giovedì 14 maggio 2009
La seconda volta di Benedetto XVI in moschea (Magister)
IL PAPA E L'ISLAM: LO SPECIALE DEL BLOG
Il Papa: "L'adesione genuina alla religione – lungi dal restringere le nostre menti – amplia gli orizzonti della comprensione umana" (Discorso del Santo Padre in occasione dell'incontro con i Capi Religiosi Musulmani, con il Corpo Diplomatico e con i Rettori delle università giordane all’esterno della moschea al-Hussein bin-Talal di Amman, 9 maggio 2009)
Il Papa: "La religione viene sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso" (Discorso del Santo Padre in occasione della benedizione della prima pietra dell’Università di Madaba del Patriarcato Latino, 9 maggio 2009)
Principe Ghazi: "Un Papa che ha il coraggio morale di fare e parlare secondo la propria coscienza". Il testo integrale del benvenuto nella moschea di Amman (Magister)
La seconda volta di Benedetto XVI in moschea
Il dialogo con l'islam ha caratterizzato la tappa giordana del pellegrinaggio in Terra Santa, lungo la strada aperta a Ratisbona. Un inedito: il testo integrale del discorso rivolto al papa dal principe musulmano Ghazi Bin Muhammad Bin Talal
di Sandro Magister
ROMA, 11 maggio 2009
Benedetto XVI ha dedicato alla Giordania i primi tre giorni del suo viaggio in Terra Santa. Nei precedenti viaggi papali la sosta in questo regno musulmano era stata più fuggevole, e così i riferimenti all'islam.
Con papa Joseph Ratzinger, invece, si è registrata questa novità. Il rapporto con l'islam è stato visibilmente al centro della prima parte del suo viaggio. E avrà ulteriore visibilità a Gerusalemme con la visita alla Cupola della Roccia, riconosciuta dai musulmani come il luogo da cui Maometto salì al cielo.
Naturalmente, l'impronta complessiva che Benedetto XVI ha dato fin dall'inizio al suo viaggio è stata quella del pellegrinaggio cristiano, attentissimo alle radici ebraiche.
In Giordania, ha cominciato salendo sul Monte Nebo e da lì, come Mosé, guardando alla Terra Promessa. Lì ha ricordato "l'inseparabile vincolo che unisce la Chiesa al popolo ebreo". E ha terminato recandosi a Betania "oltre il Giordano" nel luogo dove l'ultimo dei profeti, Giovanni il Battista, battezzò Gesù.
In ogni tappa ha incontrato e rincuorato i cristiani che vivono in quella terra, piccole comunità molto minoritarie, dalla vita non facile.
Con essi ha celebrato ad Amman la prima messa pubblica del viaggio, domenica 10 maggio.
Nell'omelia, ha subito ribadito loro ciò che era stato proclamato poco prima: che cioè veramente, all'infuori di Gesù, "non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati" (Atti 4, 12).
Li ha esortati a testimoniare il riconoscimento della piena dignità della donna e a "sacrificare" la propria vita nel servizio agli altri, all'opposto di "modi di pensare che giustificano lo 'stroncare' vite innocenti".
Ma è in rapporto all'islam che Benedetto XVI ha detto in Giordania le cose più argomentate, soprattutto in due momenti: quando ha benedetto la prima pietra di una nuova università cattolica a Madaba per studenti che saranno in gran parte musulmani, e quando ha visitato la moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman.
A Madaba, sabato 9 maggio, il papa ha detto tra l'altro:
"La fede in Dio non sopprime la ricerca della verità; al contrario l’incoraggia. San Paolo esortava i primi cristiani ad aprire le proprie menti a tutto 'quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode' (Filippesi 4, 8). Ovviamente la religione, come la scienza e la tecnologia, come la filosofia ed ogni espressione della nostra ricerca della verità, possono corrompersi. La religione viene sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso. Qui non vediamo soltanto la perversione della religione, ma anche la corruzione della libertà umana, il restringersi e l’obnubilarsi della mente. Evidentemente, un simile risultato non è inevitabile. Senza dubbio, quando promuoviamo l’educazione proclamiamo la nostra fiducia nel dono della libertà. Il cuore umano può essere indurito da un ambiente ristretto, da interessi e da passioni. Ma ogni persona è anche chiamata alla saggezza e all’integrità, alla scelta basilare e più importante di tutte del bene sul male, della verità sulla disonestà, e può essere sostenuta in tale compito.
