei fratelli: pensiamo alla gioventù sana ed eroica che si mantiene fedele alla Legge divina e agli imperativi della coscienza in mezzo a pericoli di ogni genere; pensiamo ai padri e alle madri di famiglia, che mantengono fede agli impegni del sacramento del matrimonio e fanno dei loro focolari una «piccola Chiesa», una fucina di educazione, una scuola di apostolato; pensiamo ai carissimi seminaristi, che si preparano al sacerdozio nella fedeltà ad un programma austero e letificante di vita interiore, di studio, di autodisciplina; pensiamo a quei generosi sacerdoti, che, nella monotonia di una vita oscura e nascosta, si prodigano nella predicazione della Parola di Dio, nel ministero della riconciliazione, nella cura degli infermi, nella formazione degli adolescenti, nelle opere varie e molteplici dell’apostolato. A tutti il nostro riconoscimento: sì, lo sappiano, noi siamo loro grati, noi li benediciamo, noi li ricordiamo. Questo giorno, che parla a noi tutti di fedeltà, è stupenda occasione per riconoscere e incoraggiare la fedeltà che, in grandissima parte, vive nella Chiesa, senza lasciarsi influenzare dalle novità delle ideologie, dalla smania dell’applauso mondano, dalla ricerca del proprio tornaconto.

Ecco, Fratelli e Figli, il significato che la cerimonia di oggi riveste. Perché anche il giuramento che faranno ora i nuovi Cardinali non è altro che un nuovo e più vasto impegno di fedeltà. Li sentiremo ripetere: «Promitto et iuro, me ab hac hora deinceps, quamdiu vixero, fidelem Christo eiusque Evangelio atque oboedientem beato Petro sanctaeque Apostolicae Romanae Ecclesiae . . . constanter fore». La fedeltà che oggi giurate qualificherà ognor più la vostra attività, la vostra vita: sia come membri eletti del Presbiterio romano, a cui i Titoli a voi assegnati vi stringeranno anche visibilmente; sia come nostri collaboratori in Vari Dicasteri della Curia Romana, cioè particolarmente mancipati al servizio della Sede Apostolica e delle esigenze dell’intera famiglia ecclesiale; sia come responsabili delle diocesi, che ad alcuni di voi sono affidate, e nelle quali svolgerete il triplice dovere pastorale del magistero, del ministero, del governo in qualità di Maestri, di Liturghi, di Pastori, in comunione con questa Cattedra di Pietro, che conta su di voi e sulle vostre Chiese. Come già dicemmo qui, nel Concistoro dello scorso anno, «è come una corrente di vita che fluisce dal centro verso i singoli punti locali, di qui al centro ritorna, in un unico scambio di vitalità e di amore, che manifesta l’intima fecondità ed unità della Chiesa di Cristo» (AAS 68 (1976) 388).

Ci aiuti, in questo proposito, la Madonna «Virgo Fidelis», sempre attenta alla Parola di Dio, e ci insegni a viverla e ad approfondirla. E custodisca l’impegno di tutti la grazia del Signore, a cui ci affidiamo con immensa speranza, con totale fiducia.

© Copyright 1977 - Libreria Editrice Vaticana

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/speeches/1977/june/documents/hf_p-vi_spe_19770627_concistoro_it.html

Concilio Vaticano II ed ermeneutica della rottura: nel 1976 Paolo VI mette i puntini sulle "i" usando un linguaggio particolarmente forte


LA SACRA LITURGIA: LO SPECIALE DEL BLOG

COSTITUZIONE SULLA SACRA LITURGIA SACROSANCTUM CONCILIUM (Concilio Vaticano II, 4 dicembre 1963)

Il 3 aprile 1969 Paolo VI promulgava il "Novus Ordo". Sono passati quarant'anni da quel giorno...andiamo alla fonte!

