domenica 21 dicembre 2008

Non è la Chiesa ad alzare i muri con gli intellettuali: Carlo Dignola ripercorre gli ultimi strali contro il Papa (Eco di Bergamo)


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Non è la Chiesa ad alzare i muri con gli intellettuali

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Carlo Dignola

A Pietro Citati piace scrivere quello che gli altri presi dall'urgenza della cronaca, dal flusso impetuoso delle idee correnti, di solito si dimenticano di pensare.
Lunedì Repubblica ha pubblicato un suo articolo che veniva voglia di leggere già dal titolo: «La Chiesa non è sotto assedio».
Citati, che si definisce «un cristiano e un cattolico», per quanto «mediocre» e attivo solo a sprazzi, sostiene che «mai, negli ultimi secoli, l'Italia ha conosciuto una vita cattolica così intensa». Anche se «la gerarchia ecclesiastica pensa che la Chiesa sia una cittadella assediata» attorno alla quale caricano le loro catapulte «gli empi, gli infedeli, i laici cattivi; e dunque bisogna alzare muri, muretti, scavare fossati, puntare cannoni o piccoli fucili, alzare il dito, proclamare principi ed assiomi», Citati è convinto che le cose stiano del tutto diversamente: oggi «il mondo cattolico possiede una straordinaria vivacità e ricchezza: case editrici, letture appassionate, movimenti di ogni specie, missionari, molteplici e ammirevoli opere di assistenza. Oso dire che mai, negli ultimi due secoli, l'Italia ha conosciuto una vita cattolica così intensa». Il nostro vero problema, per l'editorialista fiorentino, è che «viviamo in tempi mediocri», c'è ancora in giro gente di fede ma non è rimasto «nemmeno un pensatore cattolico».
Antonio Socci lo ha voluto subito contraddire, e su Libero il giorno dopo ne ha citati alcuni che, anche se non compaiono spesso nelle pagine di Repubblica , sono senza dubbio di alto livello: «Von Balthasar, Giussani, Del Noce, De Lubac, Fabro, Gilson». Hanno un difetto però: sono morti.
Il sospetto che, in sordina, negli ultimi anni sia in atto una certa defezione dei «chierici», che una difficoltà tra la Chiesa italiana e gli intellettuali esista davvero, potrebbe sorgere. Basta notare che il teologo più famoso d'Italia oggi è Vito Mancuso, che cerca di riscrivere il cristianesimo (compreso qualche dogma) un po' a modo suo; che il pensatore più acuto, quando si parla di faccende cattoliche, si rivela spesso il «non credente» Massimo Cacciari e che il massimo del cristianesimo conosciuto dalle terze pagine dei giornali è, appunto, la raffinata, coltissima, aperta e dialogante gnosi di Citati.
La Chiesa vede da anni le sue gerarchie impegnate a stendere corposi documenti di etica (che poi si risolve ormai essenzialmente nella bioetica) e nel frattempo anche quei pochi pensatori che si contavano ancora in casa cattolica, a sorpresa remano contro. Vittorio Possenti , accademico pontificio nel settore delle scienze sociali e membro del Comitato nazionale di bioetica, da anni portato in palmo di mano da Avvenire , quotidiano dei vescovi italiani, domenica scorsa ha scelto Il Foglio per rendere nota quella che Giuliano Ferrara ha subito descritto come «una svolta radicale»: Possenti scrive che la vita non è sempre un bene assolutamente «indisponibile» e che ciascuno ha il diritto di accettare il proprio limite biologico e morire quando non resta altro che affrontare la propria fine inevitabile/imminente.
Il filosofo politico e morale della Ca' Foscari denuncia con forza i veri e propri «atti di maleficenza» che la scienza medica di oggi può compiere quando vuole «curare a qualsiasi costo». Commenta Ferrara - di cui tutto si può dire tranne che sia poco intelligente: «La discussione innescata dai casi di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro cambia di segno. Fino a ieri si trattava di un conflitto di teoria morale tra agnostici o cattolici "martiniani" da una parte e cattolici o laici "ratzingeriani" dall'altra.
Da oggi diventa un conflitto culturale interno all'establishment del sapere cattolico al quale il professor Possenti appartiene». E si può ricordare che tre anni fa anche Evandro Agazzi , l'unico epistemologo cattolico di rilievo internazionale, in tempi di battaglie sulla Legge 40 scrisse sul Sole 24 Ore che almeno fino a sei giorni di vita «pur avendo una individualità di cellula fecondata della specie umana, lo zigote non ha ancora quella di un individuo umano». Un via libera alla ricerca sugli embrioni, insomma, almeno quelli piccoli piccoli.
Cosa sta succedendo in casa cattolica? Socci è perentorio: oggi, anche tra le persone intelligenti e di cultura - scrive - «c'è una fortissima attrazione per la persona di Gesù e la fede, un fortissimo desiderio di attraversare la porta della Chiesa, ma quella bellissima porta è stretta: il colossale ingombro dell'Ego non permette di passare se non si fa una cura dimagrante che si chiama umiltà». E gli intellettuali hanno di solito due caratteristiche autoevidenti: un Ego ipertrofico, e una spiccata tendenza a invidie divoranti (come quella di Citati per Oriana Fallaci e Marcello Pera).
