venerdì 10 luglio 2009

Lavoro e giustizia sociale nella Caritas in veritate. Le differenze con Paolo VI (Ambrosi)


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Lavoro e giustizia sociale nella Caritas in veritate. Le differenze con Paolo VI

Elisabetta Ambrosi

«Il mondo è malato».
Con questa frase lapidaria Paolo VI ricordava all’opinione pubblica mondiale, nell’enciclica Populorum progressio, che un mondo spaccato tra uomini che scelgono ogni sera un ristorante diverso e uomini che muoiono di fame e sete è un mondo dove «la libertà è una parola vana».
Alla vigilia degli eventi del 1968, quel papa (che poco più di dieci anni dopo avrebbe rivolto un disperato appello a Dio il giorno dei funerali di Moro), chiedeva un mondo dove il povero Lazzaro potesse «sedersi alla mensa del ricco»; e ricordava a quest’ultimo la parabola dell’uomo accumulatore a cui Dio disse: «Insensato, in questa notte stessa la tua anima ti sarà ritolta».
Quarant’anni dopo, e nell’apice di una crisi che è stata la cartina di tornasole di teorie e pratiche economiche dissennate, Benedetto XVI riprende, nell’enciclica Caritas in veritate, quel grido di dolore, purtroppo rimasto inascoltato, visto che gli affamati e i poveri crescono invece che diminuire, nel “terzo” mondo come nel primo.
La differenza tra i due pontefici è grande.
Essa si intravede non solo nel tipo di linguaggio usato (drammatico e suggestivo nel capo di Paolo VI, fermo ma più moderato quello di Benedetto XVI), ma anche nel titolo dell’enciclica stessa: il “progresso dei popoli” da un lato, la carità nella verità, dall’altro.
Vincolando in maniera chiara la solidarietà e l’amore alla verità, infatti, Ratzinger non cessa di ricordare, pagina dopo pagina, che non c’è carità, o giustizia, senza l’ortodossia cristiana, e che la questione sociale deve andare di pari passo con la questione antropologica.
L’accostamento, però, che in molti passi appare quasi forzato, in ogni caso non oscura la centralità che in questa enciclica rivestono il lavoro e la giustizia sociale.
Due elementi cruciali, la cui connessione intrinseca è stata, in questi anni di riformismo senza equità, dimenticata da economisti e legislatori che, convinti che l’utile privato avrebbe poi prodotto un beneficio collettivo, hanno contribuito ad un mondo fatto di strade sporche e abbandonate, dove svettano attici con curatissime foreste private.
Tre sono le tesi attraverso le quali l’enciclica del papa restituisce forza a tesi accantonate davvero troppo in fretta. La prima è che economia, politica ed etica sono strettamente legate, e che dunque non c’è nessuna scelta “utile” o “necessaria” tout court, perché ogni decisione economica ha un significato morale; per questo non può essere imposta nell’emergenza, né sottratta alla discussione critica e pubblica.
La seconda è che i mali della nostra economia non derivano dalla scarsità di risorse, né, unicamente, da congiunture economiche negative ma, al contrario, sono causati da scelte economico-distributive sciagurate e sbagliate e da scarsità di “risorse sociali”. Di conseguenza, il sottosviluppo non è mai solo materiale, ma soprattutto morale e le sue ragioni stanno nella “carenza di pensiero” come «nella mancanza di fraternità tra gli uomini e i popoli».
Il terzo grande messaggio è quello che rimette al centro della vita pubblica il tema del lavoro.
Con parole tanto efficaci quanto semplici, il papa dice, senza retorica, che l’insicurezza genera atteggiamenti antiproduttivi e che la precarietà può generare «degrado umano e spreco sociale». E risponde ad una domanda che in pochi si fanno più – «Cosa significa un lavoro decente?» – con parole che dovrebbero diventare il criterio dirimente delle scelte dei nostri legislatori: «Un lavoro scelto liberamente che associ i lavoratori allo sviluppo della loro comunità; che consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli; un lavoro che lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici».
Questi temi sociali, uniti a molti altri – la responsabilità sociale dell’impresa, la centralità del consumo responsabile, il principio di sussidiarietà – restano comunque vincolati, nelle parole del papa e a differenza di Paolo VI, ai temi antropologici perché, dice il papa, «il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante della vita, della sessualità, della famiglia, delle relazioni sociali». D’altro canto, legare il tema della giustizia alla verità è un compito che la Chiesa non può abiurare, perché la sua lingua non è una lingua sociologica, ma un potente vocabolario etico, e quindi giustamente metafisico-trascendente, finalizzato ad una critica del presente.
Tuttavia, una simile visione sembra quasi delegittimare chi, senza far riferimento a valori cristiani, si occupa di sviluppo sostenibile e lavora contro l’ingiustizia sociale, quasi a discostarsi da quel passo evangelico in cui Gesù chiama “Benedetti del Padre mio” coloro che gli hanno dato da mangiare e da bere, ospitalità, vestiario e accoglienza.
Di sicuro però, questa enciclica, così come i recenti riferimenti al Concilio, compensa lo sbilanciamento soffocante di questo pontificato sui temi della vita (e della ragione). E soprattutto mostra che, quando la Chiesa usa queste parole – come fece Paolo VI quando invitò uomini stato e giornalisti a ricordare ai ricchi che «i poveri sono alla loro porta e fanno la posta agli avanzi dei loro festini» – le sue parole non cadono nel vuoto, ma, viceversa, colpiscono con forza. Restituendo ad un’istituzione in crisi quell’autorevolezza che altre dichiarazioni ed altre scelte, “umane troppo umane”, o forse al contrario troppo poco, drammaticamente minano.

© Copyright Europa, 10 luglio 2009 consultabile online anche qui.

Quindi, mia cara Ambrosi, quando il Papa parla della ragione e della vita, le sue parole cadono nel vuoto?
Parli per se stessa!
Il Pontificato di Benedetto XVI e' profetico sotto molti aspetti.
Il fatto che per qualcuno esista un "altro Benedetto", che si e' espresso nella ultima enciclica, significa solo volere a tutti i costi "ingabbiare" il pensiero di Benedetto XVI.
Ho una grande notizia: finora l'operazione non e' riuscita e non riuscira' in futuro.
La grandezza del Papa sta proprio nell'impossibilita' di ridurlo a schemi giornalisti e/o politici
.
R.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Com'è azzeccata la definizione del Papa sui cattolici adulti. La Ambrosi ne è un lampante esempio. Ed è pure smemorata su Paolo VI.
Alessia