IL TESTO DEL MOTU PROPRIO "SUMMORUM PONTIFICUM" (in italiano e nell'originale latino)

Il Concilio non fu una rottura con la precedente tradizione (Monumentale discorso alla curia romana, 22 dicembre 2005)

Nel concistoro del 1977 Paolo VI torna a criticare l'ermeneutica della rottura per richiamare all'obbedienza i contestaori

Su segnalazione di un carissimo amico del blog leggiamo questo discorso di Paolo VI.
E' il 1976, sono passati poco piu' di dieci anni dalla fine del Concilio ed il Papa parla apertamente delle due "opposte fazioni" in lotta fra loro: i tradizionalisti (sostanzialmente i Lefebvriani) ed i progressisti o, meglio, coloro che ritengono che il Concilio abbia costituito una sorta di "licenza di libera critica al Magistero".
E' inusuale che un Papa citi direttamente il nome di un vescovo (in questo caso Lefebvre) ed e' altrettanto inusuale il tono.
Come sarebbe accolto oggi un discorso del genere che rivendica chiaro e tondo il Primato di Pietro?
Si tratta di una lettura indispensabile per comprendere come e' nata l'ermeneutica della rottura e come sia indispensabile, al contrario, leggere il Concilio alla luce dell'ermeneutica della continuita' cosi' come espressa da Benedetto XVI nel magistrale discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005
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R.

CONCISTORO SEGRETO DEL SANTO PADRE PAOLO VI PER LA NOMINA DI VENTI CARDINALI

Lunedì, 24 maggio 1976

Venerati Fratelli Nostri,

Dal giorno in cui, ormai più di tre anni fa, col fissare il numero dei Cardinali elettori, avevamo colmato i vuoti creatisi nel vostro Collegio, questo ha subito perdite dolorose di nostri Fratelli, che tutti ricordiamo con affettuoso rimpianto; d’altra parte, inoltre, alcuni dei suoi membri hanno raggiunto l’età stabilita, per cui essi non possono più partecipare all’elezione del Romano Pontefice. Perciò noi oggi vi abbiamo convocati per creare nuovi Cardinali; e, al tempo stesso, sia per promulgare nomine episcopali, sia per chiedere a voi di pronunciare l’ultimo voto circa le cause di canonizzazione di tre Beati, sia infine per ricevere le postulazioni dei palli.

Sono aspetti tradizionali e noti di ogni Concistoro; ma non per questo meno suggestivi, nel loro significato ecclesiale, e nei loro richiami storici, tanto da rendere ogni volta piena di singolare interesse la celebrazione di questo avvenimento della Chiesa romana. Sì, il Concistoro è un momento particolarmente importante e solenne. Ve ne vediamo compresi, con la vostra partecipazione e con la vostra presenza; e di questo anzitutto vi ringraziamo.

I. Per rimanere alla circostanza che più polarizza oggi l’attenzione della comunità cattolica, anzi di tutta l’opinione pubblica - la creazione di nuovi Cardinali - vogliamo sottolineare che, con essa, noi abbiamo voluto non tardare più oltre a provvedere alle esigenze del Sacro Collegio, tanto più dopo la pubblicazione della Costituzione Apostolica «Romano Pontifici eligendo», nella quale abbiamo sottolineato i compiti particolari e supremi dei suoi componenti, chiamati all’elezione del Papa. E nel colmare i vuoti, come dicevamo, abbiamo seguito i criteri che più ci stanno a cuore: la rappresentatività e il carattere internazionale del Sacro Collegio.
Esso vuole e deve dare in faccia al mondo l’immagine per quanto possibile fedele della santa Chiesa Cattolica, riunita dai quattro venti nell’unico ovile di Cristo (Io. 10, 16), aperta a tutte le genti e a tutte le culture, per assimilarne i valori genuini e farli servire alla buona causa del Vangelo, ch’è la gloria di Dio e l’elevazione dell’uomo. Così – oltre al dovuto riconoscimento a fedelissimi servitori della Sede Apostolica nelle Rappresentanze Pontificie e nella Curia Romana - abbiamo pensato prima di tutto e sopra tutto alle Sedi residenziali, volgendo in particolare lo sguardo alle giovani comunità dall’avvenire promettente e luminoso, unitamente e allo stesso piano di quelle dal passato illustre e dalla storia secolare, ricca di opere e di santità. È come uno sguardo d’insieme che abbraccia tutto l’orizzonte del mondo, ove la Chiesa vive, ama, spera, soffre, combatte: nessuno, dai punti estremi dell’orizzonte, anche dalle terre più lontane, è assente. Che se la rappresentatività delle Chiese orientali sembra oggi ridotta, ciò non significa che minore sia la nostra stima e considerazione verso quelle regioni, che sono state la culla della Chiesa, ne custodiscono tuttora con gelosa cura i preziosissimi tesori di pietà, di Liturgia, di Dottrina, e trovano nei loro Pastori, i Patriarchi, a noi dilettissimi, congiuntamente ai loro collaboratori del rispettivo sacro sinodo patriarcale, l’incoraggiamento, la luce, la forza di coesione. Anzi, ci piace cogliere questa occasione per attestare loro la nostra benevolenza più che affettuosa, assicurandoli del nostro ricordo, della nostra venerazione e della nostra preghiera.

