mercoledì 29 aprile 2009

Benedetto tra i terremotati, testimone di solidarietà (Valli)


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Benedetto tra i terremotati, testimone di solidarietà

Il papa teologo in Abruzzo sfata il luogo comune che lo considera “freddo”

Aldo Maria Valli

L’AQUILA

Partecipazione, ammirazione, incoraggiamento, dolcezza.
Benedetto XVI nelle poche ore trascorse all’Aquila è riuscito a comunicare tutto questo. Lo ha fatto con le parole, certamente, ma soprattutto con se stesso, con il proprio atteggiamento, con la disponibilità all’incontro.
Paterno, umanissimo, ha sfatato il luogo comune del “papa freddo”, come ha prontamente rimarcato anche l’Osservatore romano, ed è stato padre fino in fondo.
«Vorrei abbracciarvi con affetto uno ad uno», ha detto ad Onna, il paesino fantasma, davanti alle rovine. E attraverso la sua presenza le persone che vivono nelle tende hanno davvero sentito che in quel momento, con Benedetto, tutta la Chiesa era lì.
«C’è in voi una forza d’animo che suscita speranza», ha aggiunto il papa con un omaggio al carattere abruzzese, e forse tra il pontefice tedesco e questa gente mai teatrale, questo popolo così dignitoso e composto, si è creato un feeling speciale.
Il teologo non ha potuto mancare di sottolineare che la presenza di un papa in mezzo a una tale tragedia è segno tangibile del fatto che il Risorto non abbandona mai gli uomini, che Dio non lascia inascoltato il grido di dolore. È questa l’argomentazione più difficile per l’uomo di fede, sempre spiazzato di fronte al mistero del male.
Ma Benedetto non ha aggirato l’ostacolo.
Come suo solito, ha preso anzi spunto dalla realtà per precisare che cos’è davvero la fede del cristiano. Si è chiesto: «Che cosa vuol dirci il Signore attraverso questo triste evento?». La risposta non è stata esplicita, ma ha rimandato al mistero pasquale: «Abbiamo celebrato la morte e la risurrezione di Cristo portando nella mente e nel cuore il vostro dolore, pregando perché non venisse meno nelle persone colpite la fiducia in Dio e la speranza».
Ma Benedetto non si è limitato a un’omelia sul piano spirituale. I suoi messaggi hanno toccato anche la sfera sociale ed economica.
La terra d’Abruzzo, ha detto, deve tornare a essere ornata di case e chiese «belle e solide» e poi, parlando della solidarietà, ha sottolineato che è un sentimento cristiano, certamente, ma è anche virtù altamente civica, al punto che proprio la solidarietà verso il bisognoso «misura la maturità di una società». Né è mancato il monito sulle cause della tragedia e sulla necessità di non ricadere negli stessi errori, quando ha detto che, come comunità civile, «occorre fare un serio esame di coscienza, affinché il livello delle responsabilità, in ogni momento, non venga mai meno». Parole pronunciate nel discorso tenuto nel piazzale della caserma di Coppito, avendo davanti il presidente della regione Chiodi, il sindaco Cialente e l’arcivescovo Molinari che si è fatto interprete dei sentimenti della sua gente chiedendo al pontefice di pregare perché l’Aquila «risorga presto, con il contributo di tutti, cercando sinceramente il bene di tutti», perché «ogni ostacolo alla rinascita del mondo del lavoro, alla costruzione di nuove case, alla rinascita della nostra università sarebbe un delitto infame che gli aquilani non perdonerebbero mai».
Benedetto ha intercettato questi sentimenti, se n’è fatto carico e la gente ha visto in lui un testimone credibile di solidarietà e di speranza. La mancanza di rigide misure di sicurezza ha favorito il contatto umano con i terremotati, così abbiamo potuto vedere di che cosa è capace Ratzinger quando ha la possibilità di intrattenersi con le persone.
L’omaggio reso a Celestino V, le cui spoglie sono rimaste intatte nella semidistrutta basilica di Collemaggio, non è stato solo formale ed ha assunto un significato che va al di là dell’atto di venerazione verso una reliquia.
Deponendo su quell’urna il pallio, la fascia di lana simbolo di speciale legame con la sede pontificia, Benedetto ha riscattato la memoria dell’umile frate Pietro da Morrone, benedettino insoddisfatto, poi eremita e infine inopinatamente eletto papa nel 1294 dai cardinali maneggioni che, non riuscendo a trovare un accordo tra la sete di potere degli Orsini e dei Colonna, videro in lui una scappatoia.
Restò al suo posto solo cinque mesi, il tempo necessario per fargli capire che quello scherzo di cattivo gusto non poteva durare, anche perché il potere temporale, nelle vesti di Carlo d’Angiò, aveva deciso anch’esso di usare il papa per i suoi giochi spregiudicati. Celestino passò alla storia come il papa che fece per viltà il gran rifiuto, ma in realtà fece valere le ragioni della coscienza, proprio quella coscienza che oggi Benedetto XVI esalta nel suo ultimo libro affermando che bisogna ubbidire a Dio, non agli uomini e che, quando si tratta di scegliere tra il potere e la verità, il cristiano non deve avere dubbi.

© Copyright Europa, 29 aprile 2009 consultabile online anche qui.

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