giovedì 27 novembre 2008
Una riflessione sul tema del recente Sinodo dei vescovi: La Parola di Dio unica base credibile per la missione della Chiesa (Osservatore Romano)
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Una riflessione sul tema del recente Sinodo dei vescovi
La Parola di Dio unica base credibile per la missione della Chiesa
di Robert Imbelli
Nel corso del mio anno sabbatico mi è parso opportuno essere presente a Roma, durante il Sinodo dei vescovi dedicato a un più profondo apprezzamento e a una rinnovata affermazione della "Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa".
Infatti, alcuni argomenti sono fondamentali dal punto di vista teologico e pertinenti da quello pastorale. Non solo ho seguito i resoconti e i commenti esaustivi sulle pagine de "L'Osservatore Romano" ma ho anche avuto il privilegio di partecipare a una delle sessioni sinodali mattutine. È successo la mattina in cui il Santo Padre ha voluto rivolgersi ai partecipanti al Sinodo, rendendo dunque quell'occasione particolarmente memorabile per me.
Queste sono alcune riflessioni preliminari basate sulla lettura attenta e su conversazioni con alcuni partecipanti al Sinodo. Com'è naturale, le mie impressioni rispecchiano un po' la visione che ho della situazione teologica e pastorale negli Stati Uniti. Tuttavia, come il Sinodo ha dimostrato, la vita della Chiesa nel mondo e quella della Chiesa negli Stati Uniti condividono numerose speranze e molti interessi.
Innanzitutto ho avuto la forte impressione che il Sinodo sia stato una profonda esperienza ecclesiale, in primo luogo, com'è ovvio, per i partecipanti, ma anche, tramite loro e i mezzi di comunicazione sociale, per l'intera Chiesa cattolica. Vescovi e teologi, laici e membri del clero, donne e uomini, rappresentanti di altre comunità cristiane hanno condiviso tre intense settimane. Si sono reciprocamente arricchiti attraverso le loro esperienze, idee, opinioni e interessi. Lo hanno fatto formalmente con le dichiarazioni e con dibattiti svoltisi in gruppi linguistici più piccoli. Tuttavia lo hanno fatto anche in maniera informale durante le pause per il caffè o i pasti. La Parola di Dio si è riflessa nelle numerose parole della famiglia umana, mostrando la sua variegata ricchezza e forza trasformatrice: suaviter et fortiter.
Una delle idee più importanti emerse nel corso del Sinodo è stata quella relativa alla necessità di comprendere le dimensioni della "Parola di Dio". Nel linguaggio teologico è un "concetto analogo". Quindi la "Parola di Dio" non si può semplicemente identificare con le sacre Scritture. Queste ultime sono le testimoni privilegiate della Parola di Dio, ma quest'ultima trascende persino la sua incarnazione biblica.
Infatti, in ultima analisi, la Parola di Dio è una Persona. È Gesù Cristo stesso l'incarnazione piena e definitiva della Parola di Dio. A questo proposito nessun verso biblico è più importante di quello evangelico di "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Giovanni 1, 14). In Gesù Cristo, nella sua vita, morte e resurrezione, la Rivelazione di Dio trova la sua espressione perfetta e ottiene la riconciliazione del mondo.
In modo significativo questa realizzazione colma di fede implica che il cristianesimo è definito "religione del libro" solo impropriamente. Per quanto la testimonianza biblica di Gesù sia preziosa e indispensabile, il cristianesimo è più precisamente la "religione della persona": la persona di Gesù Cristo che, attraverso di sé, esorta tutti alla comunione interpersonale.
Un'ulteriore conseguenza, rilevata da numerosi vescovi, è che Gesù Cristo offre ai cristiani la "chiave ermeneutica" per comprendere le Scritture. La Bibbia non è una raccolta di libri fra i più disparati del mondo antico. Essa trova in Gesù il suo "principium": il suo principio interpretativo perché, in quanto Parola di Dio, è anche la sua origine e il suo obiettivo.