II. Il Concistoro, dicevamo, è un momento particolarmente grave e solenne per la vita della Chiesa, che si svolge nel tempo: e noi non possiamo lasciar passare questa occasione, che ci porta a contatto con voi, senza trattare in presenza vostra aspetti e questioni che ci stanno molto a cuore e che riteniamo di grande importanza; senza farvi parte dei sentimenti che nutriamo nell’intimo. Sono sentimenti di gratitudine e di gioia, da una parte, ma anche di preoccupazione e di pena dall’altra.

1) Il primo sentimento nasce da quell’ottimismo innato – fondato sulle promesse indefettibili di Cristo (Cfr. Matth. 28, 20; Io. 16, 33) e sulla constatazione di fenomeni sempre nuovi e consolanti - che noi abitualmente nutriamo in cuore: è la vitalità, la giovinezza della Chiesa, di cui abbiamo tanti segni. Ne abbiamo avuto la prova nel recente Anno Santo, che tuttora irradia il suo influsso nel nostro spirito. L’essenza della vita cristiana sta nella vita spirituale, in questa vita soprannaturale ch’è dono di Dio: e noi abbiamo il più grande conforto nel vederla svilupparsi in tanti Paesi, nella testimonianza della fede, nella Liturgia, nella preghiera riscoperta e rigustata, nella gioia custodita nella chiarità dello sguardo spirituale e nella purezza del cuore.

Noi vediamo inoltre svilupparsi sempre più e più l’amore dei fratelli, inseparabile dall’amore di Dio, che ispira l’impegno crescente di tanti nostri figli, e la loro solidarietà profonda con i poveri, con gli emarginati, con gli indifesi.

Noi vediamo le linee tracciate dal recente Concilio dirigere e sostenere lo sforzo continuo di adesione al Vangelo di Cristo, in uno sforzo di autenticità cristiana, nell’esercizio delle virtù teologali.

Noi vediamo con commossa ammirazione il fiorire delle iniziative missionarie e, soprattutto, abbiamo non indubbi segni che, dopo una battuta d’arresto, anche il settore più delicato e grave come quello delle vocazioni sacerdotali e religiose, ha una indubitabile ripresa in vari paesi.

Noi vediamo in tutti i continenti molti giovani rispondere generosamente e concretamente alle consegne del Vangelo, e dimostrare sforzo di coerenza assoluta tra l’altezza dell’ideale cristiano e il dovere di tradurlo in pratica.

Sì, venerati Fratelli nostri, veramente lo Spirito è all’opera in tutti i campi, anche in quelli che parevano più inariditi!

2) Ma vi sono anche motivi di amarezza, che non vogliamo certo velare né minimizzare: e nascono specialmente dal rilievo di una polarità, spesso irriducibile in certi suoi eccessi, che manifesta in campi diversi una immaturità superficiale, ovvero una ostinazione caparbia, in sostanza una sordità amara verso gli appelli a quel sano equilibrio, conciliatore delle tensioni, partiti dalla grande lezione del Concilio, sono ormai più di dieci anni.

a) Da una parte, ecco coloro che, col pretesto di una più grande fedeltà alla Chiesa e al Magistero, rifiutano sistematicamente gli insegnamenti del Concilio stesso, la sua applicazione e le riforme che ne derivano, la sua graduale applicazione a opera della Sede Apostolica e delle Conferenze Episcopali, sotto la nostra autorità, voluta da Cristo. Si getta il discredito sull’autorità della Chiesa in nome di una Tradizione, di cui solo materialmente e verbalmente si attesta rispetto; si allontanano i fedeli dai legami di obbedienza alla Sede di Pietro come ai loro legittimi Vescovi; si rifiuta l’autorità di oggi, in nome di quella di ieri. E il fatto è tanto più grave, in quanto l’opposizione di cui parliamo non è soltanto incoraggiata da alcuni sacerdoti, ma capeggiata da un Vescovo, da Noi tuttavia sempre venerato, Monsignor Marcel Lefebvre.

