domenica 15 marzo 2009

Rilancio economico e sviluppo sociale per l'Angola che attende la visita di Benedetto XVI (Osservatore Romano)


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Rilancio economico e sviluppo sociale per l'Angola che attende la visita di Benedetto XVI

Un cammino di rinascita dopo trent'anni di guerra civile

di Mario Ponzi

"Bento XVI abençoa a nossa terra, Benedetto XVI benedici la nostra terra". Era notte già avanzata quando i vescovi della conferenza episcopale dell'Angola e di Saõ Tomé, al termine di una riunione fiume per un'assemblea straordinaria - convocata a Luanda alla fine dell'anno scorso - hanno scelto questo motto per la visita del Papa al Paese che, come è noto, si svolgerà dal 20 al 23 marzo.
Monsignor Eugenio Dal Corso, vescovo di Benguela e portavoce della conferenza episcopale, ha rivelato questo particolare con il tono di chi vuol lasciar capire quanto ponderata sia stata la scelta. Dunque anche se potrebbe sembrare un lemma un po' scontato - quanti fedeli non si augurerebbero che il Papa benedicesse la propria terra? - questa frase in realtà racchiude in sé tutte le angosce e tutte le speranze che gli angolani appuntano a questo evento.
Dilaniata da circa trent'anni di una sanguinosa guerra civile, l'Angola sta disperatamente cercando di risalire la china. Da qualche anno è fortemente impegnata in un programma di risanamento e di realizzazione di quelle infrastrutture necessarie per il rilancio economico non tanto del Paese, quanto piuttosto della popolazione.
La nazione infatti è sicuramente tra le più ricche dell'Africa, ma la gente continua a lottare per la sopravvivenza.
Affiancata dalla Nigeria nel contendersi il primato nell'estrazione del petrolio africano - soprattutto dopo la positiva soluzione della controversia sull'enclave di Cabinda, la vera spugna petrolifera della regione - l'Angola ha tuttavia costruito la sua storia nel bene e, forse soprattutto, nel male sulle risorse costituite dai giacimenti diamantiferi alluvionali. Non è il contesto, questo, per approfondire i motivi per i quali, i diamanti angolani, sono diventati famosi e conosciuti nel mondo come "i diamanti insanguinati". Basti ricordare che gli abitanti locali, hanno sempre incontrato serie difficoltà a vedersi rispettati diritti semplici, come la possibilità di coltivare terreni, di abitare o anche soltanto di attraversare certe zone per non creare possibili disturbi alle imprese che estraggono i diamanti. Aziende quasi sempre legate a doppia mandata con poteri forti, un tempo anche con gruppi armati, e oggi soprattutto con le multinazionali. E anche laddove esistevano giacimenti nei quali era tollerata la ricerca e l'estrazione artigianale dei diamanti, difficilmente la popolazione locale ha mai potuto far valere il suo diritto davanti alle angherie di certi "uomini forti".
Resta comunque il fatto che l'Angola è ormai il quarto produttore di diamanti nel mondo. Nel 2006 la produzione è stata di oltre 10 milioni di carati; per il 2009 le previsioni si aggirano attorno ai 20 milioni di carati.
Ed è un trend che riguarda un po' tutta l'economia angolana. Da quando il Paese vive in un clima di pace, o almeno da quando non c'è più una guerra combattuta sul campo - in pratica dal 2002 - la crescita dell'economia nazionale ufficiale sfiora il 25 per cento all'anno. Da un'inflazione che nel 2003 viaggiava intorno al 98 per cento, si è arrivati all'attuale 10 per cento. Sono stati aperti mercati sulle piazze più prestigiose del mondo, Cina compresa. Ma non solo. È stato per esempio varato un piano per rilanciare l'agricoltura; si stanno asfaltando migliaia di chilometri di strade; in progetto ci sono la costruzione di numerosi nuovi aeroporti, di una complessa rete ferroviaria e di ben sei nuovi porti sull'Atlantico.
Insomma c'è un movimento che lascia ben sperare per il futuro. A patto che i benefici di tutto questo sviluppo ricadano poi effettivamente sulla popolazione, cioè su quel 99 per cento di nullatenenti, su quel 12 per cento che riesce se non altro a sopravvivere, su quel 70 per cento che non ha sufficienti mezzi per vivere in modo degno dell'uomo o su quanti non hanno proprio di che sopravvivere, tipo le migliaia di profughi ammassati nei campi alla periferia di Luanda. Si tratta insomma di riequilibrare le sorti di tutta la popolazione se non si vuole correre il rischio di trasformare la gran parte del popolo angolano in sconfitti della pace.