Lasciata sola in prima linea dai suoi intellettuali, la Chiesa che fa? Fa direttamente politica - scrive Franco Monaco , sempre sul Foglio , che ormai è il giornale ufficiale della controcultura (cattolica e laica): «Toccherebbe ai laici, cristiani e non, nella loro autonomia responsabile, giudicare a proposito degli strumenti (come la legge) più appropriati a perseguire i fini». Invece ad affrontare il fuoco delle polemiche è in continuazione la gerarchia, che non si limita a richiamare i principi di fondo, come fa il Papa, ma scende ormai, in pubblico, in una casistica che certo non entusiasma.
Quella che prevale - ha scritto domenica Marco Politi - è la «Chiesa dei no», che combatte l'aborto, se la prende con gli omosessuali, seleziona le provette lecite e quelle illecite: «Niente ricerca sulle cellule staminali embrionali - elenca il vaticanista di Repubblica -, niente fecondazione in vitro, niente utilizzazione degli embrioni congelati, niente selezione degli embrioni da impiantare nell'utero di una donna anche a rischio di far nascere un bimbo gravemente malato e destinato a morire. No, no, no». Politi arriva persino a riabilitare Pio XII, «un modernizzatore», che ai suoi tempi sdoganò «il parto indolore» e autorizzò le prime messe in lingua nazionale, pur di dimostrare che «il pontificato di Ratzinger è fermo».
L'Osservatore romano gli ha risposto subito per le rime: è stato lo stesso direttore, Gian Maria Vian , a contestare la «caricatura» che ha tracciato del Papa, dipingendolo come un uomo «sordo alla modernità, ostile alle altre religioni, capace solo di avere ripristinato la messa preconciliare in latino e riformato le uniformi della sua gendarmeria».
Stupidaggini che tuttavia «possono fare opinione, prescindendo dalla realtà in modo irresponsabile».
Benedetto XVI - scrive Vian - «è criticato perché non solo sostiene la visione cristiana della vita umana ma perché la dichiara ragionevole e condivisibile anche da molti che cristiani non sono, levando alta e pacata la voce in difesa di ogni essere umano. E questo a molti non piace».
«Repubblica - commenta Ferrara - è particolarmente impegnata, di questi tempi, in un legittimo ma arcigno attacco intellettuale alla chiesa di Ratzinger».
Ma anche il Corriere della sera non scherza: ieri ha dedicato il paginone che apre la sezione Cultura ai «Cattolici lontani dal Papa, veri laici», come Machiavelli e il Conte di Cavour. Pezzo firmato dallo storico gramsciano Luciano Canfora , che auspica la maturazione di un «cattolicismo» d'indole protestante, sostenendo che la stessa religione (quella che serve a regnare, almeno) se sta ben lontana dalle sponde del Tevere ne guadagna in salute, respira meglio.
Ha reagito anche Avvenire , affidando a Francesco D'Agostino una replica alle tesi di Vittorio Possenti.
Marina Corradi ieri è tornata sul Caso Englaro con un bellissimo articolo che commentava il caso di Greta Nicolini, la ragazza di Torino che da uno stato vegetativo simile a quello di Eluana ha recuperato un barlume di coscienza. Ha paragonato il lieve movimento di quel corpo che ritorna dal nulla al risvegliarsi di Lazzaro, dipinto dal Caravaggio, scorgendo «nel minimo alzarsi di una mano la evidenza che la vita di ogni uomo è un mistero, più grande di ogni positivistico problema, e di quello - ben poco - che sappiamo» sulla natura della vita e sui suoi veri confini.
Roberto Colombo chiede ora una legge che distingua bene la rinuncia a cure senza speranza dal dovere, che mai viene meno, di fornire acqua e cibo agli ammalati.
Il paesaggio nel quale si svolge tutto questo dibattito, però, è la crescente sensazione che alla battaglia, vinta tre anni fa, in difesa della Legge 40, abbia fatto seguito uno smottamento di vaste proporzioni.
Basterebbe osservare Bruno Vespa come conduce le discussioni di etica, alternate a quelle sul gossip, nel suo salotto serale per rendersene conto. Anche tra i cattolici, su molte questioni etiche, quelli che seguono la Chiesa sono pochi.
Il sociologo Franco Garelli sulla Stampa ha scritto che Benedetto XVI sta pensando sempre più a una Chiesa decisa e chiara nelle sue posizioni, in dialogo aperto con un mondo che va ormai per la sua strada, anche se non è affatto insensibile al tema religioso. Una specie di Chiesa cattolica calata mani e piedi in una realtà sociale come quella degli Stati Uniti, in cui la tradizione ormai è saltata eppure «le religioni hanno larga cittadinanza nella sfera pubblica e alimentano l'ethos della nazione». Una Chiesa identitaria e al tempo stesso liberale, ferma ma non rigida, che trova ascolto tra le menti più sensibili del mondo laico: una Chiesa che torna a parlare soprattutto al cuore dell'uomo.
Nel mondo - come scriveva proprio Pietro Citati domenica scorsa - «esiste una cosa indicibile che si chiama grazia»: essa «è una luce, un barlume che talvolta ci visita (non sappiamo perché né quando)».
Non nasce dalle mani dell'uomo: «Ci viene data, e noi dobbiamo tenerla carissima». La Chiesa non è un'agenzia morale, e neppure un partito che propone una vita sociale migliore. Ma un fiume d'acqua che sgorga da una fonte non conosciuta e che nel tempo trasforma le cose, nei secoli cambia anche la storia, portando uno sguardo diverso, più grande, sull'uomo. Anche sulle persone più fragili, delle quali nessuno ha più voglia - né tempo, né soldi - di prendersi cura.

© Copyright Eco di Bergamo, 21 dicembre 2008

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