venerdì 22 maggio 2009

Mons. Rino Fisichella: Ha un futuro il Cristianesimo in Europa? (Liberal)


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Ha un futuro il Cristianesimo in Europa?

di Rino Fisichella

[22 maggio 2009]

Credo che sia un errore considerare la religione cattolica come un nemico naturale della democrazia. Mi sembra invece che, fra le varie confessioni cristiane, il cattolicesimo sia una delle più favorevoli all'eguaglianza delle condizioni...
In materia di dogmi il cattolicesimo pone tutte le intelligenze allo stesso livello; costringe a seguire i particolari delle stesse credenze il saggio come l'ignorante, l'uomo di genio come lo zotico; impone le stesse pratiche al ricco e al povero; infligge le stesse austerità al potente e al debole; non scende a patti con alcun mortale e, applicando a ogni uomo la stessa misura, ama confondere tutte le classi ai piedi di un unico altare, allo stesso modo che esse sono confuse agli occhi di Dio. Se il cattolicesimo dispone i fedeli all'obbedienza, nondimeno li prepara all'eguaglianza. I preti cattolici americani hanno diviso il mondo intellettuale in due parti: da un lato hanno lasciato i dogmi rivelati, ai quali si sottomettono senza discussione; dall'altro lasciano la verità politica, e credono che questo sia il volere di Dio, alle libere ricerche degli uomini. Così i cattolici americani sono al tempo stesso i fedeli più sottomessi e i cittadini più indipendenti». L'opera di Tocqueville è di impressionante attualità, per la riflessione riguardo al contributo che il cattolicesimo può offrire al mantenimento e allo sviluppo di una vera democrazia. Noi cattolici vantiamo una lunga storia e una viva tradizione di pensiero e di azione che ha formato intere generazioni con l'intento di costruire una società solida, nella quale la convivenza civile fosse una scelta unitaria, garantita dall'apporto di tutti e dalla responsabilità di ciascuno. Questo scenario sembra, negli ultimi decenni, essersi allontanato sempre più, in una sorta di processo disgregativo causato da vari fattori: l'imporsi del primato dell'individuo sulla società; la perdita di credibilità delle istituzioni, soprattutto quelle politiche, incapaci di opporre alle difficoltà odierne una strategia all'altezza della situazione; l'accresciuta riluttanza e indifferenza ad assumersi qualsiasi forma di responsabilità personale e civile; infine, la progressiva perdita del senso religioso. Ritengo sia importante, soprattutto guardando al futuro, avere una visione lungimirante che consenta ai vari responsabili delle istituzioni di riformulare i rispettivi contributi creando una circolarità formativa e sviluppando così un piano che ristabilisca la fiducia e la responsabilità in tutti i cittadini per favorire il bene comune. È tuttavia necessario che nessuno si rinchiuda nella propria sfera istituzionale, custodendo gelosamente le prerogative acquisite; sordo alla necessità di cooperazione e al bisogno di un dialogo che, pur rispettoso delle rispettive autonomie, si arricchisca delle peculiarità dei singoli. Per quanto fosse fondamentale, per le correnti di pensiero alle spalle della Rivoluzione francese, il principio di libertà, nessuno all'epoca pensò di formulare l'espressione «laicità» per conferire maggiore autonomia al movimento che stava nascendo. La massima liberté, égalité, fraternité delineava già di per sé le sfere di autonomia riservate alle istituzioni, pur salvaguardando i principi di collaborazione complementarità necessari al bene comune. Parimenti, neppure ai tempi di Cavour, con il principio «libera Chiesa in libero Stato», si sentì la necessità di esplicitare il criterio di laicità, né per emarginare la Chiesa, né per favorire l'unità d'Italia.
E, ancora allo stesso modo, il non expedit imposto dal Papa ai cattolici non aveva certo l'obiettivo di boicottare l'unità del Paese, né ebbe come conseguenza il rafforzamento clericale della presenza cattolica nel dibattito politico del tempo. Questi pochi esempi mostrano come, in diversi momenti storici, il principio di separazione dei ruoli e delle prerogative fra Stato e Chiesa appariva evidente, naturale e quasi scontato, tanto che un qualsiasi riferimento esplicito a esso sarebbe apparso indelicato alle due parti interessate. Nella cultura occidentale, il riconoscimento di un tale duplice ordine di potere e competenze ha una storia che risale agli albori del cristianesimo. L'imperatore Costantino poteva tranquillamente convocare il Concilio di Nicea (325) senza per questo provocare alcuna reazione da parte di papa Silvestro, rimasto a Roma, e Gregorio VII, scomunicando Enrico IV e ricevendolo poi nella famosa udienza del 1077 a Canossa, non lo sostituì per questo alla guida dell'impero. Se Tommaso d'Aquino giungeva, già nella prima parte della sua Summa Theologiae, a distinguere con chiarezza le competenze dello Stato da quelle della Chiesa, ciò gli era possibile solo in quanto naturale risultato di un processo culturale e politico che aveva alle spalle secoli di storia. Né si possono giudicare un'ingerenza negli affari dello Stato i vari interventi di Paolo VI sulla maternità e paternità responsabile o quelli di Giovanni Paolo II sui diritti dei popoli e la dignità della persona, alla luce dei quali si giunse a formulare il principio di «ingerenza umanitaria»; e non costituiscono ingerenza neppure i pressanti richiami di Benedetto XVI contro le leggi che minacciano la famiglia e la vita personale dal suo concepimento fino alla sua conclusione naturale. Oltre venti secoli di storia ci hanno fornito dunque esempi in tale abbondanza da permetterci di affrontare il dibattito con pacatezza e senza polemica, forti della nostra propria tradizione.
Il Concilio Vaticano II ha più volte specificato questa dimensione, riassumendo il principio di autonomia dei due ordini in termini inequivocabili: «La Chiesa che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana. La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace quanto più coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo. L'uomo infatti non è limitato al solo orizzonte temporale ma, vivendo nella storia umana, conserva integralmente la sua vocazione eterna» (Gaudium et spes 76).

