giovedì 9 luglio 2009

Il banchiere Gotti Tedeschi: il Papa merita il Nobel per l’economia (Calabrò)


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IL TESTO INTEGRALE DELL'ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE"

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L’intervista

«È stato l’unico a mettere in relazione crisi e crollo della natalità»

Il banchiere Gotti Tedeschi: merita il Nobel per l’economia

M. Antonietta Calabrò

ROMA

Ettore Gotti Tedeschi, Benedetto XVI parla della crisi mondiale come opportunità di cambiare. Lei è commentatore dell’«Osservatore romano», economista e rappresentante di uno dei maggiori gruppi bancari al mondo. Come ha accolto queste parole?

«Le ho accolte 'professionalmente', da economista, non solo da cattolico più o meno moralista. Credo che l’opportunità non sia solo di rivedere le regole e i problemi di governance, ma proprio la capacità dello strumento economico di realizzare i suoi maggiori scopi che sono: usare le risorse disponibili in natura con la maggior cura ed efficienza; assicurare la più opportuna ed equilibrata crescita economica che permetta un vero globale benessere per l’uomo; assicurare la distribuzione di questo benessere a tutti gli uomini. Questi tre scopi sono stati conseguiti? Non credo. Molte risorse sono state sprecate, la crescita economica si è rivelata in gran parte fittizia ed illusoria, il benessere non è stato esteso a tutti, anche se era possibile farlo. Mi pare evidente che sia il momento di domandarci se anziché immaginare nuovi espedienti o studiare nuove bolle,non valga la pena riflettere, come ci invita a fare il Papa.
Nessuno come lui ha chiarito cosa l’uomo economico deve fare per l’economia: applicare le leggi dell’economia e non aggirarle.
Mi permetta una battuta: gli dovrebbero dare il Nobel per l’economia».

Sulla crisi finanziaria quali sono differenze tra il Papa e gli analisti?

«La differenza è sostanziale. La maggior parte degli analisti, degnissimi e bravissimi, ha affrontato la crisi analizzando le conseguenze della vera origine e la loro mala gestione. Certo c’è stata espansione monetaria esagerata, espansione del credito, crescita consumistica a debito, creazione di leve finanziarie. Ma perché? Per fronteggiare quale problema? Potremmo formulare mille domande come questa e arrivare sempre ad un solo principio originale: si doveva surrogare in mille modi alla insufficiente crescita economica dovuta al crollo della natalità nei paesi sviluppati (anche se in modo differenziato tra Stati Uniti ed Europa) e le sue conseguenze (crescita dei costi fissi, crescita delle tasse, diminuzione del risparmio e degli assets finanziari...). Ma molti analisti hanno preferito non approfondire l’origine 'originale' della crisi. Toccare il tema della natalità è un tabù, c’è una forma di negazionismo. E’ un tema connotato 'morale', perciò non scientifico, quasi stupido, per fanatici religiosi. Così lo si è ignorato, e lo si continua ad ignorare. Vedrete come questo problema esploderà presto. Non è la finanza che non ha funzionato, non è stata solo l’avidità di pochi ad aver causato una crisi così complessa e lontana nelle origini. L’avidità di pochi sembra persino esser stata una 'concessione' al fine di 'tentare anche quella strada' , per produrre una crescita economica sempre più difficilmente sostenibile».

La deregolamentazione del lavoro rischia di condurre le persone al «degrado umano», dice il Papa.

«Nel mondo globale, per varie ragioni, l’uomo, dal punto di vista economico, è progressivamente diventato 'un mezzo' di crescita economica, in quanto lavoratore, consumatore, risparmiatore. Ma queste sue tre dimensioni fra loro sono in conflitto e quando il conflitto esplode, in momenti di minor crescita economica, l’uomo rischia quello che viene definito nell’Enciclica 'degrado umano'. La dimensione dell’uomo lavoratore, che grazie al suo lavoro consuma e investe i suoi risparmi, è pregiudicata, attenzione, proprio da ciò che consuma e da dove investe i suoi risparmi.
Paradossalmente, cercando il proprio interesse di consumatore, può consumare beni concorrenti con quelli che gli danno lavoro e può investire in imprese concorrenti con quella dove lavora. Questo è il mercato globale che impone ai capitali di investire dove sono più remunerati, che impone di consumare ciò che è più conveniente. Ma conseguentemente di andare a cercare lavoro dove si crea. E qui nasce il problema. Dove si crea e si creerà il lavoro nel mondo globale? La migrazione istituzionalizzata, segmentata per professionalità ed aree geografiche, sembra una prospettiva evidente, ma è anche 'il bene dell’uomo'?».

Per l’Enciclica il mercato non funziona senza regole di solidarietà e di fiducia. E’ così anche nella sua esperienza?

«La fiducia è la risorsa più scarsa in natura ed è la più preziosa perché assicurerebbe vantaggi unici su tutti i mercati. Ma la fiducia non si acquisisce o conquista con studi di mercato o con 'codici etici' affissi agli ingressi, si conquista con il comportamento che è solo e sempre individuale, non è collettivo, nè per legge, nè per regolamento. L’etica è anch’essa individuale, non si impone per legge, non si impara all’università, si vive, e si applica solo se ci si crede, e ci si crede se si pensa sia utile e sia bene. Il comportamento etico è quello che produce la famosa fiducia. Questa enciclica si fonda sugli stessi principi delle altre, di una Rerum novarum, di una Populorum progressio,
di una Centesimus Annus e ha in sè la stessa dottrina dell’enciclica che verrà scritta nel 2100 sull’economia globale dominata dall’Asia».

© Copyright Corriere della sera, 8 luglio 2009

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