domenica 30 novembre 2008

Segnali concreti di disgelo fra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa Russa (Romano)


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Finisce la guerra cattolici-ortodossi. A Bari

Le aperture di Ratzinger dopo le speranze di Wojtyla

di SERGIO ROMANO

Insieme all’inaugurazione del teatro Petruzzelli, risorto dalle ceneri dell’incendio, il 6 dicembre andrà in scena a Bari un altro grande evento operistico, politico e religioso. I registi sono il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il presidente della Federazione russa Dmitrij Medvedev.
Il libretto è stato scritto da Silvio Berlusconi, Romano Prodi e Vladimir Putin. Gli attori, gli orchestrali, i coristi e le comparse sono i sacerdoti e i monaci della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa.
E il teatro, in questo caso, è il grande complesso ortodosso di San Nicola: ottomila metri quadrati di cui la Russia zarista fu proprietaria dal 1913, quando cominciò la sua costruzione, fino alla rivoluzione bolscevica del 1917. Incamerato dal governo italiano e trasferito al comune di Bari nel 1937, il complesso (una chiesa e un ostello per i pellegrini di Terra Santa) è stato acquistato dal governo italiano con la concessione di una caserma, desiderata dalla città, e verrà formalmente consegnato da Napolitano a Medvedev.
Nel 1913 la prima pietra fu posata dopo due avvenimenti che avevano creato, fra Italia e Russia, una «intesa cordiale»: il tempestivo intervento di una nave russa a Messina dopo il terremoto del 1908 e l’incontro dello zar Nicola II con Vittorio Emanuele III a Racconigi nel 1909. Oggi la restituzione avviene durante una nuova intesa cordiale avviata da Berlusconi, proseguita da Prodi, ripresa in mano da Berlusconi e rafforzata dalla posizione della diplomazia italiana durante la guerra georgiana della scorsa estate. La restituzione era desiderata da Putin, che ne parlò con il Papa e pregò devotamente qualche mese fa di fronte alle reliquie del santo nella basilica cattolica di Bari. A coloro che si stupiscono della conversione di un colonnello del Kgb ricordo che il complesso ortodosso fu costruito su un progetto di Aleksej Shusev, grande architetto della Russia zarista, ma anche autore dei due mausolei (quello provvisorio in legno e quello definitivo in porfido e granito) destinati a ospitare la mummia di Lenin. Le ideologie cambiano, ma gli uomini sono spesso gli stessi.
Oltre a essere un evento politico e culturale nella storia dei rapporti dei due Paesi, la restituzione di Bari potrebbe passare alla storia come la felice conclusione di una guerra fredda cominciata mentre il mondo salutava con entusiasmo la fine di quella fra l’Unione Sovietica e l’Occidente. La nuova guerra fredda scoppiò perché Giovanni Paolo II credette che la morte del comunismo avrebbe aperto le porte della Russia al cattolicesimo latino.
Era già accaduto immediatamente dopo la Grande guerra, quando Benedetto XV sperò che il regime bolscevico sarebbe stato più conciliante della Russia imperiale e dette istruzioni a monsignor Ratti di attendere a Varsavia l’apertura delle frontiere. Per un breve periodo la speranza di papa Wojtyla sembrò più realistica di quella del suo lontano predecessore. Ottenne la restituzione dei beni confiscati dopo la Seconda guerra mondiale agli Uniati (i cattolici di rito greco dell’Ucraina occidentale) e l’apertura di quattro diocesi. Ma commise l’errore di permettere che la presenza della Chiesa di Roma nella Santa Russia venisse assicurata da uno stuolo di sacerdoti, suore e vescovi polacchi. E questi, a loro volta, credettero che la Chiesa ortodossa, screditata dalla sua collaborazione con il regime comunista, avesse perduto la sua autorevolezza e non sarebbe stata in grado di opporsi alla riconquista cattolica delle anime scismatiche del grande popolo russo.
Al clero ortodosso questi nuovi «guerrieri» polacchi parvero gli eredi di quelli che avevano invaso il Granducato di Moscovia prima dell’avvento al trono del primo Romanov.
Il risultato fu un altro sipario di ferro, più discreto e trasparente di quello che era calato sull’Europa nel 1946, ma non meno efficace. Le istituzioni cattoliche rimasero in Russia, ma in un clima di sospetto e diffidenza che non giovò al loro prestigio. I viaggi che Giovanni Paolo II fece nei Paesi ortodossi furono resi più difficili, e quello che sognava di fare a Mosca fu apertamente boicottato.
Quando venivano interpellati, i russi rispondevano che nulla impediva al Papa di visitare il loro Paese nella sua veste di capo di Stato: un modo per lasciare comprendere che non sarebbe stato accolto come un pastore e non avrebbe avuto il diritto di officiare riti religiosi.
La situazione è cambiata con l’inizio del papato di Benedetto XVI. Papa Ratzinger punta sulla riconciliazione fra le due Chiese, è andato in Turchia per incontrare il patriarca di Costantinopoli, spera di incontrare a Mosca il patriarca russo Alessio II, ha affidato messaggi fraterni al cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani. Il nunzio a Mosca Antonio Mennini ha frenato il proselitismo del clero polacco e lavora da qualche anno a ricucire il rapporto con il patriarcato. Come nei quadri medioevali e rinascimentali, in cui alti prelati portano sul palmo della mano il modello di una chiesa, così i cardinali in visita a Mosca portano in dono una chiesa della loro città che potrà essere destinata al culto ortodosso. L’ultimo dei «re magi» è il cardinale Sepe, arcivescovo di Napoli, che ha portato in dono la chiesa di Nostra Signora del Buon Morire. Questo non significa che la visita di Benedetto XVI in Russia sia ormai questione di date.
Il patriarca di Mosca esita perché, a differenza del vescovo di Roma, governa una Chiesa divisa e turbolenta in cui alcune province (l’Ucraina, l’Estonia, la Bessarabia) sono diventate in tutto o in parte autocefale e alcuni vescovi temono che Roma abbia, nonostante tutto, ambizioni annessioniste.
Ma la guerra fredda è finita e i libri di storia sosterranno che la pace è stata conclusa a Bari il 6 dicembre 2008, nel giorno della festa di San Nicola.

© Copyright Corriere della sera, 30 novembre 2008 consultabile online anche qui.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Cara Raffaella,
mi chiamo Donato e sono un dehoniano laico di 25 anni,credo che tu abbia fatto di tutta l'erba un fascio,perchè io ad esempio amo tantissimo il nostro amato Papa Benedetto XVI e sono favorevole alla celebrazione della S. Messa in lingua latina,non sono assolutamente di sinistra e ti assicuro che l'intero ordine dehoniano non lo è, mi è sembrato anche esagerato l'intervento di quel lettore che diceva addirittura di aver disdetto l'abbonamento alla nostra rivista; non trovo solo giusto il fatto che si sia fermato il processo di beatificazione del nostro fondatore Padre Dehon, l'apostolo del S.Cuore, dopo tutto quello che il compianto Papa Giovanni Paolo II ha detto e fatto a riguardo.
Un saluto in Corde Jesù !!!
P.S. Il mio indirizzo di posta è *******

Mentre il mio blog si trova al seguente indirizzo :
http://donatoriccardi.spaces.live.com
Grazie per l'attenzione.

Raffaella ha detto...

Grazie del contributo che, presumo, riguardi il motu proprio Summorum Pontificum.
Raffaella