È tanto doloroso il notarlo: ma come non vedere in tale atteggiamento - qualunque possano essere le intenzioni di queste persone - porsi fuori dell’obbedienza e della comunione con il Successore di Pietro e quindi della Chiesa?

Poiché questa, purtroppo, è la conseguenza logica, quando cioè si sostiene essere preferibile disobbedire col pretesto di conservare intatta la propria fede, di lavorare a proprio modo alla preservazione della Chiesa cattolica, negandole al tempo stesso un’effettiva obbedienza. E lo si dice apertamente! Si osa affermare che il Concilio Vaticano II non è vincolante; che la fede sarebbe in pericolo altresì a motivo delle riforme e degli orientamenti Post-conciliari, che si ha il dovere di disobbedire per conservare certe tradizioni. Quali tradizioni? È questo gruppo, e non il Papa, non il Collegio Episcopale, non il Concilio Ecumenico, a stabilire quali, fra le innumerevoli tradizioni debbono essere considerate come norma di fede! Come vedete, venerati Fratelli nostri, tale atteggiamento si erge a giudice di quella volontà divina, che ha posto Pietro e i Suoi Successori legittimi a Capo della Chiesa per confermare i fratelli nella fede, e per pascere il gregge universale (Cfr. Luc. 22, 32; Io. 21, 15 ss.), che lo ha stabilito garante e custode del deposito della Fede.

E ciò è tanto più grave, in particolare, quando si introduce la divisione, proprio là dove congvegavit nos in unum Christi amor, nella Liturgia e nel Sacrificio Eucaristico, rifiutando l’ossequio alle norme definite in campo liturgico. È nel nome della Tradizione che noi domandiamo a tutti i nostri figli, a tutte le comunità cattoliche, di celebrare, in dignità e fervore la Liturgia rinnovata. L’adozione del nuovo «Ordo Missae» non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo. Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino.

La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari. Ogni iniziativa che miri a ostacolarli non può arrogarsi la prerogativa di rendere un servizio alla Chiesa: in effetti reca ad essa grave danno.

Parecchie volte, direttamente, per tramite di nostri collaboratori e di altre persone amiche, abbiamo richiamato l’attenzione di Monsignor Lefebvre sulla gravità dei suoi atteggiamenti, l’irregolarità delle principali sue presenti iniziative, l’inconsistenza e spesso falsità delle posizioni dottrinali sulle quali egli basa gli uni e le altre, e il danno che da essi proviene alla Chiesa intera.

È con profonda amarezza ma con paterna speranza che noi ci rivolgiamo una volta di più a questo nostro Confratello, ai suoi collaboratori e a quelli che si sono lasciati trascinare da essi. Oh, certo, noi crediamo che molti di questi fedeli, almeno in un primo momento, erano in buona fede: comprendiamo anche il loro attaccamento sentimentale a forme abituali di culto o di disciplina che per lungo tempo erano stati per essi di sostegno spirituale e nei quali avevano trovato nutrimento spirituale. Ma abbiamo fiducia ch’essi sapranno riflettere con serenità, senza partito preso, e vorranno ammettere che troveranno oggi il sostegno e il nutrimento che cercano, nelle forme rinnovate che il Concilio Ecumenico Vaticano II e Noi stessi abbiamo decretato come necessario, per il bene della Chiesa, il suo progresso nel mondo contemporaneo, la sua unità. Noi dunque esortiamo, ancora una volta, tutti questi nostri fratelli e figli, li supplichiamo di prendere coscienza delle profonde ferite che, altrimenti, causano alla Chiesa, di nuovo li invitiamo a pensare . . .
È con profonda amarezza ma con paterna speranza che noi ci rivolgiamo una volta di più al nostro Confratello Monsignor Marcel Lefebvre, ai suoi collaboratori; li invitiamo a pensare ai moniti gravi di Cristo su l’unità della Chiesa (Cfr. Io. 17, 21 ss.) e sull’obbedienza dovuta al legittimo Pastore da Lui preposto al gregge universale, come segno dell’obbedienza dovuta al Padre e al Figlio (Cfr. Luc. 10, 16). Noi li attendiamo con cuore aperto, con le braccia pronte all’abbraccio: sappiano ritrovare in umiltà e edificazione, per la gioia del Popolo di Dio, la via dell’unità e dell’amore!

b) Dall’altra parte, in direzione opposta quanto a posizione ideologica, ma ugualmente causa di profonda pena, vi sono coloro che, credendo erroneamente di continuare nella linea del Concilio, si sono messi in una posizione di critica preconcetta e talora irriducibile della Chiesa e delle sue istituzioni.

