venerdì 31 luglio 2009

Concilio Vaticano II ed ermeneutica della rottura: nel 1976 Paolo VI mette i puntini sulle "i" usando un linguaggio particolarmente forte


LA SACRA LITURGIA: LO SPECIALE DEL BLOG

COSTITUZIONE SULLA SACRA LITURGIA SACROSANCTUM CONCILIUM (Concilio Vaticano II, 4 dicembre 1963)

Il 3 aprile 1969 Paolo VI promulgava il "Novus Ordo". Sono passati quarant'anni da quel giorno...andiamo alla fonte!

IL TESTO DEL MOTU PROPRIO "SUMMORUM PONTIFICUM" (in italiano e nell'originale latino)

Il Concilio non fu una rottura con la precedente tradizione (Monumentale discorso alla curia romana, 22 dicembre 2005)

Nel concistoro del 1977 Paolo VI torna a criticare l'ermeneutica della rottura per richiamare all'obbedienza i contestaori

Su segnalazione di un carissimo amico del blog leggiamo questo discorso di Paolo VI.
E' il 1976, sono passati poco piu' di dieci anni dalla fine del Concilio ed il Papa parla apertamente delle due "opposte fazioni" in lotta fra loro: i tradizionalisti (sostanzialmente i Lefebvriani) ed i progressisti o, meglio, coloro che ritengono che il Concilio abbia costituito una sorta di "licenza di libera critica al Magistero".
E' inusuale che un Papa citi direttamente il nome di un vescovo (in questo caso Lefebvre) ed e' altrettanto inusuale il tono.
Come sarebbe accolto oggi un discorso del genere che rivendica chiaro e tondo il Primato di Pietro?
Si tratta di una lettura indispensabile per comprendere come e' nata l'ermeneutica della rottura e come sia indispensabile, al contrario, leggere il Concilio alla luce dell'ermeneutica della continuita' cosi' come espressa da Benedetto XVI nel magistrale discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005
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R.

CONCISTORO SEGRETO DEL SANTO PADRE PAOLO VI PER LA NOMINA DI VENTI CARDINALI

Lunedì, 24 maggio 1976

Venerati Fratelli Nostri,

Dal giorno in cui, ormai più di tre anni fa, col fissare il numero dei Cardinali elettori, avevamo colmato i vuoti creatisi nel vostro Collegio, questo ha subito perdite dolorose di nostri Fratelli, che tutti ricordiamo con affettuoso rimpianto; d’altra parte, inoltre, alcuni dei suoi membri hanno raggiunto l’età stabilita, per cui essi non possono più partecipare all’elezione del Romano Pontefice. Perciò noi oggi vi abbiamo convocati per creare nuovi Cardinali; e, al tempo stesso, sia per promulgare nomine episcopali, sia per chiedere a voi di pronunciare l’ultimo voto circa le cause di canonizzazione di tre Beati, sia infine per ricevere le postulazioni dei palli.

Sono aspetti tradizionali e noti di ogni Concistoro; ma non per questo meno suggestivi, nel loro significato ecclesiale, e nei loro richiami storici, tanto da rendere ogni volta piena di singolare interesse la celebrazione di questo avvenimento della Chiesa romana. Sì, il Concistoro è un momento particolarmente importante e solenne. Ve ne vediamo compresi, con la vostra partecipazione e con la vostra presenza; e di questo anzitutto vi ringraziamo.

