sabato 25 aprile 2009

La morte di Cristo è il sacrificio unico e definitivo: il fondamento della nostra fede nel Catechismo, nel Compendio e nella catechesi di Papa Wojtyla


Integrazione del post "La morte di Cristo è il sacrificio unico e definitivo..." con le parole di Benedetto XVI

Cari amici, le recenti dichiarazioni di Robert Zollitsch, presidente dei vescovi tedeschi, ci hanno sconcertato (e non poco!) perche' mettono in dubbio uno dei capisaldi, dei fondamenti, della nostra fede cattolica: la morte sacrificale di Cristo.
Per Zollitsch Dio si è unito all’uomo per solidarietà, per pura e semplice solidarieta'.
In sostanza, secondo questo presule, non possiamo parlare di sacrificio come di un dono dello stesso Dio Padre che consegna il Figlio suo per riconciliare noi con lui (614 Catechismo).
E' fuori di dubbio che Zollitsch abbia creato confusione nella mente dei semplici.
Rileggiamo allora alcuni paragrafi del Catechismo della Chiesa Cattolica, del Compendio e la catechesi tenuta da Giovanni Paolo II l'11 gennaio 1989, proprio sulla morte sacrificale di Cristo
.
R.

DAL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

L'agonia del Getsemani

612 Il calice della Nuova Alleanza, che Gesù ha anticipato alla Cena offrendo se stesso, [Cf ⇒ Lc 22,20 ] in seguito egli lo accoglie dalle mani del Padre nell'agonia al Getsemani [Cf ⇒ Mt 26,42 ] facendosi “obbediente fino alla morte” (⇒ Fil 2,8) [Cf ⇒ Eb 5,7-8 ]. Gesù prega: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!” (⇒ Mt 26,39). Egli esprime così l'orrore che la morte rappresenta per la sua natura umana. Questa, infatti, come la nostra, è destinata alla vita eterna; in più, a differenza della nostra, è perfettamente esente dal peccato [Cf ⇒ Eb 4,15 ] che causa la morte; [Cf ⇒ Rm 5,12 ] ma soprattutto è assunta dalla Persona divina dell' “Autore della vita” (⇒ At 3,15), del “Vivente” (⇒ Ap 1,17) [Cf ⇒ Gv 1,4; ⇒ Gv 5,26 ].
Accettando nella sua volontà umana che sia fatta la volontà del Padre, [Cf ⇒ Mt 26,42 ] Gesù accetta la sua morte in quanto redentrice, per “portare i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce” (⇒ 1Pt 2,24).

La morte di Cristo è il sacrificio unico e definitivo

613 La morte di Cristo è contemporaneamente il sacrificio pasquale che compie la redenzione definitiva degli uomini [Cf ⇒ 1Cor 5,7; ⇒ Gv 8,34-36 ] per mezzo dell'“Agnello che toglie il peccato del mondo” (⇒ Gv 1,29) [Cf ⇒ 1Pt 1,19 ] e il sacrificio della Nuova Alleanza [Cf ⇒ 1Cor 11,25 ] che di nuovo mette l'uomo in comunione con Dio [Cf ⇒ Es 24,8 ] riconciliandolo con lui mediante il sangue “versato per molti in remissione dei peccati” (⇒ Mt 26,28) [Cf ⇒ Lv 16,15-16 ].

614 Questo sacrificio di Cristo è unico: compie e supera tutti i sacrifici [Cf ⇒ Eb 10,10 ]. Esso è innanzitutto un dono dello stesso Dio Padre che consegna il Figlio suo per riconciliare noi con lui [Cf ⇒ 1Gv 4,10 ]. Nel medesimo tempo è offerta del Figlio di Dio fatto uomo che, liberamente e per amore, [Cf ⇒ Gv 15,13 ] offre la propria vita [Cf ⇒ Gv 10,17-18 ] al Padre suo nello Spirito Santo [Cf ⇒ Eb 9,14 ] per riparare la nostra disobbedienza.

DAL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA (Compendio)

112. Qual è l'importanza del Mistero pasquale di Gesù?

571-573

Il Mistero pasquale di Gesù, che comprende la sua passione, morte, risurrezione e glorificazione, è al centro della fede cristiana, perché il disegno salvifico di Dio si è compiuto una volta per tutte con la morte redentrice del suo Figlio, Gesù Cristo.