Il diritto di primogenitura

Il termine «laico» trae la sua forza semantica dall'ambito cristiano. L'aggettivo laikos indicava originariamenteù un membro della Chiesa. Ciò è ancora più evidente se si considera la traduzione latina del termine, che non è il generico populus, bensi plebs, che indicava specificamente la comunità cristiana. L'inevitabile evoluzione semantica del termine nei secoli successivi è specchio non solo di peculiari condizioni storiche, ma anche e soprattutto dell'orizzonte culturale a essa sotteso. Si è così progressivamente giunti a identificare la condizione di «laicità» come uno stato di autonomia della politica dalla sfera religiosa e come indice della possibilità di raggiungere la verità tramite la sola ragione, prescindendo dalla fede. In entrambi i casi, l'autentico significato del termine è stato snaturato. Se da una parte, infatti, non si può non concordare sul concetto di distinzione dei poteri e dei ruoli che spettano rispettivamente alla Chiesa e allo Stato, è invece difficilmente condivisibile la tesi secondo cui uno Stato è «laico» perché nel suo legiferare prescinde completamente dalla religione e dai suoi contenuti. Analogamente, è assurdo temere che la verità della fede possa attentare all'autonomia della ragione, oppure teorizzare che solo questa possa raggiungere la verità. Per attenerci al valore storico- semantico della parola, quindi, dobbiamo specificare che «laicità» indica un modo di riflettere, di analizzare e di produrre idee e contenuti che, non a prescindere, ma in maniera indipendente e autonoma dalla fede, fanno leva sulla forza di una ragione retta, libera di ricercare la verità e di proporla quando l'ha trovata. Se si è giunti a questa concezione moderna del termine «laicità», è solo perché nel cristianesimo si erano precedentemente sviluppate le forme concettuali ed espressive che ne permisero il comune riconoscimento. Rivendichiamo, pertanto, la primogenitura di questa concezione. II secondo punto sulla laicità è che, nell'epoca moderna, ci si è appellati a tale termine per ottenere polemicamente una forma di autono usandolo come veicolo per alcuni dei principi più caratteristici della modema cultura occidentale. È sotto gli occhi di tutti il progressivo passaggio verificatosi tra le due categorie dei «diritti della persona » e delle «libertà del diritto individuale ». Mentre i primi erano caratterizzati fin dall'origine, per mezzo di un'antropologia forte, da un corretto rapporto con la natura e la trascendenza, le seconde si fondano sulla pretesa che lo Stato sia obbligato a riconoscerle e tutelarle al di sopra del diritto alla vita, in ogni caso e malgrado lo Stato stesso. In breve, la tendenza sempre maggiore del legislatore a garantire il diritto in forza di una libertà individuale sta riducendo, pur di salvaguardare tale libertà, il diritto fondamentale alla vita e alla dignità della morte - da sempre tutelato dallo Stato - a un affare privato. Situazione non solo paradossale, ma deleteria per la sopravvivenza dello Stato stesso. II legislatore, infatti, sembra non accorgersi del pericolo insito nel fatto che il diritto dell'individuo, in è evidente. Per sua stessa natura l'etica non ha alcuna colorazione e ogni sua ulteriore qualificazione risulta pleonastica. L'etica, infatti, riconosce il primato della ragione e insieme alla ratio giunge ai principi fondamentali che stanno alla base della vita. Sarà comunque necessario verificare il concetto di ratio a cui si fa riferimento, il quale, per quanto debba essere auspicabilmente il più ampio possibile, deve comunque esprimere una ragione libera da principi che ne vanifichino natura, forza speculativa e azione. Sostenere, per esempio, che la ratio non debba avere alcun legame con il trascendente e che, pertanto, dia origine a un'etica atea, non è conforme alla ragione; si tratta, piuttosto, di un pregiudizio che limita la forza e la capacita della ragione e come tale non rende un buon servizio né alla ratio né alla possibilità di dialogo. Difendere in ambito politico l'esistenza di un'etica «laica» indipendente dalla «morale cattolica» è giusto e corretto, ma ciò non implica che i loro contenuti debbano essere necessariamente contrapposti. Per quanto possa apparire paradossale, oggi gli Stati hanno urgente bisogno di confrontarsi con la questione della verità; devono ricercarla incessantemente e proporla ai cittadini soprattutto quando questa ha a che fare con i diritti fondamentali della persona, come quelli che riguardano la vita e la morte. Dinanzi a quei problemi etici particolarmente controversi, lo Stato deve confrontarsi con la verità e specialmente con quella proposta dalla religione, che più di ogni altra conferisce valore alla dignità della persona. II concetto di tolleranza, applicato oggi ai più svariati ambiti - si pensi per esempio alla tolleranza razziale, politica, etnica, sessuale, culturale -, non è di