I. Per rimanere alla circostanza che più polarizza oggi l’attenzione della comunità cattolica, anzi di tutta l’opinione pubblica - la creazione di nuovi Cardinali - vogliamo sottolineare che, con essa, noi abbiamo voluto non tardare più oltre a provvedere alle esigenze del Sacro Collegio, tanto più dopo la pubblicazione della Costituzione Apostolica «Romano Pontifici eligendo», nella quale abbiamo sottolineato i compiti particolari e supremi dei suoi componenti, chiamati all’elezione del Papa. E nel colmare i vuoti, come dicevamo, abbiamo seguito i criteri che più ci stanno a cuore: la rappresentatività e il carattere internazionale del Sacro Collegio.
Esso vuole e deve dare in faccia al mondo l’immagine per quanto possibile fedele della santa Chiesa Cattolica, riunita dai quattro venti nell’unico ovile di Cristo (Io. 10, 16), aperta a tutte le genti e a tutte le culture, per assimilarne i valori genuini e farli servire alla buona causa del Vangelo, ch’è la gloria di Dio e l’elevazione dell’uomo. Così – oltre al dovuto riconoscimento a fedelissimi servitori della Sede Apostolica nelle Rappresentanze Pontificie e nella Curia Romana - abbiamo pensato prima di tutto e sopra tutto alle Sedi residenziali, volgendo in particolare lo sguardo alle giovani comunità dall’avvenire promettente e luminoso, unitamente e allo stesso piano di quelle dal passato illustre e dalla storia secolare, ricca di opere e di santità. È come uno sguardo d’insieme che abbraccia tutto l’orizzonte del mondo, ove la Chiesa vive, ama, spera, soffre, combatte: nessuno, dai punti estremi dell’orizzonte, anche dalle terre più lontane, è assente. Che se la rappresentatività delle Chiese orientali sembra oggi ridotta, ciò non significa che minore sia la nostra stima e considerazione verso quelle regioni, che sono state la culla della Chiesa, ne custodiscono tuttora con gelosa cura i preziosissimi tesori di pietà, di Liturgia, di Dottrina, e trovano nei loro Pastori, i Patriarchi, a noi dilettissimi, congiuntamente ai loro collaboratori del rispettivo sacro sinodo patriarcale, l’incoraggiamento, la luce, la forza di coesione. Anzi, ci piace cogliere questa occasione per attestare loro la nostra benevolenza più che affettuosa, assicurandoli del nostro ricordo, della nostra venerazione e della nostra preghiera.

II. Il Concistoro, dicevamo, è un momento particolarmente grave e solenne per la vita della Chiesa, che si svolge nel tempo: e noi non possiamo lasciar passare questa occasione, che ci porta a contatto con voi, senza trattare in presenza vostra aspetti e questioni che ci stanno molto a cuore e che riteniamo di grande importanza; senza farvi parte dei sentimenti che nutriamo nell’intimo. Sono sentimenti di gratitudine e di gioia, da una parte, ma anche di preoccupazione e di pena dall’altra.

1) Il primo sentimento nasce da quell’ottimismo innato – fondato sulle promesse indefettibili di Cristo (Cfr. Matth. 28, 20; Io. 16, 33) e sulla constatazione di fenomeni sempre nuovi e consolanti - che noi abitualmente nutriamo in cuore: è la vitalità, la giovinezza della Chiesa, di cui abbiamo tanti segni. Ne abbiamo avuto la prova nel recente Anno Santo, che tuttora irradia il suo influsso nel nostro spirito. L’essenza della vita cristiana sta nella vita spirituale, in questa vita soprannaturale ch’è dono di Dio: e noi abbiamo il più grande conforto nel vederla svilupparsi in tanti Paesi, nella testimonianza della fede, nella Liturgia, nella preghiera riscoperta e rigustata, nella gioia custodita nella chiarità dello sguardo spirituale e nella purezza del cuore.

Noi vediamo inoltre svilupparsi sempre più e più l’amore dei fratelli, inseparabile dall’amore di Dio, che ispira l’impegno crescente di tanti nostri figli, e la loro solidarietà profonda con i poveri, con gli emarginati, con gli indifesi.

Noi vediamo le linee tracciate dal recente Concilio dirigere e sostenere lo sforzo continuo di adesione al Vangelo di Cristo, in uno sforzo di autenticità cristiana, nell’esercizio delle virtù teologali.

