venerdì 3 aprile 2009
Mons. Fisichella: L'Europa è nata in pellegrinaggio (Osservatore Romano)
Perdere la memoria storica porta al dissolvimento dell'identità
L'Europa è nata in pellegrinaggio
Pubblichiamo uno stralcio del primo capitolo del volume Identità dissolta (Milano, Mondadori, 2009, pagine 138, euro 17).
di Rino Fisichella
Arcivescovo Rettore della Pontificia Università Lateranense
Non mi è stato facile dare un titolo a questo saggio. Alla fine l'idea vincente si è condensata in due parole: Identità dissolta. L'aggettivo, però, merita di essere precisato per non dare al lettore l'impressione che l'analisi compiuta nelle pagine seguenti sia permeata di un latente pessimismo che non mi appartiene. Spesso negli ultimi anni si è parlato giustamente di identità dell'Unione europea. Una realtà come questa, che nasce sulla base di tradizioni culturali diverse, dovrebbe costruirsi intorno a tratti comuni che lascino percepire chi è il soggetto in questione. E mia forte convinzione che per poter offrire un contributo significativo a questa tematica sia necessario ripercorrere un cammino che appare spesso offuscato, quando non del tutto sconosciuto.
C'è stato un tempo in cui l'identità dei popoli che costituivano l'attuale Unione europea era evidente, chiara e subito riconoscibile. Oggi non è più così. Negli ultimi decenni si è creata progressivamente una condizione di dissolvimento di questa identità, che appare drammatica in quanto a essere in gioco è la sorte delle giovani generazioni. La ricchezza economica raggiunta, le sofisticate tecnologie disponibili e lo stile di vita acquisito sembrano aver favorito la disgregazione dell'identità conservata per secoli, che si è sciolta come neve al sole. Le radici su cui era cresciuta la cultura europea sembrano essersi seccate e così la pianta non produce più i frutti sperati. La storia di generazioni di persone che per secoli hanno vissuto con punti di riferimento normativi per la convivenza sociale viene oggi confutata e contraddetta. Dunque, l'immagine che se ne ricava è proprio quella di un'identità dissolta.
Non sono, però, un pessimista. E il sottotitolo del libro lo vuole in qualche modo confermare. Prendo le mosse da una frase di Goethe: "L'Europa è nata in pellegrinaggio e la sua lingua materna è il cristianesimo". L'immagine è limpida e, per alcuni versi, solo un poeta poteva descrivere con un unico verso la complessità della realtà. L'Europa è nata cristiana, e soltanto nella misura in cui conserverà questa identità potrà realizzare ciò che è stata nel passato e ciò che le permetterà di sopravvivere nel futuro senza dissolversi. Un popolo privo di religione, infatti, tende a perdere coesione e si indebolisce sempre più fino a smarrire completamente la propria identità.
La frase di Goethe coglie una verità che spesso oggi viene volutamente dimenticata da molti: l'Europa, fin dal suo nascere, ha conosciuto il cristianesimo come suo fondamento. Le ragioni politiche che hanno portato a un serrato dibattito e al mancato inserimento delle radici cristiane nel Preambolo della nuova Costituzione europea hanno mostrato che spesso, anche contro la verità storica, prevale l'opportunismo che tende a negare perfino l'evidenza.
Non è intenzione di queste pagine entrare nel merito del dibattito politico sulle radici cristiane. Su questo punto tanto si è parlato e poco si è fatto, preferendo cedere alla prepotenza di pochi. Le radici cristiane dell'Europa, d'altronde, sono talmente visibili che non meritano lo sforzo di una giustificazione. Chi è responsabile della loro esclusione dalla magna charta, in qualsiasi parte dell'Europa si trovi, sarà ricordato anche per aver ricevuto una risposta negativa quando le popolazioni sono state giustamente interpellate per dare il loro consenso. Ciò che a noi preme è non far perdere la memoria storica. È giusto infatti che quanti si affacciano a considerare il nuovo soggetto in questione sappiano che l'Europa non è stata inventata oggi, ma ha fondamenta radicate nei secoli passati.