Le speranze sono riposte tutte nel nuovo assetto socio-politico che si è dato il Paese con le ultime elezioni democratiche. Nel corso di quest'anno ci saranno poi le elezioni presidenziali, anche se è difficile pensare a un cambiamento in questo senso. Tuttavia i presupposti per una definitiva inversione di rotta sembrano esserci tutti.
Dal canto suo la Chiesa non ha mai cessato di accompagnare, come meglio ha potuto, la popolazione, assicurando assistenza spirituale e materiale a tutti, senza alcuna distinzione. Durante gli anni della guerra è stata sempre in prima linea quando c'era da compiere ulteriori sforzi per la pace e in varie occasioni non ha mancato di offrire la propria mediazione tra le parti in guerra pur di risolvere le controversie. Verso la fine degli anni novanta la voce della Chiesa si fece sentire ancor più forte nel chiedere apertamente la fine della guerra e nell'incoraggiare le parti in conflitto a scegliere la strada del negoziato. Anche in questa fase del dopo guerra offre tutta la sua disponibilità nel cooperare alla costruzione di una società migliore, fondata sul perdono, sulla riconciliazione, sulla pace, sulla giustizia sociale.
Anche per questo la Chiesa cattolica è vista in Angola come una realtà fondamentale dalla maggioranza degli angolani, dunque fedeli e non. Secondo un sondaggio realizzato nel marzo dello scorso anno dalla Bbc, il 78,3 per cento degli intervistati nelle sei province del Paese ha dichiarato di aver fiducia nelle istituzioni religiose, in particolare in quelle cattoliche.
Forte oggi anche dell'esperienza vissuta nel giugno del 1992 quando Giovanni Paolo II - cogliendo l'occasione di una pausa nei combattimenti - si fermò per sei giorni nel Paese, la Chiesa che è in Angola si augura che la prossima visita di Benedetto XVI possa "essere veramente una benedizione del Signore - dicono i vescovi - affinché si possa riaccendere la speranza andata delusa a poco a poco dopo quei giorni di festa della fede, e il popolo angolano possa riacquistare la forza necessaria per camminare più decisamente verso lo sviluppo. Quello spirituale prima di ogni altra cosa perché è da un cuore rinnovato che nasce e si alimenta la speranza cristiana".
"Siamo stati benedetti dalla divina Provvidenza - ha detto pochi giorni fa il cardinale Alexandre do Nascimento, arcivescovo emerito di Luanda, profondo conoscitore delle vicende del suo popolo - ma ora dobbiamo essere capaci di rispondere degnamente. Oggi questa benedizione alla nostra terra si rinnova con l'arrivo di Benedetto XVI. Dobbiamo essere capaci di cogliere anche questa nuova opportunità".
Anche monsignor Guimarães Kevanu, vescovo di Ondjiva, in un messaggio ai fedeli della sua diocesi ha voluto innanzitutto porre la visita del Papa sotto il segno della speranza. "Il Santo Padre - ha affermato - verrà in Angola per stimolare e rafforzare i fedeli nella ricerca dell'amore per il prossimo e per riproporre il senso vero della fraternità. Ma verrà anche per lasciare un messaggio di pace ai governanti del Paese affinchè riscoprano il cammino della riconciliazione e dell'unità nazionale". Benedetto XVI "viene a portare - ha detto ancora - tranquillità spirituale e un messaggio di fraternità, di armonia e di pace nei cuori angolani affinchè sappiano salvaguardare e valorizzare tutte le conquiste del Paese ed essere d'esempio per le altre nazioni africane e del mondo intero".
La commissione incaricata dall'episcopato di organizzare tutte le iniziative in attesa della venuta del Papa è al lavoro da tempo. Secondo le indicazioni ricevute dalla conferenza dei vescovi tutte le iniziative dovranno avere un carattere preminentemente spirituale. E su questa strada si sono già incamminate le diverse componenti interessate. Per esempio la pastorale giovanile ha promosso una serie di incontri durante i quali riproporre la figura del Papa, l'importanza del ministero petrino, i principi della dottrina sociale della Chiesa, alla cui organizzazione è stata chiamata a collaborare l'Università cattolica dell'Angola.
Oltre all'approvazione del motto la Conferenza episcopale ha approvato il testo della preghiera ufficiale della visita e ha dato anche l'autorizzazione alla coniazione di un'apposita medaglia commemorativa. Illustrando i programmi monsignor Dal Corso si è detto infine convinto "che la visita del Papa darà frutti concreti e meravigliosi, tanto più grandi e abbondanti quanto più intensa e profonda sarà la nostra preghiera".

(©L'Osservatore Romano - 15 marzo 2009)

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