sabato 14 marzo 2009
La Chiesa che è in Angola si prepara ad accogliere il Papa il 20 marzo a Luanda (Osservatore Romano)
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La Chiesa che è in Angola si prepara ad accogliere il Papa il 20 marzo a Luanda
Una comunità cresciuta tra difficoltà e privazioni
di Mario Ponzi
Nell'atrio antistante la sacrestia della basilica romana di Santa Maria Maggiore, c'è un piccolo mausoleo nel quale sono conservate memorie del marchese Antonio Manuel Ne-Vunda, ambasciatore del re del Kongo presso Paolo V. Morì nella notte tra il 5 e il 6 gennaio del 1608, proprio alla vigilia dell'incontro ufficiale con il Papa. Paolo V conosceva il motivo di quella visita; sapeva che l'ambasciatore era venuto per chiedergli una grazia: inviare missionari nella sua patria, il Kongo, una terra scoperta nel 1483 da Diego Cão e divenuta cristiana otto anni dopo quando lo stesso re, Nzinga Nkuvu, sua moglie ed otto dignitari chiesero di essere battezzati.
Paolo V fu colpito dalla morte di quell'ambasciatore, tanto che dispose che fosse seppellito nella Basilica Liberiana e fece coniare una medaglia commemorativa con la sua effigie nel dritto e con quella dell'inviato del re nel retro, raffigurato mentre, in ginocchio, gli chiedeva operai per la messe del Signore in una terra tanto lontana.
Antonio Manuel dal Papa era venuto anche per ringraziare per il dono dell'evangelizzazione. Avrebbe anche voluto confidare che il cristianesimo aveva trovato in Kongo quel buon terreno di cui si parla in una parabola del Regno. In pochi anni erano state battezzate oltre due milioni di persone "nonostante le difficoltà che le cose nuove incontrano dove le tradizioni sono più immutabili dell'orbita delle stelle". Ma ora, ne era convinto il nobile signore, bisognava insistere e occorrevano forze nuove.
Il cammino del Vangelo in quelle terre era stato fino a quegli anni costante. Nonostante la conversione del re si fosse rivelata un fuoco di paglia, la Provvidenza aveva volut0, tuttavia, che il figlio del re, Mbenza Nziga, Alfonso il suo nome di battesimo, raccogliesse molto intimamente l'invito del Vangelo. Lo storico portoghese João Barro lo definisce "il principe cristiano che ebbe un ruolo di apostolo, evangelizzando e convertendo egli stesso gran padre del suo popolo". Uno dei suoi figli, Enrico, fu addirittura consacrato vescovo a Roma da Papa Leone x. Fu il primo vescovo dell'Africa nera. Purtroppo morì giovane, a 26 anni, solo tre anni dopo la sua ordinazione. E "fu un danno enorme - nota lo storico - per la nascente Chiesa locale perché lo riteneva fonte di consolazione per tutto il regno".
Sino a quel momento l'apostolato missionario nella regione era stato esercitato da preti secolari, francescani, domenicani, terziari regolari e canonici dell'ordine di san Giovanni evangelista, tutti portoghesi. Nel 1500 cominciarono ad arrivare i gesuiti. Ma si fermarono solo pochi anni perché nel 1509 preferirono spostarsi più verso la costa angolana.
In quel tempo l'area geografica che oggi costituisce l'Angola, era occupata da diversi regni, più o meno indipendenti. E uno di questi, il Kongo appunto, comprendeva parte dell'allora Zaire occidentale, tutto il nord dell'Angola e la metà meridionale del Congo-Brazzaville. Con l'uscita dei gesuiti a poco a poco l'evangelizzazione cominciò a diffondersi verso tutto il litorale angolano e nel 1575 Paulo Dias de Novais fondò Luanda, dove si insediarono anche i gesuiti giunti al seguito dell'esercito.
La seconda metà del XVIi secolo segnò l'inizio di un periodo di decadenza nell'attività missionaria. La situazione politica ebbe una forte influenza sull'azione religiosa. Luanda e quasi tutto il litorale dell'Angola, furono occupati dagli olandesi, protestanti calvinisti. Questa occupazione portò alla distruzione di varie opere della Chiesa e al trasferimento di intere popolazioni.
