martedì 7 luglio 2009
Due anni di lavoro per l’Enciclica. Due anni di testi bocciati da Ratzinger (Rodari)
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ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE": LO SPECIALE DEL BLOG
Due anni di lavoro per l’Enciclica. Due anni di testi bocciati da Ratzinger
lug 7, 2009 il Riformista
Paolo Rodari
Soltanto quest’oggi a mezzodì l’enigma verrà risolto. Solamente questa mattina, cioè, si saprà chi è stato ad aiutare maggiormente Benedetto XVI nella stesura della sua enciclica dedicata ai temi sociali, la Caritas in veritate (la firma è del 29 giugno), delle tre lettere encicliche di Papa Ratzinger la più difficile per ideazione e gestazione. Caritas in veritate: oltre cento pagine di aggiornamento della Populorum Progressio di Paolo VI e, soprattutto, della Centesimus Annus di Giovanni Paolo II.
Nessuna condanna, dunque, del capitalismo come invece è stato ipotizzato in questi giorni in alcune delle innumerevoli anticipazioni dei contenuti del testo papale. Piuttosto, la richiesta esplicita che lo sviluppo economico dei paesi venga attuato secondo tre direttrici tra loro inscindibili: responsabilità, solidarietà e sussidiarietà.
Le stesure del documento sono state svariate: il Papa, infatti, come fu per la sua prima enciclica, la Deus caritas est, si è lasciato coadiuvare parecchio da terzi. Non così, invece, avvenne per la Spe salvi la quale fu frutto integrale del suo scrivere.
La prima bozza della Caritas in veritate arrivò sul tavolo del Papa direttamente dal pontificio consiglio Iustitia et Pax presieduto dal cardinale Renato Raffaele Martino.
Il testo, visto e rivisto anche dal neo arcivescovo di Trieste e fino a pochi giorni fa numero due dello stesso pontificio consiglio, monsignor Giampaolo Crepaldi, non ha soddisfatto appieno il Pontefice che ha rispedito il tutto al dicastero e, insieme, alla segreteria di Stato.
Di qui, dalla segreteria di Stato, la bozza “Iustitia et Pax” è arrivata su due tavoli importunati. Trattando l’enciclica i temi sociali alla luce della «carità» da una parte e della «verità» dall’altra, sono stati coinvolti il pontificio consiglio Cor Unum, presieduto dal tedesco Paul Josef Cordes, e la congregazione per la Dottrina della Fede diretta dal cardinale statunitense William Joseph Levada.
Cordes, come è nella sua indole quando è chiamato ad affrontare questioni di cui è competente, è intervenuto a piè pari. Ovvero, ha stravolto l’impianto della bozza. Più moderati e meno trancianti, invece, le osservazioni giunte dalla Dottrina della Fede, seppure queste non siano state numericamente irrilevanti.
Benedetto XVI, che già dalle vacanze estive del 2007 in quel di Lorenzago di Cadore aveva deciso di dedicarsi a un’enciclica sociale, ha visionato accuratamente la bozza “Iustitia et Pax” alla luce degli stravolgimenti di Cordes e delle osservazioni dell’ex Sant’Uffizio. E il suo giudizio in merito è stato tutt’altro che positivo. Troppo poco, e in modo troppo approssimativo, i testi pervenuti sul tavolo del Papa affrontavano gli scenari apertisi all’improvviso dallo scatenarsi della crisi economico finanziaria nel mondo e le difficoltà sempre più reali (e sempre meno risolte) dei paesi del cosiddetto Terzo Mondo. E così la richiesta del Papa alla segreteria di Stato fu una: coinvolgere nella cosa altra gente, esperti e studiosi.
Anzitutto entrò in scena un salesiano: Mario Toso, rettore magnifico dell’Ups (Università Pontificia Salesiana), esperto di Dottrina Sociale della Chiesa, il cui coinvolgimento non è servito soltanto alla stesura definitiva del testo papale, ma anche a mettere la sua persona in vista. E la cosa è riuscita: Toso, a metà luglio, prenderà il posto lasciato vacante da Crepaldi a Iustitia et Pax. Come sottosegretario del pontificio consiglio, però, risponderà del proprio lavoro non più al cardinale Martino, ma a un porporato africano il cui nome verrà ufficializzato a breve. Su quest’ultimo vige il massimo riserbo, ma si sa per certo che non sarà il tante volte ipotizzato monsignor Robert Sarah. Oltre a Toso, altri studiosi ed esperti sono stati coinvolti nel lavoro dell’enciclica: tra questi il banchiere Ettore Gotti Tedeschi. E poi Stefano Zamagni, docente all’Università di Bologna, presidente dell’Autorità per le Onlus e il Volontariato, e voce ascoltata oltre il Tevere.
Vista la difficile e lunga gestazione, la presentazione odierna dell’enciclica viene vista in Vaticano non senza un certo sollievo. Ma anche con un po’ di rammarico dovuto a una nota singolare. Ovvero al fatto che l’enciclica dedicata ai temi sociali, alla necessità di rivedere gli stili di vita in ottica di responsabilità verso sé e gli altri, esca in un momento difficilissimo quanto alla gestione delle finanze della Santa Sede. La scorsa settimana la commissione cardinalizia che presiede lo Ior ha provato a fare chiarezza sul pesante bilancio (il disavanzo è di quasi un milione di euro) che attanaglia i conti del Vaticano ma nessuno snellimento significativo della curia romana (soluzione che in molti ritengono logica) è stato messo in cantiere. Gli imputati, comunque, erano due: da un parte il cardinale statunitense Edmund Casimir Szoka che, quando era presidente del Governatorato, investì parecchio in prodotti Goldman Sachs. Dall’altra i conti (spaventosi) della Radio Vaticana, un buco difficilmente ripianabile.
© Copyright Il Riformista, 7 luglio 2009 consultabile online anche qui, sul blog di Rodari.
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