Noi vediamo con commossa ammirazione il fiorire delle iniziative missionarie e, soprattutto, abbiamo non indubbi segni che, dopo una battuta d’arresto, anche il settore più delicato e grave come quello delle vocazioni sacerdotali e religiose, ha una indubitabile ripresa in vari paesi.

Noi vediamo in tutti i continenti molti giovani rispondere generosamente e concretamente alle consegne del Vangelo, e dimostrare sforzo di coerenza assoluta tra l’altezza dell’ideale cristiano e il dovere di tradurlo in pratica.

Sì, venerati Fratelli nostri, veramente lo Spirito è all’opera in tutti i campi, anche in quelli che parevano più inariditi!

2) Ma vi sono anche motivi di amarezza, che non vogliamo certo velare né minimizzare: e nascono specialmente dal rilievo di una polarità, spesso irriducibile in certi suoi eccessi, che manifesta in campi diversi una immaturità superficiale, ovvero una ostinazione caparbia, in sostanza una sordità amara verso gli appelli a quel sano equilibrio, conciliatore delle tensioni, partiti dalla grande lezione del Concilio, sono ormai più di dieci anni.

a) Da una parte, ecco coloro che, col pretesto di una più grande fedeltà alla Chiesa e al Magistero, rifiutano sistematicamente gli insegnamenti del Concilio stesso, la sua applicazione e le riforme che ne derivano, la sua graduale applicazione a opera della Sede Apostolica e delle Conferenze Episcopali, sotto la nostra autorità, voluta da Cristo. Si getta il discredito sull’autorità della Chiesa in nome di una Tradizione, di cui solo materialmente e verbalmente si attesta rispetto; si allontanano i fedeli dai legami di obbedienza alla Sede di Pietro come ai loro legittimi Vescovi; si rifiuta l’autorità di oggi, in nome di quella di ieri. E il fatto è tanto più grave, in quanto l’opposizione di cui parliamo non è soltanto incoraggiata da alcuni sacerdoti, ma capeggiata da un Vescovo, da Noi tuttavia sempre venerato, Monsignor Marcel Lefebvre.

È tanto doloroso il notarlo: ma come non vedere in tale atteggiamento - qualunque possano essere le intenzioni di queste persone - porsi fuori dell’obbedienza e della comunione con il Successore di Pietro e quindi della Chiesa?

Poiché questa, purtroppo, è la conseguenza logica, quando cioè si sostiene essere preferibile disobbedire col pretesto di conservare intatta la propria fede, di lavorare a proprio modo alla preservazione della Chiesa cattolica, negandole al tempo stesso un’effettiva obbedienza. E lo si dice apertamente! Si osa affermare che il Concilio Vaticano II non è vincolante; che la fede sarebbe in pericolo altresì a motivo delle riforme e degli orientamenti Post-conciliari, che si ha il dovere di disobbedire per conservare certe tradizioni. Quali tradizioni? È questo gruppo, e non il Papa, non il Collegio Episcopale, non il Concilio Ecumenico, a stabilire quali, fra le innumerevoli tradizioni debbono essere considerate come norma di fede! Come vedete, venerati Fratelli nostri, tale atteggiamento si erge a giudice di quella volontà divina, che ha posto Pietro e i Suoi Successori legittimi a Capo della Chiesa per confermare i fratelli nella fede, e per pascere il gregge universale (Cfr. Luc. 22, 32; Io. 21, 15 ss.), che lo ha stabilito garante e custode del deposito della Fede.

E ciò è tanto più grave, in particolare, quando si introduce la divisione, proprio là dove congvegavit nos in unum Christi amor, nella Liturgia e nel Sacrificio Eucaristico, rifiutando l’ossequio alle norme definite in campo liturgico. È nel nome della Tradizione che noi domandiamo a tutti i nostri figli, a tutte le comunità cattoliche, di celebrare, in dignità e fervore la Liturgia rinnovata. L’adozione del nuovo «Ordo Missae» non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo. Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino.

La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari. Ogni iniziativa che miri a ostacolarli non può arrogarsi la prerogativa di rendere un servizio alla Chiesa: in effetti reca ad essa grave danno.