Una volta ripristinato il controllo portoghese, nel 1648, l'Angola divenne in pratica un dominio del Brasile, che in Africa aveva trovato il mercato di schiavi di cui aveva bisogno per la coltivazione dei campi e in seguito per il lavoro nelle miniere.
Il XVIii secolo fu segnato da una profonda decadenza, soprattutto con l'espulsione dei gesuiti e con la crisi degli ordini religiosi in quasi tutta Europa.
I sacerdoti diocesani, angolani, portoghesi e brasiliani, che si trovavano in Angola erano insufficienti e generalmente mancava loro organizzazione, zelo missionario e metodi adeguati all'apostolato missionario. La chiusura delle case religiose in Portogallo ad opera del Governo liberale nel 1834 procrastinò di molti anni la speranza di una ripresa.
In quegli anni si susseguivano gli appelli dei vescovi angolani, ognuno cercava aiuto per la sua "moribonda diocesi" per mancanza di missionari. Addirittura a metà del xix secolo, circolava tra i vescovi della zona l'impressione che ormai delle missioni in Angola e in Congo restasse solo la memoria. In realtà il numero dei sacerdoti raggiunse l'indice più basso nel 1853: 5 angolani, di cui 4 a Luanda e 1 a Benguela. Le antiche parrocchie e chiese era quasi tutte scomparse; di missioni nell'interno non ve ne era nessuna.
Un nuovo impulso alla vita della Chiesa angolana, dopo alterne vicende, lo dette l'arrivo dei primi missionari di padre Schwindenhammer, il superiore generale della nuova congregazione missionaria dello Spirito Santo. Arrivarono a Luanda nel 1865 e da lì si estesero poi a sud, svolgendo un lavoro meraviglioso.
Dal 1885 sino al 1910 la vita religiosa si svolse con una certa intensità. Nel 1908 cominciarono a giungere in Angola le suore Francescane Missionarie di Maria, tuttora presenti nel Paese. Il loro arrivò inaugurò un'altra pagina gloriosa nella storia ecclesiale angolana. Il numero dei missionari - sacerdoti, frati e suore - aumentò progressivamente e le popolazioni cominciarono ad aprirsi, senza timori ancestrali, all'evangelizzazione. Da questo movimento rimasero tagliate fuori alcune popolazioni che, a causa delle diverse guerre di occupazione del territorio, fu impossibile per i missionari raggiungere.
Il 5 ottobre 1910 la rivoluzione repubblicana in Portogallo portò alla soppressione degli istituti religiosi, di seminari e dell'insegnamento religioso nelle scuole, la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici, l'imposizione del matrimonio civile, la legalizzazione del divorzio, ecc. Allo stesso tempo s'intensificò la propaganda contro la Chiesa e la vita cattolica.
In Angola, queste leggi e la campagna antireligiosa trovarono numerosi adepti, anche fra le autorità. Vari missionari, soprattutto stranieri, furono perseguitati. Furono anche espulse le religiose che lavoravano a Luanda e a Moçâmedes e soppressi i sussidi che lo Stato aveva concesso a diverse missioni e ad altre istituzioni cattoliche.
La situazione perdurò sino a quando, nel 1940 la Santa Sede e il Governo Portoghese sottoscrissero alcuni accordi, in virtù dei quali, nei successivi 28 anni (1940-1968), la Chiesa vide crescere il numero dei sacerdoti angolani, da 8 a 71.
I missionari si adoperarono moltissimo per la promozione delle popolazioni. In modo particolare per l'alfabetizzazione delle popolazioni indigene e ciò nonostante i mille ostacoli che gli si frapponevano. Così scuole, botteghe e lavoro nei campi erano, oltre al catechismo, erano le attività più frequenti nelle missioni, e spesso gli unici centri d'insegnamento intellettuale e professionale per la maggior parte delle popolazioni rurali.
