giovedì 30 aprile 2009
Il Papa in Abruzzo: Ricostruire la speranza (Scelzo)
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L’ANALISI
Ricostruire la speranza
Angelo Scelzo
Già quasi sulla rotta del pellegrinaggio in Terrasanta, Benedetto XVI, davanti al calvario e ai tanti muri del pianto dell’Aquila, ha messo da parte le parole e ha fatto parlare la preghiera.
Tutto ciò che aveva di fronte - non solo case sgretolate ma anche coscienze scosse e uomini ancora smarriti che gli si facevano intorno come a cercare un riparo - confinava con l’inesprimibile: il dolore e la sofferenza, in mezzo ai tanti drammi del nostro tempo, hanno ormai il corollario di un vocabolario diventato consunto.
La Chiesa conosce il linguaggio dell’anima, e il Papa lo ha magistralmente messo in campo per trasformare quella che, per distanza chilometrica poteva definirsi una visita fuori porta, in uno dei pellegrinaggi più eloquenti del suo pontificato.
«Padre Santo, Signore del cielo e della terra, ascolta il grido di dolore e di speranza che si leva da questa comunità duramente provata dal terremoto! È il grido silenzioso del sangue di madri, di padri, di giovani e anche di piccoli innocenti che sale da questa terra…». Più che una preghiera, un’invocazione; il modo di porsi accanto a chi è stato ferito e provare a dar voce alle loro domande. Anche a quelle più impegnative ed esigenti per la stessa fede: «Dov’era Dio in quella terribile notte?». Neppure al Papa era possibile chiedere una «ragionevole» spiegazione del dolore che si è riversato, all’improvviso, sulla gente abruzzese. Ma il linguaggio dell’anima non poteva che riportare al tempo pasquale e considerare che, tra le insondabili strade con cui la sofferenza accompagna - e talvolta circonda - l’uomo, nessuna può andare più lontano e più a fondo della sequela della Croce, il mistero che ha generato non la sconfitta ma la speranza cristiana. Nel fondamento di questa speranza è il senso dello straordinario pellegrinaggio in terra d’Abruzzo.
Perché anche l’altissimo profilo spirituale - per essere autentico - non poteva lasciare indietro il versante della responsabilità, la necessità di un «serio esame di coscienza» per tutta la comunità civile. E declinando la speranza al futuro, Benedetto XVI non ha potuto fare a meno di collegare la rinascita della terra abruzzese alla costruzione di case e di chiese non soltanto belle ma «solide». Per le sue vicissitudini storiche, oltre che per la statura di molti suoi personaggi, l’Abruzzo è da sempre nel cuore della Chiesa; dalla terribile notte del 6 aprile, le sue macerie sono diventate il santuario a cielo aperto della sofferenza e del dolore.
Benedetto XVI ha lasciato passare il tempo della primissima emergenza prima di raggiungere le zone terremotate, ma la sua vicinanza - pur nei modi umili e discreti che gli sono congeniali - è stata intensamente avvertita. Pochi altri momenti di tutto il pontificato sono riusciti a trasmettere il senso di una così alta e intensa sintonia spirituale: quel «vorrei abbracciarvi tutti» non è parsa la frase di un discorso da leggere, ma la commovente confessione di una verità, in quel momento, sotto gli occhi di tutti.
Gli inevitabili disagi di una visita avventurosa fin dall’inizio, con intorno il panorama di rovine ancora incombenti e, accanto, il respiro di una folla commossa ma anche confusa e smarrita, hanno accentuato, più che mettere in ombra, i gesti di un Papa che si è trovato immerso con straordinaria spontaneità e naturalezza in una realtà che, allo stesso tempo, evocava tragedia e speranza. E davvero accanto a papa Benedetto si è potuta scorgere, non da lontano, ma sul campo - già da tempo all’opera nel comparto della solidarietà - tutta la Chiesa, accorsa a rendere omaggio anche al carattere e alla generosità della terra d’Abruzzo. Anche per questo è parso già profilarsi dalle zone terremotate l’ormai imminente pellegrinaggio in Terra Santa. Come non considerare questa sosta al calvario d’Abruzzo come un viatico alla ricerca di pace nella terra - insanguinata - della nascita di Cristo? E quale muro del pianto è oggi più eloquente dell’ammasso di pietre sgretolate di case e di chiese, di fabbricati che radunavano e custodivano affetti familiari o che parlavano dell’arte insigne e dei valori di questa città e della regione? E, inoltre, non è l’Abruzzo oggi la «terrasanta» di un dolore che, proprio nei giorni e nell’attesa della Pasqua, ha fatto drammaticamente rivivere all’umanità il tempo di una via crucis ancora in atto? Il messaggio che Benedetto XVI ha deposto accanto ai tanti muri del pianto abruzzesi non poteva, dunque, che avere il segno di una speranza da porre come pietra d’angolo della rinascita. Se hanno un valore in sé le parole e i gesti del Papa - e la stola d’inizio pontificato lasciata accanto all’urna di Celestino V nella Basilica di Collemaggio è stato un simbolo che si ricorderà a lungo - il segno forte riguarda innanzitutto la sua presenza; il fatto che Benedetto XVI, padre della fede dei cristiani, abbia condotto la sua chiesa, guidandola di persona, nei luoghi dove l’uomo è ferito e la comunità ha bisogno di riprendersi dallo smarrimento che l’ha colpita. Il modo più efficace e suggestivo per dire che la Chiesa parla e agisce. Ma prima di tutto prega.
© Copyright Il Mattino, 29 aprile 2009 consultabile online anche qui.
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