lunedì 6 luglio 2009

La libera diplomazia dei Papi (Bobbio)


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Su segnalazione di Elisabetta leggiamo:

La libera diplomazia

Alberto Bobbio

L'insistenza del Papa sul multilateralismo nella lettera ai leader del G8 affonda le radici nella storia della Chiesa del Novecento. La ragione va cercata nella struttura che diventa sempre più internazionale e meno eurocentrica di una Chiesa consapevole del suo radicamento locale nelle diverse realtà e insieme della propria rilevanza e autonomia.
È una coscienza che matura poco a poco in relazione alle grandi prove del mondo.
La Santa Sede comprende, soprattutto a partire di Benedetto XV negli anni della Prima guerra mondiale che la sua funzione è quella di cercare di far dialogare i diversi attori della scena internazionale sotto il segno della cooperazione in vista della pace.
Nell'elaborazione del rapporto con gli Stati e poi con gli organismi sovrannazionali ha sempre avuto la preoccupazione di non confondersi e di mantenere una propria autonomia.
All'inizio ha guardato con sospetto la nascita delle Nazioni Unite, poiché si sentiva estranea alle discussioni politico-ideologiche che hanno contraddistinto la regolazione del mondo nuovo che doveva uscire dalla Seconda guerra mondiale.
Eppure il cattolicesimo non è stato mai sfiorato dall'idea di sentirsi estraneo alla vita dei popoli. Il punto era trovare una soluzione per salvaguardare da una parte la sua autonomia e dall'altra un modo per stare dentro il consesso internazionale con una funzione di stimolo per il bene comune e, nel caso, di mediazione, a volte anche diplomatica, dei potenziali conflitti, che possono stravolgere i diritti dell'uomo.
È Pio XII che si pone la questione della potenza e dell'influsso della Chiesa nel consesso delle nazioni per la prima volta in un discorso del 26 febbraio 1946.
E Paolo VI quando parlerà al Palazzo di Vetro svilupperà proprio quel ragionamento, cioè il ruolo di un'autorità morale, prima ancora che politica e diplomatica.
Questo ripetono tutti i tre Papi che hanno preso la parola al Palazzo di Vetro e questo sottolinea Benedetto XVI nella lettera a Berlusconi.
La Santa Sede è stata sempre preoccupata di rilanciare, in vista dei summit e alle Nazioni Unite, il suo ruolo internazionale, ma solo perché esso si fonda sull'umanesimo cristiano, che non è attento agli interessi dei cattolici, ma si occupa della dignità di ogni uomo.
Sono queste le preoccupazioni costanti per esempio di Giovanni Paolo II, che non esita a criticare pesantemente l'Onu quando approva la guerra contro Saddam dopo l'invasione del Kuwait. Il Papa allora restò totalmente isolato nel contesto internazionale. Qui si rintraccia un'altra caratteristica della posizione della Chiesa. È sempre una «posizione terza«, libera, che non entra nel gioco dei blocchi contrapposti.
Questa posizione si fa più chiara con il pontificato di Montini, che mette in campo una Chiesa «esperta di umanità», che aveva accettato la lezione di Giovanni XXIII sulla pace e quella del Concilio sul ruolo della Chiesa nel mondo contemporaneo.
Ma si precisa ancora anche con Benedetto XVI, che va all'Onu e tratta delle «responsabilità di proteggere», concetto scivoloso, sul quale gli Stati membri si erano accaniti in discussioni per anni.
Il Papa semplicemente spiega che esso è il cuore dell'azione dell'Onu e dell'idea stessa di Nazioni Unite. E quella responsabilità viene rilanciata da Ratzinger in vista del G8.
È la diplomazia multilaterale della Santa Sede, elaborata soprattutto a partire dal pontificato di Giovanni XXIII e dal Concilio, la carta che il Vaticano ha sempre giocato. Essa diventa con Giovanni Paolo II una vera e propria «teologia delle nazioni», una visione che impegna la politica internazionale e l'atteggiamento della Chiesa.
È la stessa teologia che Benedetto XVI pone al centro della lettera al G8 e, probabilmente, della sua terza enciclica.

© Copyright Eco di Bergamo, 6 luglio 2009

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