domenica 19 luglio 2009
Vian: il Papa ha un atteggiamento di estrema gentilezza. Vuole sempre disturbare il meno possibile (Galeazzi)
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Gian Maria Vian
“Quella notte che Wojtyla si ruppe il femore”
DALL’INVIATO A LES COMBES (Aosta)
Gian Maria Vian (direttore dell’Osservatore romano e storico del cristianesimo), anche a Wojtyla accadde due volte di cadere.
Neanche i Papi riescono a sfuggire alle insidie della quotidianità?
«Sono uomini come gli altri, non possono essere sorvegliati 24 ore su 24. Nel ‘94 anche Giovanni Paolo II scivolò, come ora è successo a Ratzinger, nella stanza da bagno, procurandosi quella frattura del femore destro che tante sofferenze gli ha causato anche dopo l’operazione. E’ assurdo ipotizzare che si potesse evitare l’infortunio capitato nello chalet di Les Combes. Soprattutto nelle ore notturne i Papi vivono la solitudine normale di qualsiasi essere umano. Sulle loro notti c’è una ricca aneddotica, soprattutto nei periodi di malattia. Per esempio, quand’era molto avanti con gli anni, Leone XIII soffriva cronicamente di insonnia perciò faceva dormire in anticamera i monsignori Alessandro Volpini, Rinaldo Angeli, cioè i “segretari perugini”, così chiamati perché se li era portati in Vaticano da Perugia dov’era stato vescovo. E Leone XIII in piena notte cominciava a dettare versi in latino, la sua passione».
Perché Benedetto XVI non ha avvisato nessuno dopo la caduta notturna?
«E’ il suo carattere. Non mi sorprende che non abbia avvertito dell’infortunio e sia tornato a letto dopo la botta. Ciò è sintomatico dell’atteggiamento di una persona di estrema gentilezza. Ratzinger vuole sempre disturbare il meno possibile. Ne sono testimone diretto nei soggiorni all’estero in nunziatura: ci tiene a incomodare il meno possibile.
All’ospedale di Aosta ha aspettato il suo turno in accettazione e in sala operatoria. E’ lo stesso stile semplice che aveva da cardinale. Ogni mattina da casa sua in piazza della Città Leonina arrivava a piedi al palazzo del Sant’Uffizio, con il basco in testa e sotto braccio una vecchia cartella di cuoio nero. Rispondeva al saluto di tutti e si fermava a scambiare quattro parole, magari di musica sacra, con chi lo incontrava per strada».
E’ attento alla sua «privacy»?
«Si veste da solo, non si fa aiutare dal cameriere nelle cose personali. Del resto cammina a passo svelto ed è autonomo in tutto. Persino nei 35 gradi dell’Angola si metteva il cappello rosso di paglia e faceva la sua immancabile passeggiata. Credo che raccomandi a chi gli sta accanto di lasciarlo fare una vita il più possibile normale».
© Copyright La Stampa, 18 luglio 2009
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