venerdì 17 luglio 2009
Benedetto Ippolito: La pubblicazione della Caritas in veritate è l’evento culturale più importante del 2009
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ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE": LO SPECIALE DEL BLOG
ASSIEME A PIETRO
L’inedito scenario attuale chiede soluzioni «globali»
La carità nella verità, vera «filosofia» del nostro tempo. Inscindibile per il cristianesimo il rapporto tra amore e conoscenza
DI BENEDETTO IPPOLITO
La pubblicazione dell’ultima enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate è l’evento culturale più importante del 2009.
Questo fatto è evidente non tanto per l’autorevolezza del documento come tale – l’enciclica è, infatti, il più solenne atto ufficiale della Chiesa – ma per i ricchissimi e originali contenuti che sono raccolti all’interno dei sei densi capitoli del testo. Si può ben dire che soltanto adesso che la lettera è a disposizione di tutti, appare veramente chiara la lacuna culturale esistente fin ora, anche solo dal punto di vista strettamente filosofico.
Non a caso, i tempi della sua uscita non sono stati affrettati e si sono inevitabilmente dilatati nel tempo, fino ad attendere la compiutezza e l’esaustività richiesta dall’analisi dei problemi, raggiunta evidentemente solo dopo molti anni di lavoro. La molteplicità degli scogli sociali del nostro presente, e tutte le suggestive sfide del prossimo futuro, sono considerate all’interno di un ragionamento pratico che inserisce da subito la Caritas in veritate nel filone delle tradizionali encicliche sociali.
In questo senso, il riferimento iniziale alla Populorum progressio di Paolo VI è molto più di una commemorazione: è un vero e proprio tributo all’attualità della riflessione montiniana, la quale ha costituito alla fine degli anni Sessanta uno spartiacque tra la Rerum novarum di Leone XIII del 1891 e la Centesimus annus di Giovanni Paolo II, scritta esattamente dopo un secolo.
Benedetto XVI ha messo a tema, fin dalle battute iniziali, lo strettissimo rapporto teologico che collega la carità con la verità. Si tratta di un aggancio con la sua prima enciclica, Deus caritas est, che mostra l’unilateralità di una carità che, senza la verità, degrada in me- ra passione distruttiva e di una verità che, senza la carità, perde spessore e razionalità. Il Papa ci ricorda con chiarezza che solo «la verità è la luce che dà senso e valore alla carità».
Da tale rapporto cristianamente inscindibile di amore e conoscenza, testimoniato esemplarmente dalla vita stessa di Gesù, proviene poi la lettura che il documento propone nel secondo capitolo dello « sviluppo umano nel nostro tempo». Benedetto XVI auspica, dinanzi all’inedita dimensione globale del mondo, la progettazione di soluzioni nuove elaborate a partire dal sapere tradizionale, rimedi non più relegati unicamente nell’alveo delle singole culture, ma adeguati alla globalità del destino umano. D’altronde, davanti ad uno scenario planetario, l’umanità non può affrontare le grandi sfide del nostro tempo se non riesce prima a far emergere la consapevolezza unitaria di una visione dell’uomo che sia sufficientemente universale da includere tutte le molteplici situazioni esistenti. Da qui l’importanza d’individuare e difendere alcuni presupposti etici fondamentali, come il diritto alla vita e la libertà religiosa, a partire dai quali sia possibile concepire e sostenere successivamente il carattere policentrico e omogeneo dello sviluppo sostenibile. In ultimo, solo se l’unità di significato della vita trova il suo punto d’orientamento nell’antropologia e nella teologia, allora è possibile vedere attuate opzioni operative razionali ed efficaci, veramente adeguate ai bisogni economici anche della parte più indigente dell’umanità. È soprattutto nel quarto capitolo che la Caritas in veritate
affronta, però, le grandi incognite del nostro tempo, come il dramma della povertà, l’equilibrio tra diritti e doveri e l’inquinamento ambientale. Il vero punto di arrivo della riflessione è costituito dalla considerazione centrale della famiglia umana, pensata come intrinseca e universale relazionalità interpersonale. Il classico adagio aristotelico relativo alla naturale socialità dell’uomo, divenuto ormai un traguardo complessivo per tutti i popoli della terra, è messo in rapporto con la solitudine individuale, malattia sociale che schiaccia e annichila l’uomo moderno. La comune appartenenza alla famiglia umana è la vera insopprimibile appartenenza reciproca di ogni singola persona ad un destino comune. Ma questo legame inscindibile ha senso solo quando è ricondotto «al valore metafisico dell’ humanum , in cui la relazionalità è elemento essenziale». Per il Papa tale asserzione, presente – anche se in modo parziale – in tutte le religioni storiche, è il vero patrimonio genetico del cristianesimo, rivelato nel farsi Uomo di Dio in Gesù Cristo attraverso l’Incarnazione.
Ed è una conclusione che, in definitiva, solidifica l’intima complicità indistruttibile tra la ragione filosofica e la fede cristiana, chiave di volta costitutiva del nuovo universalismo positivo, proposto da Benedetto XVI a tutti gli uomini di buona volontà.
© Copyright Avvenire, 11 luglio 2009
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2 commenti:
Absolument d'accord: c'est le text le plus important de cette année et même de cette époque perdue et desorientée, non seulement par la crise économique, mais surtout par la crise de l'homme «sans qualités».
Le Pape montre exactement un des problèmes contemporains: on pratique une charité motivée par des bons sentiments, des émotions, "utiles pour les relations sociales, mais marginaux".
Il faut la lire, l'étudier, l'assimiler et la mettre en pratique, cettre Encyclique. C'est un grand défi pour tous.
Désolée de ne pas pouvoir écrire en italien.
LCS
Merci :-)
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