118. Perché la morte di Cristo fa parte del disegno di Dio?

599-605
619

Per riconciliare con sé tutti gli uomini votati alla morte a causa del peccato, Dio ha preso l'iniziativa amorevole di mandare suo Figlio perché si consegnasse alla morte per i peccatori. Annunciata nell'Antico Testamento, in particolare come sacrificio del Servo sofferente, la morte di Gesù avvenne «secondo le Scritture».

119. In quale modo Cristo ha offerto se stesso al Padre?

606-609
620

Tutta la vita di Cristo è libera offerta al Padre per compiere il suo disegno di salvezza. Egli dà «la sua vita in riscatto per molti» (Mc 10,45) e in tal modo riconcilia con Dio tutta l'umanità. La sua sofferenza e la sua morte manifestano come la sua umanità sia lo strumento libero e perfetto dell'Amore divino che vuole la salvezza di tutti gli uomini.

120. Come si esprime nell'ultima Cena l'offerta di Gesù?

610-611
620

Nell'ultima Cena con gli Apostoli alla vigilia della Passione Gesù anticipa, cioè significa e realizza in anticipo l'offerta volontaria di se stesso: «Questo è il mio corpo che è dato per voi» (Lc 22,19), «questo è il mio sangue, che è versato...» (Mt 26,28). Egli istituisce così al tempo stesso l'Eucaristia come «memoriale» (1 Cor 11,25) del suo sacrificio, e i suoi Apostoli come sacerdoti della nuova Alleanza.

121. Che cosa avviene nell'agonia dell'orto del Getsemani?

612

Malgrado l'orrore che procura la morte nell'umanità tutta santa di colui che è 1'«Autore della Vita» (At 3,15), la volontà umana del Figlio di Dio aderisce alla volontà del Padre: per salvarci, Gesù accetta di portare i nostri peccati nel suo corpo «facendosi ubbidiente fino alla morte» (Fil 2,8).

122. Quali sono gli effetti del sacrificio di Cristo sulla Croce?

613-617
622-623

Gesù ha liberamente offerto la sua vita in sacrificio espiatorio, cioè ha riparato le nostre colpe con la piena obbedienza del suo amore fino alla morte. Questo «amore fino alla fine» (Gv 13,1) del Figlio di Dio riconcilia con il Padre tutta l'umanità. Il sacrificio pasquale di Cristo riscatta quindi gli uomini in modo unico, perfetto e definitivo, e apre loro la comunione con Dio.

123. Perché Gesù chiama i suoi discepoli a prendere la loro croce?

618

Chiamando i suoi discepoli a prendere la loro croce e a seguirlo, Gesù vuole associare al suo sacrificio redentore quegli stessi che ne sono i primi beneficiari.


GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 11 gennaio 1989


1. Nelle catechesi più recenti abbiamo spiegato, con l’aiuto di testi biblici, l’articolo del Simbolo degli apostoli che dice di Gesù: “Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso . . . e fu sepolto”. Non si trattava solo di narrare la storia della passione, ma di penetrare la verità di fede che vi è racchiusa e che il Simbolo ci fa professare: la Redenzione umana operata da Cristo col suo sacrificio. Ci siamo particolarmente soffermati nella considerazione della sua morte e delle parole da lui pronunciate durante l’agonia sulla Croce, secondo la relazione che ce ne hanno tramandato gli evangelisti. Tali parole ci aiutano a scoprire e a capire maggiormente in profondità lo spirito con cui Gesù si è immolato per noi.
Quell’articolo di fede si conclude, come abbiamo appena ripetuto, con le parole: “. . . e fu sepolto”. Sembrerebbe una pura annotazione di cronaca: è invece un dato il cui significato rientra nell’orizzonte più ampio di tutta la cristologia.
Gesù Cristo è il Verbo che si è fatto carne per assumere la condizione umana e farsi simile a noi in tutto, eccetto che nel peccato (cf. Eb 4, 15). È diventato veramente “uno di noi” (cf. Gaudium et Spes, 22), per potere operare la nostra redenzione, grazie alla profonda solidarietà instaurata con ogni membro della famiglia umana. In quella condizione di uomo vero, ha subìto interamente la sorte dell’uomo, fino alla morte, alla quale consegue abitualmente la sepoltura, almeno nel mondo culturale e religioso nel quale egli si è inserito ed è vissuto.
La sepoltura di Cristo è dunque oggetto della nostra fede in quanto ci ripropone il suo mistero di Figlio di Dio che si è fatto uomo e s’è spinto fino all’estremo della vicenda umana.