Parecchie volte, direttamente, per tramite di nostri collaboratori e di altre persone amiche, abbiamo richiamato l’attenzione di Monsignor Lefebvre sulla gravità dei suoi atteggiamenti, l’irregolarità delle principali sue presenti iniziative, l’inconsistenza e spesso falsità delle posizioni dottrinali sulle quali egli basa gli uni e le altre, e il danno che da essi proviene alla Chiesa intera.

È con profonda amarezza ma con paterna speranza che noi ci rivolgiamo una volta di più a questo nostro Confratello, ai suoi collaboratori e a quelli che si sono lasciati trascinare da essi. Oh, certo, noi crediamo che molti di questi fedeli, almeno in un primo momento, erano in buona fede: comprendiamo anche il loro attaccamento sentimentale a forme abituali di culto o di disciplina che per lungo tempo erano stati per essi di sostegno spirituale e nei quali avevano trovato nutrimento spirituale. Ma abbiamo fiducia ch’essi sapranno riflettere con serenità, senza partito preso, e vorranno ammettere che troveranno oggi il sostegno e il nutrimento che cercano, nelle forme rinnovate che il Concilio Ecumenico Vaticano II e Noi stessi abbiamo decretato come necessario, per il bene della Chiesa, il suo progresso nel mondo contemporaneo, la sua unità. Noi dunque esortiamo, ancora una volta, tutti questi nostri fratelli e figli, li supplichiamo di prendere coscienza delle profonde ferite che, altrimenti, causano alla Chiesa, di nuovo li invitiamo a pensare . . .
È con profonda amarezza ma con paterna speranza che noi ci rivolgiamo una volta di più al nostro Confratello Monsignor Marcel Lefebvre, ai suoi collaboratori; li invitiamo a pensare ai moniti gravi di Cristo su l’unità della Chiesa (Cfr. Io. 17, 21 ss.) e sull’obbedienza dovuta al legittimo Pastore da Lui preposto al gregge universale, come segno dell’obbedienza dovuta al Padre e al Figlio (Cfr. Luc. 10, 16). Noi li attendiamo con cuore aperto, con le braccia pronte all’abbraccio: sappiano ritrovare in umiltà e edificazione, per la gioia del Popolo di Dio, la via dell’unità e dell’amore!

b) Dall’altra parte, in direzione opposta quanto a posizione ideologica, ma ugualmente causa di profonda pena, vi sono coloro che, credendo erroneamente di continuare nella linea del Concilio, si sono messi in una posizione di critica preconcetta e talora irriducibile della Chiesa e delle sue istituzioni.

Perciò, con altrettanta fermezza dobbiamo dire che non ammettiamo l’atteggiamento:

- di quanti si credono autorizzati a creare la loro propria liturgia, limitando talora il Sacrificio della Messa o i sacramenti alla celebrazione della propria vita o della propria lotta, oppure al simbolo della loro fraternità; o praticano abusivamente l’intercomunione;

- di quanti minimizzano l’insegnamento dottrinale nella catechesi o la snaturano secondo il gusto degli interessi, delle pressioni o delle esigenze degli uomini, secondo tendenze che travisano profondamente il messaggio cristiano, come già abbiamo indicato nell’Esortazione Apostolica «Quinque iam anni», 1’8 dicembre 1970, a cinque anni dalla fine del Concilio (Cfr. AAS 63 (1971) 99);

- di quanti fingono d’ignorare la Tradizione vivente della Chiesa, dai Padri fino agli insegnamenti del Magistero, e reinterpretano la dottrina della Chiesa, e lo stesso Vangelo, le realtà spirituali, la divinità di Cristo, la sua risurrezione o l’Eucaristia, svuotandole praticamente del loro contenuto e creando in tal modo una nuova gnosi e introducendo in certo modo nella Chiesa il « libero esame »; e ciò è tanto più pericoloso quando si tratta di coloro che hanno l’altissima e delicata missione di insegnare la Teologia cattolica;

