lunedì 25 maggio 2009

Il messaggio del Papa da Montecassino: preghiera, studio e lavoro (Zavattaro)


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VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE A CASSINO E MONTECASSINO (24 MAGGIO 2009): LO SPECIALE DEL BLOG

BENEDETTO XVI - Il triplice impegno

Il messaggio da Montecassino: preghiera, studio e lavoro

Fabio Zavattaro

Un lato è rivolto alla città, un altro al monte; l’abbazia di Montecassino sembra quasi interpretare, architettonicamente, il celebre motto “Ora et labora”, cioè prega e lavora.
Il monte è il silenzio dell’ascolto di Dio, l’orazione; la città è il lavoro, le fatiche quotidiane, le difficoltà della vita. È lungo questi due binari che si è sviluppata la visita di Benedetto XVI a Cassino e Montecassino.
Così il lavoro si traduce in solidarietà ai lavoratori in difficoltà per la crisi economica, precari, disoccupati o in cassa integrazione.
Nella piazza che prenderà il suo nome, Benedetto XVI celebra la messa nel giorno dell’ascensione. Ha davanti a se una città che vive la critica situazione di tanti operai: c’è la Fiat ma ci sono anche tante altre realtà industriali che sono nate come indotto del grande stabilimento. È un viaggio breve il suo, a poco più di una settimana dalle tappe di Giordania e Israele, la Terra Santa; visita nel luogo simbolo del monachesimo benedettino. Così prendendo spunto dalla spiritualità monastica che vede nel lavoro uno dei suoi cardini, Benedetto XVI esorta a “umanizzare il mondo lavorativo”; e sottolinea come la comunità locale cerchi “di stare a fianco dei numerosi lavoratori della grande industria presente a Cassino e delle imprese ad essa collegate”. Esprime solidarietà “a quanti vivono in una precarietà preoccupante, ai lavoratori in cassa integrazione o addirittura licenziati. La ferita della disoccupazione che affligge questo territorio induca i responsabili della cosa pubblica, gli imprenditori e quanti ne hanno la possibilità a ricercare, con il contributo di tutti, valide soluzioni alla crisi occupazionale, creando nuovi posti di lavoro a salvaguardia delle famiglie”. Famiglia, ricorda il Papa, che “ha urgente bisogno di essere meglio tutelata, poiché è fortemente insidiata nelle radici stesse della sua istituzione”. Il suo pensiero si rivolge quindi ai giovani “che fanno fatica a trovare una degna attività lavorativa che permetta loro di costruirsi una famiglia”. A loro dice: “Non scoraggiatevi”, la Chiesa “non vi abbandona”. La Chiesa “non è nata e non vive per supplire all’assenza del suo Signore scomparso, ma piuttosto trova la ragione del suo essere e della sua missione nell’invisibile presenza di Gesù”, afferma ancora il Papa. E questa presenza è attenzione “all'uomo fragile, debole, alle persone disabili e agli immigrati”.
Così quell’andare alla Casa della Carità, “dove si costruisce con i fatti una cultura attenta alla vita”, è un modo di proclamare, nello spirito benedettino, che “nella nostra vita nessuno e nulla devono togliere a Gesù il primo posto”. E questa attenzione dice il Papa, non ci distrae “al contrario ci spinge ancor di più a impegnarci nel costruire una società dove la solidarietà sia espressa da segni concreti”. E tra i gesti concreti c’è appunto la Casa, un ex ospedale nato nel 1357 per volere di una ricca abitante di San Germano, Gemma De Posis; ma c’è anche, annuncia al Papa l’arciabate don Pietro Vittorelli, una culla termica, una moderna “ruota” per accogliere – e lo dice da medico – una vita nata ma non desiderata.
Il monastero, dicevamo, ha un lato rivolto alla città e l’altro rivolto al monte. Preghiera continua, silenziosa come quella che monaci e monache, abati e abbadesse hanno rivolto a Dio nei solenni vespri celebrati in stile monastico nella basilica del monastero, un edificio quattro volte distrutto e altrettante ricostruito. Con Benedetto e la sua regola, i monasteri sono diventati “fervidi centri di dialogo, di incontro e di benefica fusione tra genti diverse, unificate dalla cultura evangelica della pace”. Grazie al triplice impegno monastico di preghiera, studio e lavoro, “interi popoli del continente europeo hanno conosciuto un autentico riscatto e un benefico sviluppo morale, spirituale e culturale, educando al senso della continuità con il passato, all’azione concreta per il bene comune, all’apertura verso Dio e la dimensione trascendente”. Perché come insegna il monachesimo, una grande crescita di civiltà “si prepara nel quotidiano ascolto della Parola di Dio che spinge i credenti a uno sforzo personale e comunitario di lotta contro ogni forma di egoismo e di ingiustizia”.
Solo così si diventa autentici costruttori di progresso civile e di pace. E proprio la pace è l’ultimo messaggio della giornata a Montecassino del Papa. Proprio la parola pace accoglie il pellegrino che giunge fino alla sommità del monte per entrare nel monastero. È dono di Dio affidato all’impegno umano, la pace, dice Benedetto XVI, che si ferma in preghiera presso il cimitero polacco, uno dei cinque sacrari – insieme a quelli francese, inglese, italiano e tedesco – dedicati ai caduti della seconda guerra mondiale. È stata proprio l’armata polacca a conquistare la vetta tenuta dai reparti tedeschi che, dopo il bombardamento, si erano rifugiati tra le rovine del monastero.
Lì nel silenzio, tra le croci bianche, le lapidi con i nomi dei 1.052 caduti, papa Benedetto si ferma in preghiera. Viene acceso un lume. Il Papa chiede a Dio che accolga “i caduti della guerra che qui ha infuriato, i caduti di ogni guerra che ha insanguinato la terra”; chiede ancora di donare “a quanti ancora soffrono a causa di guerre fratricide la forza della speranza invincibile, il coraggio di quotidiane azioni di pace”. Preghiera per dire: “La pace è più preziosa di ogni tesoro corruttibile”, per questo bisogna lavorare tutti insieme “instancabilmente, per preparare alle nuove generazioni un mondo dove regnino la giustizia e la pace”.

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