aiuto per risolvere la situazione conflittuale nella quale ci troviamo. Lo Stato non può assestarsi in una sorta di neutralità che tutti accoglie e nessuno predilige. Deve senz'altro adoperarsi per riconoscere e difendere le minoranze, anche quelle religiose, ma ciò non può andare a detrimento della maggioranza presente nel Paese, che ne rappresenta la storia, la tradizione e l'identità. Infine, riteniamo che in questa sua ricerca e attuazione della verità, lo Stato «democratico» sia chiamato a tenere fede a questo suo fondamentale attributo. In virtù del suo essere democratico, lo Stato non solo deve accettare di confrontarsi con la Chiesa, ma deve anche sapeme accogliere - solo in un secondo momento temperandole - le eventuali ingerenze. Non si tratta di una questione di laicità ma di democrazia, che dà prova di maturità accettando i rischi di tale condizione. La Chiesa invece, richiamandosi a principi che hanno un'origine superiore a quella umana, non potrebbe mai accettare una qualsiasi ingerenza dello Stato riguardo ai propri contenuti. Ciò non rende una superiore all'altro, ma semplicemente riconosce l'autonomia e l'autonomia di entrambe le istituzioni. La cosa può apparire paradossale, e lo è. La democrazia, obbligata per sua costituzione ad accogliere in sé elementi che vanno oltre la sfera della politica, trova in sé anche i mezzi per neutralizzare eventuali schegge impazzite. La Chiesa, da parte sua, ben conosce i limiti entro cui può operare. Gli Stati, a volte, ricorrono al Concordato per ratificare i rapporti tra le due istituzioni; si tratta comunque di uno strumento, non di un fine. Ciò che caratterizza la presenza della Chiesa nella società è l'annuncio di un'esistenza che non si esaurisce nelle situazioni e nelle eventualità regolamentate dalle leggi emanate dagli Stati, ma va oltre.
L'irrilevanza del messaggio cristiano potrebbe sembrare segno della laicità acquisita dallo Stato, ma in realtà si tratta soltanto di un sintomo della debolezza congenita delle strutture che, in tal modo, manifestano la povertà culturale che le minaccia.
I seguaci di Voltaire storceranno il naso,ma,se vorranno essere coerenti, saranno obbligati, oggi più di questo caso, si scontra con le regole della convivenza sociale, e che la pretesa della libertà individuale cozza con la presenza dello Stato, che ormai è chiamato a legiferare su casi singoli, per quanto drammatici, delegando in alcuni casi alla magistratura ciò che dovrebbe essere prerogativa del potere legislativo. II diritto alla libertà individuale trova spesso un alleato troppo accondiscendente nel legislatore, che, di conseguenza, sovverte l'ordine stesso della fonte del diritto. Insomma,i «diritti fondamentali dell'uomo» diventano dipendenti dal riconoscimento che ne può fare il diritto alla libertà individuale. Questa radicalizzazione, indicata pretestuosamente come frutto dell'autonomia dalla religione, crea di fatto un nuovo pantheon valoriale, dando vita a una religione civile fondata sul solo desiderio individuale. Per ironia della sorte, alcune tesi illuministiche, già da tempo dichiarate defunte, risorgono come l'araba fenice, riportando indietro le lancette della storia e creando l'illusione che si stia entrando in una nuova epoca. Un riferimento alla laicità intesa in questo senso dà origine a due fenomeni degni di nota: il richiamo all'etica e alla coscienza e il rinvio alla tolleranza in campo religioso. Ultimamente, si sente parlare sempre più spesso di «etica laica». Di fatto, si vuole imporre questo concetto per accreditare la tesi di un'autonomia, soprattutto dalla sfera cattolica, in grado di favorire la scienza e così produrre progresso. Quanto questa visione sia ingenua ieri, a legittimare la nostra esistenza all'interno della società; eppure, non potranno esimersi dall'affermare che siamo un'anomala, una presenza fortuita, accidentale, addirittura fastidiosa soprattutto in questi ultimi tempi, perche tanto ingombrante con le sue certezze e i suoi dogmi. La pretesa di verità che rechiamo contraddice il loro principle di tolleranza - espressione genuina di dogmi laicisti - secondo il quale sarebbe meglio per tutti, e per il progresso della società, se fossimo confinati nel privato, senza alcuna possibilità di esprimerci pubblicamente su questioni di carattere sociale ed etico. Non è lontano da questa stessa tentazione anche chi si richiama a una rinnovata comprensione dello Stato etico, che legifera non solo prescindendo dalla morale presente nella società, ma si arroga la facoltà di presentarsi come istanza morale assoluta, traendo dall'ideologia l'ispirazione per i propri interventi legislativi. Resta da vedere se tali concezioni di laicità e democrazia costituiscano soltanto un'ipotesi accademica, o incarnino un'effettiva azione politica che potrà compiersi soltanto con un atto di violenza, come ad esempio la discriminazione nei confronti dei credenti.