- di quanti riducono la funzione specifica del ministero sacerdotale;

- di quanti dolorosamente trasgrediscono le leggi della Chiesa, o le esigenze etiche da essa richiamate;

- di quanti interpretano la vita teologale come una organizzazione della società di quaggiù, anzi la riducono ad un’azione politica, adottando a questo scopo uno spirito, metodi, e pratiche contrarie al Vangelo; e si giunge a confondere il messaggio trascendente di Cristo, il suo annuncio del Regno di Dio, la sua legge d’amore tra gli uomini, fondato su l’ineffabile paternità di Dio, con ideologie che essenzialmente negano tale messaggio sostituendolo con una posizione dottrinale assolutamente antitetica, propugnando un connubio ibrido tra due mondi inconciliabili, com’è riconosciuto dagli stessi teorici dell’altra parte.

Cristiani simili non sono molto numerosi, è vero, ma fanno molto rumore, credendo troppo facilmente d’interpretare le necessità di tutto il popolo cristiano o il senso irreversibile della storia. Non possono, così facendo, richiamarsi al Concilio Vaticano II, perché la sua interpretazione e la sua applicazione non si prestano ad abusi di sorta; né appellarsi alle esigenze dell’apostolato per avvicinare i lontani o gli increduli: l’apostolato vero è inviato dalla Chiesa per testimoniare su la dottrina e la vita della Chiesa stessa. Il lievito deve essere diffuso in tutta la pasta, ma deve rimanere lievito evangelico. Altrimenti si corrompe anch’esso col mondo.

Venerati Fratelli Nostri! Abbiamo pensato di affidarvi queste riflessioni, consapevoli dell’ora che batte per la Chiesa. Essa è e sarà sempre il vessillo levato tra le Nazioni (Cfr. Is. 5, 26; 11, 12), perché ha la missione di dare al mondo che la guarda, con aria talora di sfida, la verità di quella fede che ne rischiara il destino, la speranza che sola non delude (Cfr. Rom. 5, 5), la carità che salva dall’egoismo che, sotto varie forme, cerca di invaderlo e di soffocarlo. Non è certo il momento dell’abbandono, della diserzione, delle concessioni; né, tanto meno, quello della paura. I cristiani sono semplicemente chiamati a essere se stessi: ed essi lo saranno nella misura in cui saran fedeli alla Chiesa e al Concilio.

Nessuno, pensiamo, vorrà aver dubbi su l’insieme di indicazioni e di incoraggiamenti, che, durante questi anni del nostro Pontificato, noi abbiamo dato ai Pastori e al Popolo di Dio, anzi al mondo intero. Siamo grati a coloro che han fatto un programma di tali insegnamenti, dati con intento sempre sorretto da una viva speranza, da un sereno ottimismo non disgiunto da realismo concreto. Se oggi ci siamo soffermati di più su alcuni aspetti negativi, è perché la circostanza singolarissima e la vostra benevola fiducia ce l’hanno fatto ritenere opportuno. Effettivamente, l’essenza del carisma profetico per il quale il Signore ci ha promesso l’assistenza del suo Spirito, è quella di vegliare, di avvertire sui pericoli, di scrutare i segni dell’alba sull’orizzonte oscuro della notte. Custos, quid de nocte? Custos, quid de nocte? ci mette in bocca il profeta (Is. 21, 11). Finché l’alba serena ridoni la gioia al mondo, noi vogliamo continuare ad alzare la nostra voce per quella missione, che ci è stata affidata. Voi, nostri amici e collaboratori più vicini, potete anzitutto e meglio d’ogni altro farvene l’eco presso tanti nostri fratelli e figli. E mentre ci apprestiamo a festeggiare il Signore che, con i segni della passione e risurrezione gloriosa, ascende alla destra del Padre, dobbiamo, guardando caelos apertos (Act. 7. 56), rimanere pieni di speranza, di gioia e di coraggio. In Nomine Domini! In questo Nome santo tutti vi benediciamo.