La guerra d'indipendenza, che durò 13 anni, recò grandi sofferenze ma anche molti benefici. Fu soppressa la legge dell'indigenato. Le scuole ufficiali furono aperte a tutti. I lavoratori cominciarono a essere trattati in modo più decente. Furono costruiti strade e aeroporti.
Negli anni sessanta la Chiesa si trovò a dover affrontare l'esodo dalle campagne per inseguire il miraggio delle grandi città. Fu in questo periodo che si mostrò l'importanza del lavoro che potevano svolgere i catechisti. Se ne formarono a centinaia sulla scia degli insegnamenti del concilio Vaticano ii.
Non meno importante fu l'intervento della Chiesa per assicurare assistenza sanitaria alle popolazioni. Negli ospedali richiedevano sempre la presenza delle suore negli ospedali, così come nei centri di igiene e sanità e negli ambulatori.
Ma perché il lavoro della Chiesa potesse risultare fecondo, erano necessarie strutture. L'accordo missionario sottoscritto nel 1940 consentì la creazione di diverse diocesi. L'esplosione della guerra rallentò però notevolmente il lavoro. Ciononostante l'opera proseguì alacremente tanto che Paolo VI, nel 1975, poté creare altre quattro nuove diocesi e la popolazione per il 52 per cento si dichiarava cattolica. E tuttavia la situazione rimase molto difficile, perché era difficile per il Paese. In poco tempo i padri diocesani portoghesi furono costretti quasi tutti a tornare in Portogallo. La maggior parte delle strutture cattoliche scomparvero. I servizi delle nuove curie diocesane erano disorganizzati. I seminari vuoti. I noviziati femminili abbandonati. Molte diocesi avevano un clero ridotto a 3 o 4 unità. Saurimo era addirittura senza sacerdote.
Per fronteggiare la situazione il 2 marzo 1977 la Santa Sede procedette alla riorganizzazione della Chiesa in Angola con la creazione di nuove province ecclesiastiche con sede, seguite dalla nomina di nuovi vescovi e da alcuni trasferimenti. Un intervento che ha dato certamente i suoi frutti: la Chiesa sta rifiorendo in tutto il Paese ed ora si accinge a mostrare al Papa il suo nuovo volto.
Una vocazione maturata nei secoli
Attualmente la Chiesa in Angola può contare su 18 circoscrizioni ecclesiastiche. L'arcidiocesi di Luanda ha come suffraganee le diocesi di Cabinda, Mbanza Congo, Uije, Malanje, Saurimo, Novo Redondo e Ndalatando; l'arcidiocesi di Huambo ha come suffraganee la diocesi di Benguela, Kwito-Biè e Lwena; l'arcidiocesi di Lubabgo ha come suffraganee le diocesi di Menongue e Ondjiva. Su una popolazione di quindici milioni e mezzo di abitanti i cattolici sono circa otto milioni e seicento mila. Al 31-12-2008 i vescovi erano ventuno. 443 sono i sacerdoti diocesani; 351 quelli religiosi; i religiosi non sacerdoti sono 98; le religiose professe sono 2.178; i catechisti sono 30.934. 1031 sono i seminaristi minori; 1.236 quelli maggiori. Le parrocchie distribuite sul territorio angolano sono 307; 2.976 i centri pastorali di altro genere.
Tra i centri d'istruzione sono gestiti dalla Chiesa 348 scuole materne e primarie con 168.798 alunni; 121 medie inferiori e secondarie frequentate da 52.535 alunni e 12 tra istituti superiori e università che contano 5.465 studenti.
Numerosi sono anche i centri caritativi e sociali di proprietà o gestiti direttamente da enti o da congregazioni religiosi. In tutto il Paese 23 ospedali sono stati aperti da enti religiosi. Inoltre sono stati aperti 269 ambulatori, 4 lebbrosari; 16 case di ricovero e cura per anziani e minorati; tra le istituzioni per i bambini 45 sono gli asili e gli orfanotrofi. Vi sono inoltre 37 consultori familiari e altri centri di protezione della vita, più 28 centri speciali di educazione o di rieducazione sociale e 41 altre istituzioni.
(©L'Osservatore Romano - 14 marzo 2009)
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