Perciò, con altrettanta fermezza dobbiamo dire che non ammettiamo l’atteggiamento:

- di quanti si credono autorizzati a creare la loro propria liturgia, limitando talora il Sacrificio della Messa o i sacramenti alla celebrazione della propria vita o della propria lotta, oppure al simbolo della loro fraternità; o praticano abusivamente l’intercomunione;

- di quanti minimizzano l’insegnamento dottrinale nella catechesi o la snaturano secondo il gusto degli interessi, delle pressioni o delle esigenze degli uomini, secondo tendenze che travisano profondamente il messaggio cristiano, come già abbiamo indicato nell’Esortazione Apostolica «Quinque iam anni», 1’8 dicembre 1970, a cinque anni dalla fine del Concilio (Cfr. AAS 63 (1971) 99);

- di quanti fingono d’ignorare la Tradizione vivente della Chiesa, dai Padri fino agli insegnamenti del Magistero, e reinterpretano la dottrina della Chiesa, e lo stesso Vangelo, le realtà spirituali, la divinità di Cristo, la sua risurrezione o l’Eucaristia, svuotandole praticamente del loro contenuto e creando in tal modo una nuova gnosi e introducendo in certo modo nella Chiesa il « libero esame »; e ciò è tanto più pericoloso quando si tratta di coloro che hanno l’altissima e delicata missione di insegnare la Teologia cattolica;

- di quanti riducono la funzione specifica del ministero sacerdotale;

- di quanti dolorosamente trasgrediscono le leggi della Chiesa, o le esigenze etiche da essa richiamate;

- di quanti interpretano la vita teologale come una organizzazione della società di quaggiù, anzi la riducono ad un’azione politica, adottando a questo scopo uno spirito, metodi, e pratiche contrarie al Vangelo; e si giunge a confondere il messaggio trascendente di Cristo, il suo annuncio del Regno di Dio, la sua legge d’amore tra gli uomini, fondato su l’ineffabile paternità di Dio, con ideologie che essenzialmente negano tale messaggio sostituendolo con una posizione dottrinale assolutamente antitetica, propugnando un connubio ibrido tra due mondi inconciliabili, com’è riconosciuto dagli stessi teorici dell’altra parte.

Cristiani simili non sono molto numerosi, è vero, ma fanno molto rumore, credendo troppo facilmente d’interpretare le necessità di tutto il popolo cristiano o il senso irreversibile della storia. Non possono, così facendo, richiamarsi al Concilio Vaticano II, perché la sua interpretazione e la sua applicazione non si prestano ad abusi di sorta; né appellarsi alle esigenze dell’apostolato per avvicinare i lontani o gli increduli: l’apostolato vero è inviato dalla Chiesa per testimoniare su la dottrina e la vita della Chiesa stessa. Il lievito deve essere diffuso in tutta la pasta, ma deve rimanere lievito evangelico. Altrimenti si corrompe anch’esso col mondo.

Venerati Fratelli Nostri! Abbiamo pensato di affidarvi queste riflessioni, consapevoli dell’ora che batte per la Chiesa. Essa è e sarà sempre il vessillo levato tra le Nazioni (Cfr. Is. 5, 26; 11, 12), perché ha la missione di dare al mondo che la guarda, con aria talora di sfida, la verità di quella fede che ne rischiara il destino, la speranza che sola non delude (Cfr. Rom. 5, 5), la carità che salva dall’egoismo che, sotto varie forme, cerca di invaderlo e di soffocarlo. Non è certo il momento dell’abbandono, della diserzione, delle concessioni; né, tanto meno, quello della paura. I cristiani sono semplicemente chiamati a essere se stessi: ed essi lo saranno nella misura in cui saran fedeli alla Chiesa e al Concilio.