Ora ci piace elencare i distinti Presuli, che per i loro meriti abbiam reputato degni di chiamare a far parte, in questo Concistoro, del degnissimo Collegio dei Cardinali.

Essi sono: Ottavio Antonio Beras Rojas, Arcivescovo di Santo Domingo; Opilio Rossi, Arcivescovo tit. di Ancira e Nunzio Apostolico in Austria; Giuseppe Maria Sensi, Arcivescovo tit. di Sardi e Nunzio Apostolico in Portogallo; Juan Carlos Aramburu, Arcivescovo di Buenos Aires; Corrado Bafile, Arcivescovo tit. di Antiochia di Pisidia e Pro-Prefetto della Sacra Congregazione per le Cause dei Santi; Hyacinthe Thiandoum, Arcivescovo di Dakar; Emmanuel Nsubuga, Arcivescovo di Kampala; Joseph Schroffer, Arcivescovo tit. di Volturno e Segretario della Sacra Congregazione per l’Educazione Cattolica; Lawrence Trevor Picachy, Arcivescovo di Calcutta; Jaime L. Sin, Arcivescovo di Manila; William Wakefield Baum, Arcivescovo di Washington; Aloisio Lorscheider, Arcivescovo di Fortaleza; Reginald John Delargey, Arcivescovo di Wellington; Eduardo Pironio, Arcivescovo tit. di Tiges e Pro-Prefetto della Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari; Laszló Lékai, Arcivescovo di Esztergom; Basi1 Hume, Arcivescovo di Westminster; Victor Razafimahatratra, Arcivescovo di Tananarive; Boleslaw Filipiak, Arcivescovo tit. di Plestia; Dominic Ekandem, Vescovo di Ikot Ekpene.

Inoltre, quanto ai due Cardinali che ci siamo riservati in pectore, diamo ora pubblicamente il nome di uno di essi: si tratta di Monsignor Giuseppe Maria Trin-nhu-Khue, Arcivescovo di Hanoi, giunto soltanto ieri a Roma. Riserviamo peraltro ancora il secondo, che sarà pubblicato quando a noi piacerà.

Pertanto, per autorità di Dio Onnipotente, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra creiamo e nominiamo solennemente Cardinali della Santa Chiesa Romana i Presuli, che abbiamo or ora menzionati.

Di tali Cardinali, i seguenti apparterranno all’ordine dei Diaconi: Opilio Rossi, Giuseppe Maria Sensi, Corrado Bafile, Giuseppe Schröffer, Edoardo Pironio, Boleslao Filipiak.

Gli altri apparterranno all’ordine dei Presbiteri.

Con le necessarie e opportune dispense, deroghe e clausole. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

© Copyright 1976 - Libreria Editrice Vaticana

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/speeches/1976/documents/hf_p-vi_spe_19760524_concistoro_it.html

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Paolo VI tenne un discorso, a tratti molto simile a quello qui postato, nel giugno del 78' durante il concistoro in cui venne creato cardinale anche Joseph Ratzinger .
Ecco l'indirizzo sul sito della Santa Sede:

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/speeches/1977/june/documents/hf_p-vi_spe_19770627_concistoro_it.html



Antonio

Anonimo ha detto...

ERRATA CORRIGE: non nel 78' ma nel 1977.

Antonio

Anonimo ha detto...

Con riferimento ai "progressisti" ad ogni costo Paolo VI diceva: "Cristiani simili non sono molto numerosi, è vero, ma fanno molto rumore, credendo troppo facilmente d’interpretare le necessità di tutto il popolo cristiano o il senso irreversibile della storia." Non poteva vedere il futuro e prevedere la loro proliferazione, lo svuotamento delle Chiese e soprattutto, della nostra stessa Religione. Ci voleva chi tenesse la barra al centro, ma il centro non era tra due interpretazioni contrarie ed entrambe sbagliate, ma tra una errata ed una corretta ed ancorata alla nostra Tradizione.