Ascoltare la Sapienza

«Se non impariamo a vivere la democrazia in ordine al cristianesimo e il cristianesimo in ordine allo Stato libero democratico, ci giocheremo sicuramente la democrazia stessa». Questa frase di Joseph Ratzinger riprende per certi aspetti quella di Tocqueville, che abbiamo dtato in apertura di capitolo e non a caso riprendiamo in chiusura. Per alcuni versi, questi due passaggi esprimono, da punti di vista e ordini di esperienza differenti, la medesima convinzione: il cristianesimo è la sorgente di quei valori fondamentali e costitutivi di cui lo Stato modemo si nutre. Prescinderne sarebbe solo un impoverimento e, di fatto, aprirebbe la porta a rinnovate forme di tirannide.

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1 commento:

euge ha detto...

«Se non impariamo a vivere la democrazia in ordine al cristianesimo e il cristianesimo in ordine allo Stato libero democratico, ci giocheremo sicuramente la democrazia stessa». Questa frase di Joseph Ratzinger riprende per certi aspetti quella di Tocqueville, che abbiamo dtato in apertura di capitolo e non a caso riprendiamo in chiusura. Per alcuni versi, questi due passaggi esprimono, da punti di vista e ordini di esperienza differenti, la medesima convinzione: il cristianesimo è la sorgente di quei valori fondamentali e costitutivi di cui lo Stato modemo si nutre. Prescinderne sarebbe solo un impoverimento e, di fatto, aprirebbe la porta a rinnovate forme di tirannide.


Forse sarebbe il caso, che il Presidente della Camera tenesse bene a mente queste parole........ Prima di uscirsene con qualche altra sua sparata relativa alla morale all'etica ed ai principi religiosi, che non devono condizionare l'iter delle leggi.