"La chiamata all’integrità morale viene percepita dalla persona genuinamente religiosa dato che il Dio della verità, dell’amore e della bellezza non può essere servito in alcun altro modo. La fede matura in Dio serve grandemente per guidare l’acquisizione e la giusta applicazione della conoscenza. La scienza e la tecnologia offrono benefici straordinari alla società ed hanno migliorato grandemente la qualità della vita di molti esseri umani. Senza dubbio questa è una delle speranze di quanti promuovono questa università, il cui motto è 'Sapientia et Scientia'. Allo stesso tempo, la scienza ha i suoi limiti. Non può dar risposta a tutte le questioni riguardanti l’uomo e la sua esistenza. In realtà, la persona umana, il suo posto e il suo scopo nell’universo non può essere contenuto all’interno dei confini della scienza. 'La natura intellettuale della persona umana si completa e deve completarsi per mezzo della sapienza, che attira dolcemente la mente dell’uomo a cercare ed amare le cose vere e buone' (cfr. Gaudium et spes, 15). L’uso della conoscenza scientifica abbisogna della luce orientatrice della sapienza etica. Tale sapienza ha ispirato il giuramento di Ippocrate, la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la convenzione di Ginevra ed altri lodevoli codici internazionali di comportamento. Pertanto, la sapienza religiosa ed etica, rispondendo alle questioni sul senso e sul valore, giocano un ruolo centrale nella formazione professionale. Conseguentemente, quelle università dove la ricerca della verità va di pari passo con la ricerca di quanto è buono e nobile offrono un servizio indispensabile alla società".
Ma è stato ad Amman, visitando la moschea Al-Hussein Bin Talal, che Benedetto XVI è entrato più direttamente nel cuore della questione.
Il luogo e gli interlocutori erano ricchi di implicazioni. A far gli onori di casa al papa è stato il principe Ghazi Bin Muhammad Bin Talal, 42 anni, cugino dell'attuale re di Giordania Abdullah II, a sua volta figlio del defunto re Hussein al quale è intitolata la moschea.
Il principe Ghazi è il più autorevole ispiratore della lettera aperta "Una parola comune tra noi e voi", indirizzata al papa e ai capi delle altre confessioni cristiane nell'ottobre del 2007 da 138 esponenti musulmani di numerosi paesi.
Quella lettera è stato il seguito più importante, in campo musulmano, dell'apertura di dialogo compiuta da Benedetto XVI con la sua memorabile lezione all'università di Ratisbona dell'11 settembre 2006.
Dalla lettera dei 138 ha preso origine un forum permanente di dialogo cattolico-musulmano la cui prima sessione si è svolta a Roma dal 4 al 6 novembre 2008, conclusa da un incontro col papa.
Ad Amman, sabato 9 maggio, il principe Ghazi ha prima accompagnato Benedetto XVI nella visita alla moschea – dove entrambi hanno avuto un "momento di raccoglimento" – e poi, all'esterno dell'edificio, ha rivolto a lui un ampio discorso, al quale è seguito l'intervento del papa.
Qui di seguito sono riportati i testi integrali dei due discorsi. Quello del principe Ghazi, pronunciato in inglese e fin qui inedito, è stato trascritto a cura de "L'Osservatore Romano", che però ne ha pubblicato solo un breve riassunto.
Il discorso del papa riprende temi e argomenti da lui già sviluppati in precedenti interventi, mentre più inusuale appare quello del principe Ghazi, specie in un mondo musulmano che nella sua quasi totalità è stato fin qui all'oscuro dei passi di dialogo in corso con la Chiesa cattolica.
Anche sotto questo profilo, infatti, la tappa di Benedetto XVI in Giordania ha segnato una novità. Grazie all'impatto pubblico mondiale del viaggio e allo scambio di discorsi tra il papa e il principe Ghazi, una "comune parola" di dialogo tra la Chiesa cattolica e l'islam ha raggiunto per la prima volta anche una parte dell'opinione pubblica musulmana, in una misura che non ha precedenti.
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