giovedì 27 novembre 2008
Guido Guastalla e Giorgio Israel: Ebrei e cristiani: il dialogo non va rotto (Corriere della sera)
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Ebrei e cristiani: il dialogo non va rotto
GUIDO GUASTALLA* e di GIORGIO ISRAEL**
Caro direttore, in quanto ebrei italiani impegnati da tempo nel dialogo ebraico-cristiano, pur rispettando le decisioni prese il 17 novembre dall'Assemblea dei Rabbini d'Italia, esprimiamo il nostro profondo dissenso da ogni tentativo di imporre la rottura di tale dialogo e ci impegniamo a proseguirlo sia con gruppi religiosi e laici sia con strutture riconducibili alle autorità ecclesiastiche.
La reintroduzione, nella preghiera in latino della Pasqua cristiana, della speranza di «illuminazione» per i fratelli ebrei è un fatto, peraltro circoscritto, cui è seguita una spiegazione autorevole che ha fatto affermare al presidente dell'International Jewish Committee, Rabbino David Rosen: «Siamo molto grati per le chiarificazioni che abbiamo ricevuto dal Cardinale Kasper reiterate dal Cardinale Bertone nella sua lettera al Rabbino Capo di Israele, che affermavano che questa preghiera ha una natura escatologica e in nessun modo riflette alcuna presa di posizione di proselitismo nei confronti degli Ebrei».
Il Talmud insegna che le spiegazioni sono ancor più importanti del testo: ne rappresentano il completamento e la corretta interpretazione. Queste spiegazioni, e gli atti conseguenti, come le reiterate dichiarazioni del Papa contro l'antisemitismo, di amicizia e di affetto nei confronti degli Ebrei, ci convincono a considerare risolta la discussione seguita alla reintroduzione nella preghiera in latino.
Il dialogo e l'amicizia ebraico-cristiana sono troppo importanti - nel contesto di una crisi etica di dimensioni planetarie e di fronte alla minaccia del fondamentalismo di matrice islamica - perché si possa pensare di interromperli o di attenuarli delimitando le modalità e gli interlocutori da prescegliere.
Fin dalla metà dell'Ottocento insigni studiosi e rabbini hanno posto, in condizioni ben più difficili delle attuali, l'obbiettivo del dialogo ebraico-cristiano, nell'intento di superare secoli di persecuzioni, di teologia della sostituzione e di quello che Jules Isaac chiamò «l'insegnamento del disprezzo ». Il grande rabbino livornese Elia Benamozegh scriveva: «La conciliazione sognata dai primi cristiani come una condizione dalla Parusia o avvento finale di Gesù, il ritorno degli ebrei nel grembo della Chiesa … si effettuerà in verità non nel modo in cui si è voluto attenderla, ma nel solo modo serio, logico e durevole, soprattutto nella sola maniera vantaggiosa per la nostra specie. Sarà come lo dipinge l'ultimo dei profeti, il sigillo dei veggenti, come i dottori chiamano Malachia, un ritorno del cuore dei figli ai loro padri e di quello dei padri ai loro figli, vale a dire dell'ebraismo e delle religioni che ne sono derivate».
Noi crediamo che, se crescerà la capacità di ascolto, i figli di Israele e i figli della Chiesa giungeranno dopo duemila anni di incomprensioni a quella riconciliazione nella differenza, la cui importanza e urgenza deve essere riconosciuta da ogni uomo responsabile.
Di recente Benedetto XVI ha osservato che «un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile senza mettere tra parentesi la propria fede», mentre è necessario «affrontare nel confronto pubblico le conseguenze culturali delle decisioni religiose di fondo» e «qui il dialogo e una mutua correzione e un arricchimento vicendevole sono possibili e necessari».
È la definizione corretta di un dialogo alieno da confusi sincretismi e tentativi di riappropriazione, volto a promuovere la dimensione religiosa nella sfera pubblica.
Questo obbiettivo è fondamentale per l'ebraismo: «È troppo poco che tu sia mio servo per ristabilire le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Voglio fare di te la luce delle genti onde tu porti la mia salvezza fino all'estremità della terra» (Isaia, 49,6).
Ebraismo e cristianesimo sono legati da vincoli assolutamente speciali.
Nel 2001 il Cardinale Ratzinger, scriveva ne «Il popolo ebraico e le sue Sacre scritture nella Bibbia cristiana»: «È chiaro che un congedo dei cristiani dall'Antico Testamento non solo avrebbe la conseguenza di dissolvere lo stesso cristianesimo, ma non potrebbe neppure essere utile a un rapporto positivo tra cristiani ed ebrei, perché sarebbe loro sottratto proprio il fondamento comune».
Su questo sentiero ormai largo e agevole va percorsa la strada del dialogo, secondo le parole del salmista: «Ecco, come è bello e come è dolce sedere fra fratelli che vivono d'accordo!… Perché il Signore vi ha imposto la benedizione e la vita per sempre » (Salmo, 133, 1-3).
*Assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Livorno
** Professore all'Università di Roma «La Sapienza»
© Copyright Corriere della sera, 26 novembre 2008
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