Dalla relatio di apertura del cardinale Ouellet, passando per l'intervento del Papa, fino alle proposte conclusive presentate al Santo Padre, questo riconoscimento ha portato a insistere sulla necessità di impiegare vari metodi di interpretazione scritturale. Il metodo cosiddetto storico-critico è indispensabile, perché la Parola di Dio è veramente entrata nella storia umana: nato durante il regno di Cesare Augusto e crocifisso sotto Ponzio Pilato. Come ha dichiarato il Santo Padre: "La storia della salvezza non è una mitologia, ma una vera storia ed è perciò da studiare con i metodi della seria ricerca storica".
Per lo stesso motivo un metodo esclusivamente storico-critico ha seri limiti. La Parola di Dio, della quale la Bibbia reca testimonianza, trascende chiaramente la dimensione storica per accogliere il proposito di Dio per il mondo. La Bibbia non è solo relegata al passato, ma sfida il presente e dà accesso a una realizzazione futura.
Quindi il metodo storico-critico deve essere accompagnato da uno teologico-spirituale che affermi l'unità delle Scritture e riconosca che, attraverso il mistero pasquale di Cristo, si è riversato lo Spirito Santo ed è cominciata una nuova creazione.
Di conseguenza, il contesto adeguato e privilegiato per ascoltare la Parola di Dio è la liturgia ecclesiale, in particolare l'Eucaristia. Vi viene rappresentata l'unità dei Testamenti e celebrata la presenza del Cristo vivo, che svela il significato delle Scritture. Vi diviene chiaro che è in seno alla comunità di fede e alla sua tradizione che la Parola di Dio continua a nutrire il popolo di Dio in ogni epoca fino al ritorno della gloria di Dio.
Da questo punto di vista il Sinodo ci ha lanciato due sfide urgenti. La prima riguarda il fatto che tutti i membri della Chiesa sono chiamati ad appropriarsi in modo disciplinato della Parola di Dio nella loro vita quotidiana, facendosi da essa guidare e sostenere. Da qui sono derivate le frequenti esortazioni del Sinodo allo sviluppo e alla diffusione di una lettura spirituale della Bibbia che vada oltre il nome generico di lectio divina. Sebbene siano necessari modalità e metodi differenti per soddisfare le esigenze dei diversi interlocutori e delle diverse situazioni culturali, un requisito permanente è la necessità per tutti, soprattutto per quanti sono immersi in culture occidentali spesso frenetiche, di acquisire familiarità con il silenzio. Solo con un silenzio vigile possiamo udire la Parola di Dio con rinnovato vigore.
La seconda sfida è il bisogno urgente di compiere sforzi creativi per ricreare i vincoli fra esegesi e teologia sistematica, oppure, più concretamente, fra esegeti e teologi. Questo è particolarmente difficile nel contesto attuale dell'università tanto dedita alla ricerca specialistica, che spesso separa invece di unire. Ciononostante, si tratta di un imperativo. Come afferma il Santo Padre nel suo intervento al Sinodo: "Dove l'esegesi non è teologia, la Scrittura non può essere l'anima della teologia e, viceversa, dove la teologia non è essenzialmente interpretazione della Scrittura nella Chiesa, questa teologia non ha più fondamento".
Un altro argomento che ha suscitato grande interesse al Sinodo è stato quello della predicazione. I vescovi sanno bene che la Parola di Dio deve essere frazionata e condivisa con il popolo di Dio, proprio come il pane eucaristico. È evidente che ciò assume forme diverse secondo l'età e la formazione delle persone a cui è rivolta, ma una caratteristica comune che scaturisce dalla meditazione sulla Parola di Dio nella sua realtà trascendente è che le omelie dovrebbero essere "mistagogiche", vale a dire condurre l'assemblea a un incontro donatore di vita con Gesù Cristo, il Verbo Incarnato.
Penso che il Papa stesso offra una guida preziosa a proposito di questa predicazione mistagogica. Le sue omelie, così attente alla situazione concreta e alle sensibilità di chi le ascolta, cercano sempre di promuovere un rinnovato apprezzamento dell'altezza, dell'ampiezza, della lunghezza e della profondità dell'amore di Cristo per il suo corpo, la Chiesa, e, attraverso di essa, per il mondo intero. Benedetto XVI, nelle sue omelie, mira ad avvicinare quanti lo ascoltano al mistero pasquale di Cristo, in cui essi non sono meri osservatori, ma partecipanti.