In questo contesto non si può dimenticare la grande azione svolta da Papa Giovanni Paolo II. Tra i suoi numerosi interventi in proposito, uno particolarmente significativo del 3 giugno 1997 (a Gniezno, in Polonia) merita di essere citato: "Il traguardo di un'autentica unità del continente europeo è ancora lontano. Non ci sarà l'unità dell'Europa fino a quando essa non si fonderà nell'unità dello spirito. Questo fondamento profondissimo dell'unità fu portato all'Europa e fu consolidato lungo i secoli dal cristianesimo con il suo Vangelo, con la sua comprensione dell'uomo e con il suo contributo allo sviluppo della storia dei popoli e delle nazioni. Questo non significa volersi appropriare della storia. La storia d'Europa, infatti, è un grande fiume, nel quale sboccano numerosi affluenti, e la varietà delle tradizioni e delle culture che la formano è la sua grande ricchezza. Le fondamenta dell'identità dell'Europa sono costruite sul cristianesimo. E l'attuale mancanza della sua unità spirituale scaturisce principalmente dalla crisi di questa autocoscienza cristiana". E necessario, pertanto, cercare di individuare alcune tematiche che possano permettere il mantenimento di un dialogo tra credenti e laici. In forza della ragione comune, entrambi possono scambiarsi argomentazioni per trovare un cammino da percorrere in questa avventura che tende a ricostituire l'unità dell'Europa.
Come abbiamo ricordato, Goethe afferma che "l'Europa è nata in pellegrinaggio". Ma non è il solo. "Nel paese basco c'è, nel cammino di Santiago, un monte molto alto che si chiama Passo del Cize, o perché li si trova la porta della Spagna, o perché attraverso questo monte si trasportano le cose necessarie da una terra all'altra. La sua salita conta otto miglia e altre otto la sua discesa. La sua altezza è tale che sembra giungere al cielo e colui che lo sale crede di poter toccare con la propria mano il cielo. Dalla sommità si possono vedere il mare britannico e l'occidente e le terre di tre paesi e cioè di Castiglia, di Aragona e di Francia. Sulla cima dello stesso monte v'è un luogo chiamato la Croce di Carlo, perché lì con asce, con picconi, con zappe e con altri attrezzi aprì una volta un sentiero Carlo Magno quando entrò in Spagna con i suoi eserciti e poi, inginocchiato verso la Galizia, innalzò le sue preghiere a Dio e a san Giacomo. Per la qual cosa, piegando lì le ginocchia i pellegrini sono soliti pregare rivolti a Santiago e tutti loro piantano ognuno delle croci che lì possono trovarsi a migliaia. Per questo lì si ha il primo luogo di preghiera a Santiago".
Il passo è tratto dal Liber Sancti Jacobi (più noto come Codex Calixtinus) e risale al 1150. Rileggere queste pagine, che riportano minuziosamente nomi di strade, villaggi, ospizi, monti e pianure, di re, vescovi e semplici pellegrini, insomma una vera enciclopedia dell'epoca, permette di compiere un'esperienza non comune: immergersi in un mondo che sembra non esistere più. Il pellegrino del passato era certamente mosso nel suo intento da motivazioni religiose; eppure, queste erano solo l'inizio. A partire da lì si aprivano spazi che permettevano di immergersi nella conoscenza della natura, dei luoghi sacri, delle città e delle diverse culture del mondo.
Certamente, arrivare fino a Santiago era un'impresa non da poco ed equivaleva a raggiungere il limite del mondo allora conosciuto, oltre il quale non esistevano altro che mare e spazi ignoti. Il commento, pervenutoci intatto, di un cavaliere tedesco dell'epoca, Arnold von Harff, che aveva intrapreso un lunghissimo viaggio verso Gerusalemme e il Sinai, poi a Venezia e infine a Santiago, permette di consolidare questa impressione: "Per consolazione e salvezza della mia anima, io, Arnold von Harff, ho deciso di compiere un beneficioso pellegrinaggio (...) ma anche per conoscere le città, i paesi e i costumi dei popoli".