Nessuno, pensiamo, vorrà aver dubbi su l’insieme di indicazioni e di incoraggiamenti, che, durante questi anni del nostro Pontificato, noi abbiamo dato ai Pastori e al Popolo di Dio, anzi al mondo intero. Siamo grati a coloro che han fatto un programma di tali insegnamenti, dati con intento sempre sorretto da una viva speranza, da un sereno ottimismo non disgiunto da realismo concreto. Se oggi ci siamo soffermati di più su alcuni aspetti negativi, è perché la circostanza singolarissima e la vostra benevola fiducia ce l’hanno fatto ritenere opportuno. Effettivamente, l’essenza del carisma profetico per il quale il Signore ci ha promesso l’assistenza del suo Spirito, è quella di vegliare, di avvertire sui pericoli, di scrutare i segni dell’alba sull’orizzonte oscuro della notte. Custos, quid de nocte? Custos, quid de nocte? ci mette in bocca il profeta (Is. 21, 11). Finché l’alba serena ridoni la gioia al mondo, noi vogliamo continuare ad alzare la nostra voce per quella missione, che ci è stata affidata. Voi, nostri amici e collaboratori più vicini, potete anzitutto e meglio d’ogni altro farvene l’eco presso tanti nostri fratelli e figli. E mentre ci apprestiamo a festeggiare il Signore che, con i segni della passione e risurrezione gloriosa, ascende alla destra del Padre, dobbiamo, guardando caelos apertos (Act. 7. 56), rimanere pieni di speranza, di gioia e di coraggio. In Nomine Domini! In questo Nome santo tutti vi benediciamo.

Ora ci piace elencare i distinti Presuli, che per i loro meriti abbiam reputato degni di chiamare a far parte, in questo Concistoro, del degnissimo Collegio dei Cardinali.

Essi sono: Ottavio Antonio Beras Rojas, Arcivescovo di Santo Domingo; Opilio Rossi, Arcivescovo tit. di Ancira e Nunzio Apostolico in Austria; Giuseppe Maria Sensi, Arcivescovo tit. di Sardi e Nunzio Apostolico in Portogallo; Juan Carlos Aramburu, Arcivescovo di Buenos Aires; Corrado Bafile, Arcivescovo tit. di Antiochia di Pisidia e Pro-Prefetto della Sacra Congregazione per le Cause dei Santi; Hyacinthe Thiandoum, Arcivescovo di Dakar; Emmanuel Nsubuga, Arcivescovo di Kampala; Joseph Schroffer, Arcivescovo tit. di Volturno e Segretario della Sacra Congregazione per l’Educazione Cattolica; Lawrence Trevor Picachy, Arcivescovo di Calcutta; Jaime L. Sin, Arcivescovo di Manila; William Wakefield Baum, Arcivescovo di Washington; Aloisio Lorscheider, Arcivescovo di Fortaleza; Reginald John Delargey, Arcivescovo di Wellington; Eduardo Pironio, Arcivescovo tit. di Tiges e Pro-Prefetto della Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari; Laszló Lékai, Arcivescovo di Esztergom; Basi1 Hume, Arcivescovo di Westminster; Victor Razafimahatratra, Arcivescovo di Tananarive; Boleslaw Filipiak, Arcivescovo tit. di Plestia; Dominic Ekandem, Vescovo di Ikot Ekpene.

Inoltre, quanto ai due Cardinali che ci siamo riservati in pectore, diamo ora pubblicamente il nome di uno di essi: si tratta di Monsignor Giuseppe Maria Trin-nhu-Khue, Arcivescovo di Hanoi, giunto soltanto ieri a Roma. Riserviamo peraltro ancora il secondo, che sarà pubblicato quando a noi piacerà.

Pertanto, per autorità di Dio Onnipotente, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra creiamo e nominiamo solennemente Cardinali della Santa Chiesa Romana i Presuli, che abbiamo or ora menzionati.

Di tali Cardinali, i seguenti apparterranno all’ordine dei Diaconi: Opilio Rossi, Giuseppe Maria Sensi, Corrado Bafile, Giuseppe Schröffer, Edoardo Pironio, Boleslao Filipiak.

Gli altri apparterranno all’ordine dei Presbiteri.

Con le necessarie e opportune dispense, deroghe e clausole. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

© Copyright 1976 - Libreria Editrice Vaticana

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/speeches/1976/documents/hf_p-vi_spe_19760524_concistoro_it.html