martedì 4 novembre 2008
Dialogo islamo-cristiano: Benedetto XVI si iscrive nella logica del Concilio e di Giovanni Paolo II ma con maggiore chiarezza e fermezza (La Croix)
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Clicca qui per leggere l'articolo de La Croix nella versione originale (francese)
Leggiamo ora la traduzione a cura di www.finesettimana.org
Le tappe di un cammino islamo-cristiano ancora da tracciare
di Martine De Sauto
in “La Croix” del 27 ottobre 2008 (traduzione www.finesettimana.org)
Dei pionieri avevano aperto la strada, ma il dialogo islamo cristiano è cominciato davvero dopo il Vaticano II, ed amplificato da Giovanni Paolo II. Benedetto XVI si iscrive in questa logica, ma con maggiore chiarezza e fermezza.
Nel settembre 2006, dopo il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, il dialogo tra islam e cristianesimo sembrava messo male.
I musulmani, compreso i più moderati, si erano interrogati su quella che percepivano come una rottura dopo le iniziative di dialogo prese da Giovanni Paolo II. E, tra i cattolici, c'era chi parlava di un cambiamento di rotta.
Da allora, ricorda però Maurice Borromans (1) “molte cose sono successe”. Tra due comunità di più di un miliardo di fedeli, le poste in gioco sono troppo importanti per lasciar cadere le possibilità d'incontro.
Per secoli, i rapporti tra cristiani e musulmani, segnati dalla storia, sono stati vissuti piuttosto come scontro. A partire dal XIX secolo, lo sguardo dei cristiani sull'islam comincia a modificarsi.
Missionari protestanti e cattolici instaurano delle relazioni di amicizia e di servizio con i musulmani. Parallelamente, l'emiro Abd El Kader, che diventa famoso per aver preso nel 1860 la difesa dei cristiani di Damasco, contribuisce a cambiare l'immagine dei musulmani. Alla fine del secolo, Charles de Foucauld incarna a sua volta il rispetto evangelico della fede dei musulmani.
Nello stesso periodo, le Chiese cercano di favorire una migliore conoscenza dell'islam. Fin dagli anni 20, vengono dispensati nelle università pontificie dei corsi di islamologia e, nel 1937, tre giovani domenicani – Georges Anawati, Jacques Jomier e Serge de Braurecueil – accettano, su richiesta del padre Marie-Dominique Chenu, di impegnarsi nello studio dell'islam e della cultura araba in paese musulmano. Inizieranno, in Egitto ed in Afghanistan, un dialogo teologico e spirituale con i musulmani e permetteranno la nascita, nel 1945, dell'Istituto domenicano di studi orientali del Cairo.
I Padri Bianchi creano fin dal 1926 in Tunisia una casa di studi e di ricerca che permetterà la nascita del PISAI, l'Istituto pontificio di studi arabi ed islamici, di cui padre Borrmans sarà fino a questi ultimi anni una figura essenziale. Sul campo, le cose sono in movimento. Dei religiosi in missione si impegnano per la difesa dei diritti del musulmani. In Algeria,la solidarietà si esprime attraverso monsignor Duval. Allo stesso tempo, in Francia, dei cristiani si preoccupano dei lavoratori immigrati maghrebini.
Un passo decisivo viene fatto alla fine del Concilio Vaticano II, con la dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane (Nostra aetate) promulgata da Paolo VI, il 28 ottobre 1965, che afferma che “la Chiesa cattolica guarda con stima i musulmani che adorano il Dio uno.
(...) Se numerosi dissensi e inimicizie si sono manifestati tra cristiani e musulmani, il concilio li esorta a dimenticare il passato, (...) a promuovere insieme la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà.” Vengono create delle istituzioni per organizzare il dialogo e facilitarne la prosecuzione. A cominciare dal segretariato pontificio per le relazioni con i non-cristiani, che nel 1987 diventerà il Consiglio per il dialogo interreligioso. In Francia l'episcopato istituisce nel 1973 un Segretariato per le relazioni con l'islam (SRI). Praticamente ogni conferenza episcopale d'Europa fa la stessa cosa. Il COE, che ha anch'esso gettato dei ponti verso l'islam, dispone di un ufficio specializzato a Ginevra. Le pubblicazioni seguono. La riflessione teologica si sviluppa con uomini come Robert Caspar. Nel 1967 viene tra l'altro creato in seno all'Istituto cattolico di Parigi un
Istituto di scienze e di teologia delle religioni (ISTR) che si interessa al dialogo islamo-cristiano.
Altri seguiranno. E numerose facoltà di teologia anglicane e protestanti faranno lo stesso. Le Chiese cristiane del Maghreb e del Medio Oriente elaborano dei testi per una spiritualità dell'incontro. Il Gruppo di ricerca islamo-cristiano (Gric), che riunisce professori universitari di diversi paesi, nasce
in Tunisia nel 1977. Diverse organizzazioni non clericali vedono anch'esse la luce, come il Gruppo di amicizia islamo-cristiana (Gaic), che organizza ogni anno in Europa una settimana di incontri islamo-cristiani.
Gli anni 1960-1970 sono contrassegnati da un clima irenico. Giovanni Paolo II si mostra più realista. Fin dal 1985 a Casablanca davanti ad 80 000 giovani marocchini, esprime l'augurio di una collaborazione in vista di un dialogo delle culture, delle spiritualità e di una lotta comune per lo sviluppo. Insiste sull'esigenza di una “reciprocità” a favore delle minoranze cristiane. La sua visita all'università di Al-Azhar del Cairo, la più prestigiosa dell'islam sunnita, poi alla moschea degli Omeyyadi a Damasco, i suoi discorsi in diversi paesi musulmani permettono di aprire la strada del dialogo, di arricchirne il contenuto teologico e pastorale. Parallelamente proseguono gli incontri ufficiali tra Chiese ed esperti musulmani. Certe istituzioni musulmane, come l'università di Tunisi o l'accademia reale di Giordania, prendono anch'esse delle iniziative.
“Benché il dialogo abbia acquisito una certa popolarità, constata tuttavia il gesuita Christian Van Nispen (2), da una ventina d'anni si sono manifestati dei fenomeni di fatica, se non di diffidenza.”
E, effettivamente, ben prima che l'11 settembre ravvivasse i pregiudizi reciproci e la mutua diffidenza, lo scetticismo domina le comunità cristiane.
L'aumento degli estremismi in Medio Oriente, l'assassinio di religiosi cristiani in Algeria, la persecuzione di minoranze non musulmane nel Sudan ed in Nigeria, l'esodo dei cristiani dalla Palestina e dall'Iraq sottolineano i limiti del dialogo ed il peso dei contesti sociopolitici.
Anche il dialogo teologico procede con fatica. Tenuto conto delle difficoltà, Benedetto XVI riprende il problema su basi nuove.
Pur restando fedele allo spirito di Nostra aetate, incoraggiando a proseguire l'opera, inscrive il dialogo in una prospettiva diversa, mettendo l'accento su due punti: il dialogo delle culture, indispensabile al bene dell'umanità, piuttosto che il dialogo teologico, e la libertà di coscienza e di pratica religiosa.
(1) Padre Bianco, autore in particolare di Dialogue islamo-chrétien à temps et contretemps, Éd.
Saint-Paul, p. 254, € 18,50.
(2) (2) Chrétiens et musulmans. Frères devant Dieu, Éd. de l'Atelier, p. 188, € 15.
Clicca qui per accedere all'indirizzo diretto della traduzione.
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