Come si può notare, il pellegrino viveva un'esperienza religiosa e al contempo culturale di particolare valore. Raggiungere il santuario era lo scopo ultimo, ma questo consentiva di vivere una serie di esperienze che aprivano lo sguardo e allargavano gli orizzonti. Pellegrinaggio e cultura non erano contrapposti, ma sintetizzati in una visione armonica della vita che favoriva lo sviluppo e la crescita personale. Curiosità e piacere di conoscere il mondo rientravano nella normale aspirazione di chi iniziava il pellegrinaggio. A sostenerlo nella fatica e nell'impegno del viaggio, oltre che davanti ai pericoli, erano certamente motivazioni religiose, che tuttavia non gli impedivano di immergersi in profonde esperienze pienamente "culturali", quali la conoscenza di costumi, modi di vivere e di pensare tra loro diversi anche se accomunati dalla fede in Gesù Cristo.
Il viaggio conservava per lui il particolare valore religioso, che racchiudeva in sé i tratti peculiari della fede cristiana - la carità, la solidarietà, la comprensione della vita come un passaggio attraverso questo mondo, nel quale rimaniamo, per dirla con le parole dell'apostolo Pietro, "stranieri e pellegrini" (1 Pietro, 2, 11) - ma il pellegrino era anche un uomo fortemente curioso, attento a tutto ciò che incontrava e desideroso di imparare. In altri termini, era un personaggio che ammirava oggetti sulle bancarelle dei mercati, si incantava davanti a musici e giullari, sostava nelle fiere e ascoltava racconti e leggende di vario genere. Così, insieme ai miracoli dei santi, imparava anche a conoscere le grandi gesta di Carlo Magno, di Orlando e dei paladini le cui tombe trovava sul suo cammino.
Non si dimentichi che questo pellegrino osservava come si costruivano le chiese e, spesso, prestava la propria opera in cambio di vitto e alloggio; nello stesso tempo, però, vedeva come si tingeva la lana e si intrecciavano i vimini, come si forgiava il ferro e si salava la carne, come cambiava, a seconda delle stagioni, l'abbigliamento delle popolazioni che incontrava o come si allevavano animali che non conosceva.
In una parola, il pellegrino imparava come si organizzavano le corporazioni e i comuni, come si strutturavano i mercati e le fiere, per quali vie si trasportavano i carichi di spezie prelibate che giungevano dall'Oriente o i prodotti in pelle provenienti dai Paesi nordici... Diventava così, suo malgrado, testimone e interprete, protagonista di una trasmissione di tradizioni e costumi, fondamenti basilari di ogni cultura.
La relativa calma della sua casa, del suo villaggio e della sua città veniva turbata da un flusso di conoscenze, informazioni e linguaggi, che suscitavano una sete insaziabile di conoscenza. Eppure, proprio questo suo porsi come pellegrino attraverso i vari Paesi che percorreva costituiva il punto di partenza per la formazione di un'identità che andava al di là di quella personale, per realizzarsi come fenomeno culturale che si sarebbe stabilizzato nel corso dei secoli. In qualche modo, avveniva che il pellegrino entrasse a far parte di una "società" che travalicava la sua appartenenza territoriale e linguistica per costituire una condivisione di vita concreta. Sentimenti, segni di identificazione, interessi e necessità diventavano un bagaglio comune, un tutt'uno facilmente riconoscibile da chi avesse vissuto la stessa esperienza che andava a formare, di fatto, una civiltà di appartenenza.
Insomma, il pellegrino - italiano o fiammingo, greco o scandinavo, ispanico o irlandese che fosse - si riconosceva in un'unica identità culturale che non teneva conto della nazionalità né della condizione sociale né della lingua. Ciò che accomunava non era una regola scritta, ma un modo di essere, l'assunzione di consuetudini che si radicavano e di comportamenti che si trasmettevano creando una solida tradizione. Quel tipo di tradizione che sta alla base di ogni genuina storia, di ogni cultura che voglia essere originale e senza la quale non si può capire il presente.
(©L'Osservatore Romano - 3 aprile 2009)
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