martedì 4 novembre 2008

Chiesa-islam, alle radici della convivenza (Paolucci)


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Dopo il discorso di Ratisbona e la «lettera dei 138» un confronto sugli aspetti teologici e quelli pratici In primo piano il tema della libertà religiosa

Chiesa-islam, alle radici della convivenza

DI GIORGIO PAOLUCCI

Conoscersi più in profondità, esprimere compiutamente le proprie ragioni e ascoltare quelle dell’altro, confrontarsi in maniera aperta a partire da ciò che si ha di più caro, la fede, e cercare di costruire un alfabeto comune per poter vivere insieme in un’epoca in cui la diversità può diventare motivo di divisione oppure una possibilità di reciproco arricchimento. Sono gli obiettivi del forum che da oggi a giovedì vede riuniti a Roma esperti del mondo cattolico assieme ad esponenti musulmani che si riconoscono nella «lettera dei 138» indirizzata nell’ottobre del 2007 a Benedetto XVI e ad altri leader delle confessioni cristiane.
Il tema fondamentale dell’incontro, che si svolgerà a porte chiuse, è «Amore di Dio, amore del prossimo», e verrà affrontato secondo una duplice prospettiva: oggi il confronto verte sui fondamenti teologici e spirituali, domani sulla dignità umana e il rispetto reciproco.
Giovedì mattina le due delegazioni, composta ciascuna da 24 membri, saranno ricevute in udienza da Benedetto XVI e nel pomeriggio, alla Gregoriana, nel corso di una sessione pubblica verrà illustrata la dichiarazione finale dei lavori.
A guidare la delegazione cattolica è il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso che sottolinea l’importanza dell’appuntamento ma lo inquadra in una prospettiva di lungo periodo: «L’incontro non è un inizio, noi dialoghiamo con l’islam da più di 1400 anni», ha detto ieri in un’intervista rilasciata a Radio Vaticana.
L’appuntamento si colloca in un periodo in cui i rapporti tra cristiani e musulmani sono problematici in più di un Paese, come testimoniano le cronache di questi mesi. A questo proposito il segretario del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, Pier Luigi Celata, si chiede se «l’origine di queste tensioni è data da elementi religiosi o piuttosto da influssi e condizionamenti di natura diversa, di tipo sociale, economico, ideologico, politico».
È evidente il riferimento alla strumentalizzazione operata nei confronti della dimensione religiosa da parte di ideologi e formazioni che si muovono nell’area del fondamentalismo.
Celata invita a un prudente ottimismo, sottolineando che «un dialogo serio deve farsi carico anche di queste situazioni che tardano a evolversi verso quella dimensione di armonia che deve caratterizzare ogni società degna di questo nome, ma la Provvidenza se ci dà del tempo e delle energie, ci vedrà anche impegnati per affrontare queste diverse situazioni».
Sull’argomento è intervenuto in questi giorni anche il gesuita Samir Khalil Samir, chiamato a far parte della delegazione cattolica.
In un’intervista rilasciata ad Avvenire – e riferendosi in particolare al tema che verrà sviluppato domani, «Dignità umana e rispetto reciproco» – Samir Khalil ha sottolineato che «l’affermazione della dignità umana, per non restare qualcosa di teorico, implica il rispetto dei diritti umani. Che riguardano, ad esempio, il rapporto tra uomo e donna, tra i fedeli di differenti religioni, tra credenti e non credenti». È a partire da un uso corretto della ragione, il dato che accomuna ogni essere umano, che è possibile confrontarsi pur rimanendo diversi: «Grazie ad essa ogni persona può operare le sue scelte usando la libertà e facendola prevalere sull’istinto. E la libertà di coscienza è fondamento di tutte le altre libertà. È qualcosa che ’viene prima’».
È proprio dalla sfida sull’uso della ragione lanciata da Benedetto XVI nel discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006– una ragione «allargata», capace di aprirsi alla trascendenza e che rifiuta l’uso della violenza – che aveva preso l’avvio una fase nuova nel confronto con il mondo musulmano. E la lettera aperta al Papa e agli altri leader cristiani firmata da 138 «saggi musulmani», (poi diventati 275) rappresenta per certi aspetti un elemento di novità perché manifesta una comune disponibilità al confronto da parte di esponenti di diverse correnti del composito mondo islamico – sunniti, sciiti, ismailiti, sufi – provenienti da 43 diversi Paesi. Una delegazione piuttosto rappresentativa, anche se non va dimenticato che nell’islam non esiste un’autorità religiosa unanimemente riconosciuta.
Si apre oggi, dunque, un confronto franco e impegnativo che, secondo il cardinale Tauran, non deve fermarsi di fronte alle situazioni di oggettiva difficoltà: «Non bisogna avere paura di denunciare le violazioni dei diritti dell’uomo, quali che siano, in modo che sia la verità e non la forza a prevalere, che la forza del diritto prevalga sul diritto della forza». E L’Osservatore Romano
parla di «ragionevole speranza, anche se è d’obbligo una sana dose di realismo», riferendosi proprio ai nodi cruciali che sono sul tappeto, primo fra tutti la libertà religiosa.

© Copyright Avvenire, 4 novembre 2008

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