mercoledì 22 aprile 2009

Due Papi a confronto: analisi lessicale dei discorsi dei Pontefici (Smargiassi)


Su segnalazione di Alessia leggiamo la seguente analisi di Smargiassi per "Repubblica".
Vale la pena di soffermarsi sull'articolo a prescindere dai soliti luoghi comuni fra il Papa "caldo" ed il Papa "freddo" che ormai lasciano il tempo che trovano e vengono contraddetti dallo stesso autore nel momento in cui afferma che Benedetto XVI sorride di piu'.

DUE PAPI A CONFRONTO Così i linguisti studiano le loro parole

MICHELE SMARGIASSI

Repubblica — 22 aprile 2009 pagina 44 sezione: CULTURA

Il papa «caldo» e quello «freddo».
Imbarazzante ma impossibile da ignorare, il confronto è ormai un luogo comune anche tra i credenti di buona volontà. Una giovane linguista, Antonella Pilia, propone una spiegazione scientifica delle differenze umane e pastorali tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Un papa, (sempre, nell' era mediatica di più) è per la moltitudine dei fedeli soprattutto un' immagine parlante; dunque gli strumenti semiologici dell' analisi testuale e gestuale possono essere applicati almeno ai suoi prodotti linguistici: discorsi e apparizioni pubbliche.
Ed è appunto questo l' esperimento dello studio di Pilia: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI tra lingua e comunicazione: continuità nella diversità, in uscita sul quinto numero della rivista Lid' o (diretta da Massimo Arcangeli per Bulzoni).
Il risultato, diciamolo subito, conferma l' impressione popolare. Vero: è Wojtyla il carismatico, emozionale filosofo-pastore-attore; Ratzinger è l' autorevole, raentrambi: pace, comunione, amore, carità, riconciliazione, unità, solidarietà, fiducia, speranza, vita: nessuno dei terminichiave del magistero è esclusiva dell' uno o dell' altro. Qualche predilezione, qualche accento, questo sì: Benedetto ama nomizionale teologo-pescatore-educatore.
Ma gli elementi della discontinuità non stanno nel cosa, bensì nel come dei rispettivi messaggi. L' esito del confronto lessicale, ad esempio, rivela che il serbatoio concettuale e retorico è ampiamente condiviso da nare la Chiesa, in terza persona, più spesso di Giovanni Paolo che invece coinvolge se stesso, l' istituzione e i fedeli in un noi collettivo. È pure significativo che solo Wojtyla dia del Tu a Dio (sei volte nel corpus di discorsi esaminato), mentre Ratzinger non lo fa mai (viceversa, il secondo nomina Gesù molto più del primo, che preferisce Cristo ).
Per vedere i due discorsi pastorali divergere bisogna frugare nella struttura del testo, perfino nella punteggiatura.
Basterebbe la complessità della prosa di Ratzinger (la ricchezza di metafore, la misura dei suoi discorsi, che contano il doppio di frasi rispetto al predecessore; la lunghezza media di ogni frase, di 20,94 parole in media per l' ex papa, di 27,06 per quello in carica) per qualificarlo come l' intellettuale, il professore, rispetto al paratattico, diretto Wojtyla, che scrive "in verticale", inanellando periodi come versi di una poesia. Ma c' entrano anche le virgole, e i due punti di cui Ratzinger abbonda; o le costruzioni sintattiche (Ratzinger ama anteporre l' aggettivo al sostantivo: «eterna bontà», «fondamentale bene»; mentre Wojtyla dà forza allocutiva alle sue definizioni omettendo gli articoli: «vero Dio incarnato per nostro amore»). E contano, tantissimo nell' era visuale, anche i gesti, para-testo espresso con le mani e il viso. Il "gestuale" Wojtyla nel suo periodo "atletico" brandisce il bastone pastorale come la bacchetta di un direttore d' orchestra; nel periodo sofferente non trattiene il dolore, i gesti di stizza per il corpo che tradisce, e trasmette così un potente messaggio di umanità.
Ma il pur tanto "verbale" Ratzinger non è privo di analoghe armi: sorride di più del suo predecessore dall' espressione sempre intensa e concentrata; alza gli occhi al cielo, ritma con la mano destra i passaggi del discorso, anzi li mima (dice "uno" e alza il dito indice) come un maestro che vuole farsi capire bene. La bilancia comunicativa, insomma, non pende decisamente per l' uno o per l' altro. Resta che, se per Cristo (meglio Gesù?) fino alla fine dei tempi nella Legge non cambierà «né una iota né un' apice», le parole dei suoi vicari nel tempo cambiano, eccome.

© Copyright Repubblica, 22 aprile 2009 consultabile online anche qui.

4 commenti:

mariateresa ha detto...

Hai ragione mia cara amica, l'incipit del papa freddo e del papa caldo non c'entra niente con il resto dell'articolo che, peraltro rischiava di apparire troppo positivo per il nostro Benedetto. Aggiungici quello di Politi sotto (confesso di aver pensato a un omonimo o a uno scherzo) e il quadro è più chiaro.
Per quanto riguarda Politi anche se non nego la mia meraviglia non mi sento certo di esultare: dopotutto P. non ha mai detto che le omelie del papa sono delle schifezze o che è un teologo melenso.Quindi stiamo calmi e non sogniamoci delle svolte che sono contraddette da 4 anni di veleni.
Curiosità: il richiamo al pessimismo di S. Agostino è identico sputato a quello che ha scritto l'inviata della Croix a Roma. Esistono analisi che evidentemente si usano come kit alla bisogna.

Raffaella ha detto...

Concordo!
Nessuna illusione...segnaliamo ma restiamo sull'uscio della porta di Repubblica :-)
Strano che i piu' grandi teologi della storia vengano considerati dei pessimisti...
Io li definisco realisti, forse perche' le lenti rosa non mi sono mai piaciute...
R.

don Marco epistemologo ha detto...

non so dove abbia trovato il tempo l'autore per scrivere tutte queste amene considerazioni.
Se cambiamo i nomi dei Papi..... che ne so..... Pio XI e Pio XII o Benedetto XV e Pio X i conti tornano.
Sfoggio accademico inutile

Anonimo ha detto...

Cari amici, vorrei solo sottolineare il fatto che l'articolo di Smargiassi è interamente basato (sfoggi accademici a parte) su un saggio che ha per oggetto il confronto linguistico e comunicativo tra gli ultimi due papi, ad opera di una "giovane linguista"!