2. A queste parole conclusive dell’articolo sulla Passione e morte di Cristo, si ricollega in certo modo l’articolo successivo che dice: “Discese agli inferi”. In tale articolo si riflettono alcuni testi del nuovo testamento che vedremo subito. È bene però premettere che, se nel periodo delle controversie con gli ariani la formula suddetta si trovava nei testi di quegli eretici, essa però era stata introdotta anche nel cosiddetto “Simbolo di Aquileia”, che era una delle professioni della fede cattolica allora vigenti, redatta alla fine del IV secolo (cf. Denz-Schönm 16). Essa entrò definitivamente nell’insegnamento dei Concili col Lateranense IV (1215) e col II Concilio di Lione nella professione di fede di Michele Paleologo (1274).
Va inoltre chiarito in partenza che l’espressione “inferi” non significa l’inferno, lo stato di dannazione, ma il soggiorno dei morti, ciò che in ebraico era detto “sheol” e in greco “hades” (cf. At 2, 31).

3. I testi del nuovo testamento, dai quali è derivata quella formula, sono numerosi. Il primo si trova nel discorso di Pentecoste dell’apostolo Pietro, il quale, richiamandosi al Salmo 16 per confermare l’annunzio della Risurrezione di Cristo, ivi contenuto, afferma che il profeta Davide “previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli inferi né la sua carne vide corruzione” (At 2, 31). Un significato simile ha la domanda che pone l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani: “Chi discenderà nell’abisso? Questo significa far risalire Cristo dai morti” (Rm 10, 7).
Anche nella lettera agli Efesini, vi è un testo che, sempre in relazione a un versetto dal Salmo 69: “Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini” (Sal 69, 19), pone una domanda significativa: “Ma che significa la Parola “ascese” se non che prima era disceso nelle parti inferiori della terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli per riempire tutte le cose” (Ef 4, 8-10). In questo modo l’autore sembra collegare la “discesa” di Cristo nell’abisso (in mezzo ai morti), di cui parla la lettera ai Romani, con la sua ascensione al Padre, che dà inizio al “compimento” escatologico di ogni cosa in Dio.
A questo concetto corrispondono anche le parole messe in bocca a Cristo: “Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi” (Ap 1, 17-18).

4. Come si vede dai testi riportati, l’articolo del Simbolo degli apostoli “discese agli inferi”, trova il suo fondamento nelle affermazioni del nuovo testamento sulla discesa di Cristo, dopo la morte sulla Croce, nel “paese della morte”, nel “luogo dei morti”, che nel linguaggio dell’antico testamento era chiamato l’“abisso”. Se nella lettera agli Efesini si dice “nelle parti inferiori della terra”, è perché la terra accoglie il corpo umano dopo la morte, e così accolse anche il corpo di Cristo spirato sul Golgota, come descrivono gli evangelisti (cf. Mt 27, 59 s. et par; Gv 19, 40-42). Cristo è passato attraverso un’autentica esperienza della morte, compreso il momento finale che generalmente fa parte della sua economia globale: è stato deposto nel sepolcro.
È una conferma che la sua fu una morte reale, e non solo apparente. La sua anima, separata dal corpo, era glorificata in Dio, ma il corpo giaceva nel sepolcro allo stato di cadavere.
Durante i tre giorni (non completi) passati tra il momento in cui “spirò” (cf. Mc 15, 37) e la Risurrezione, Gesù ha sperimentato lo “stato di morte”, cioè la separazione dell’anima dal corpo, nello stato e condizione di tutti gli uomini. Questo è il primo significato delle parole “discese agli inferi”, legate a ciò che lo stesso Gesù aveva preannunziato quando, riferendosi alla storia di Giona, aveva detto: “Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra” (Mt 12, 40).