Questa predicazione mistagogica è in sé potenziata e rafforzata dalla qualità estetica del luogo in cui si compie. Questo tema è emerso spesso al Sinodo, ma gli è stata accordata un'importanza particolare nel discorso del Patriarca ecumenico, Bartolomeo i. Nella fede incarnazionale della Chiesa, la Parola di Dio non viene solo ascoltata, ma anche vista. Su di essa si medita guardando icone e immagini. Bartolomeo ha detto delle icone: "Ci incoraggiano a cercare lo straordinario dell'ordinario".
Per questo è stato provvidenziale che, svolgendosi il Sinodo in Vaticano, si sia organizzata nello splendido spazio espositivo romano delle Scuderie del Quirinale una mostra magnifica sull'artista veneziano del primo Rinascimento Giovanni Bellini (1435?-1516). Nei suoi meravigliosi ritratti Madonna con Bambino, Crocifissione e Resurrezione di Cristo, lo straordinario e l'ordinario si sono integrati in modo affascinante, in quanto ognuno getta luce sull'altro, o meglio, la luce di Cristo ha trasfigurato tutto, rivelando l'autentica dignità e il vero destino dell'ordinario.
I dipinti del Bellini, fortemente influenzati dalla tradizione iconica orientale, sono uno splendido commento alla Parola Incarnata di Dio, unendo indissolubilmente la lettera e lo spirito. Si può sostare di fronte a molti dei suoi dipinti e praticare la lectio divina, traendo dalla loro grazia e bellezza acqua per anime assetate.
Alla fine del Sinodo, un vescovo mio amico ha osservato che, a suo parere, esso ha rappresentato da parte della Chiesa una "ricezione" nuova e più profonda della Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum. Se ha ragione, e credo di sì, è un momento molto importante. Infatti, delle quattro Costituzioni, vale a dire dei più importanti documenti del Concilio vaticano II, la Dei Verbum è forse la meno apprezzata e studiata, sebbene sia assolutamente fondamentale.
Nella sua relatio di apertura del Sinodo, il cardinale Ouellet ha detto molto. Ha parlato della rinnovata comprensione nella Dei Verbum della rivelazione come "dinamica e dialogica". Tuttavia ha ammesso che il documento non è stato recepito a sufficienza e non ha ancora recato i suoi frutti.
Quando ci si chiede come questo sia potuto accadere, un possibile indizio è offerto proprio dal cardinale Ouellet nella sua relatio, nella quale afferma, in modo un po' provocatorio, che "l'ecclesiocentrismo è estraneo alla riforma del Concilio". Ora, è possibile che troppi dibattiti e contrasti conciliari siano stati eccessivamente ecclesiocentrici? Abbiamo avuto la tendenza a dimenticare che Cristo, non la Chiesa, è la luce del mondo (Lumen gentium)? Nel sottolineare la necessità della partecipatio actuosa alla liturgia ci siamo accontentati di leggerla solo in termini di funzioni liturgiche invece che come chiamata a penetrare più in profondità nel mistero pasquale di Cristo? A volte, la legittima insistenza sul ruolo dell'assemblea nell'azione liturgica ha messo in ombra il soggetto primario che è Cristo, che si offre al Padre e permette al popolo di Dio di condividere il suo sacrificio perfetto?
La riforma del Concilio è cristocentrica, non ecclesiocentrica. Solo attraverso Cristo la Chiesa è introdotta nella comunione della santissima Trinità che è vita eterna. È questo il centro del messaggio della Dei Verbum e il Sinodo appena conclusosi ci offre la possibilità provvidenziale di ricevere nuovamente questo Vangelo salvifico.
Molto spesso, dopo il Concilio, ci siamo sentiti dire di doverci "appropriare" della tradizione ecclesiale, di doverla fare nostra. Tuttavia a un livello più profondo e impegnativo sarebbe meglio dire: dobbiamo far sì che la tradizione si appropri di noi, permettendo alla Parola di Dio di trasformarci. Questo farsi possedere quotidianamente dalla Parola è la vita della Chiesa e l'unica base credibile per la sua missione.
(©L'Osservatore Romano - 27 novembre 2008)
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