5. Proprio di questo si trattava: il cuore, o il seno della terra. Morendo sulla Croce, Gesù ha rimesso il suo spirito nelle mani del Padre: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23, 46). Se la morte comporta la separazione dell’anima dal corpo, ne consegue che anche per Gesù si è avuto da una parte lo stato di cadavere del corpo, e dall’altra la piena glorificazione celeste della sua anima sin dal momento della morte. La prima lettera di Pietro parla di questa dualità, quando, riferendosi alla morte subita da Cristo per i peccati, dice di lui: “Messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito” (1 Pt 3, 18). Anima e corpo si trovano dunque nella condizione terminale rispondente alla loro natura, anche se sul piano ontologico l’anima tende a ricomporre l’unità col proprio corpo. L’Apostolo però aggiunge: “In spirito (Cristo) andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione” (1 Pt 3, 19). Questa sembra essere una rappresentazione metaforica dell’estensione della presenza del Cristo crocifisso anche a coloro che erano morti prima di lui.

6. Pur nella sua oscurità, il testo petrino conferma gli altri quanto alla concezione della “discesa agli inferi” come adempimento, fino alla pienezza, del messaggio evangelico della salvezza. È Cristo che, deposto nel sepolcro quanto al corpo, ma glorificato nella sua anima ammessa alla pienezza della visione beatifica di Dio, comunica il suo stato di beatitudine a tutti i giusti di cui, quanto al corpo, condivide lo stato di morte.
Nella lettera agli Ebrei si trova descritta l’opera di liberazione dei giusti da lui compiuta: “Poiché . . . i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (Eb 2, 14-15). Come morto - e nello stesso tempo come vivo “per sempre” - Cristo ha “potere sopra la morte e sopra gli inferi” (cf. Ap 1, 17-18).
In questo si manifesta e realizza la potenza salvifica della morte sacrificale di Cristo, operatrice di Redenzione nei riguardi di tutti gli uomini: anche di coloro che erano morti prima della sua venuta e della sua “discesa agli inferi”, ma che furono raggiunti dalla sua grazia giustificatrice.

7. Nella prima lettera di san Pietro leggiamo ancora: “. . . è stata annunziata la buona Novella anche ai morti, perché pur avendo subìto, perdendo la vita del corpo, la condanna comune a tutti gli uomini, vivano secondo Dio nello spirito” (1 Pt 4, 6). Anche questo versetto, pur non essendo di facile interpretazione, ribadisce il concetto della “discesa agli inferi” come l’ultima fase della missione del Messia: fase “condensata” in pochi giorni dai testi che tentano di farne una presentazione accessibile a chi è abituato a ragionare e a parlare in metafore temporali e spaziali, ma immensamente vasto nel suo significato reale di estensione dell’opera redentrice a tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, anche di coloro che nei giorni della morte e della sepoltura di Cristo giacevano già nel “regno dei morti”. La Parola del Vangelo e della Croce tutti raggiunge, anche quelli appartenenti alle generazioni passate più lontane, perché tutti coloro che si sono salvati sono stati resi partecipi della Redenzione, anche prima che avvenisse l’evento storico del sacrificio di Cristo sul Golgota.
La concentrazione della loro evangelizzazione e Redenzione nei giorni della sepoltura vuole sottolineare che nel fatto storico della morte di Cristo s’innesta il mistero super-storico della causalità redentiva dell’umanità di Cristo, “strumento” della divinità onnipossente.
Con l’ingresso dell’anima di Cristo nella visione beatifica in seno alla Trinità, trova il suo punto di riferimento e di spiegazione la “liberazione dalla prigione” dei giusti, che prima di Cristo erano discesi nel regno della morte. Per Cristo e in Cristo si apre davanti ad essi la libertà definitiva della vita dello Spirito, come partecipazione alla vita di Dio (cf. S. Thomae, Summa Theologiae III, q. 52, a. 6). Questa è la “verità” che si può trarre dai testi biblici citati e che è espressa nell’articolo del Credo che parla di “discesa agli inferi”.

8. Possiamo dunque dire che la verità espressa dal Simbolo degli apostoli con le parole “discese agli inferi”, mentre contiene una riconferma della realtà della morte di Cristo, nello stesso tempo proclama l’inizio della sua glorificazione. E non solo di lui, ma di tutti coloro che per mezzo del suo sacrificio redentore sono maturati alla partecipazione della sua gloria nella felicità del Regno di Dio.

© Copyright 1989 - Libreria Editrice Vaticana

1 commento:

el cid ha detto...

Ditelo al presidente dei vescovi tedeschi, quello che è stato eletto per far dispetto al papa.