mercoledì 29 aprile 2009

Casavola commenta la visita di Benedetto XVI in Abruzzo ricordando il saggio su Newman: quale spirito di libertà in questo Papato!


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di FRANCESCO PAOLO CASAVOLA

PAPA Benedetto XVI è andato in Abruzzo a venti giorni dal sisma del 6 aprile.
Dopo che a l’Aquila e nei paesi terremotati sono andate tutte le più alte autorità dello Stato e più e più volte il presidente del Consiglio, non pochi si interrogherano come applicare, e con quale interpretazione, la formula che gli inglesi usano in simili casi, last but not least, ultimo ma non per ultimo.
Occorre ricordare che alla celebrazione della messa dinanzi alle bare delle vittime, officiata dal Segretario di Stato del Vaticano, cardinale Bertone, il Papa inviò un messaggio personale, che fu letto dal suo segretario particolare.
E occorre ricordare che la Chiesa italiana fu subito sollecitamente presente con le sue organizzazioni e con il presidente della Conferenza episcopale, cardinale Bagnasco.
Ma si direbbe che il Pontefice abbia inteso non interferire, neppure con immagini mediatiche, con la macchina dei soccorsi, lasciata doverosamente nella responsabilità delle pubbliche istituzioni, nazionali e locali.
Se questa congettura si approssima alla realtà, avremmo forse qualche ragione per ritenere che il pontificato di Joseph Ratzinger procede per una linea evolutiva, a lungo fraintesa dai suoi osservatori più critici. La scrupolosa vigilanza a non uscire dai confini della missione petrina non è mai venuta meno. Quando è parso che in questioni di morale personale e sociale la Chiesa abbia voluto influenzare la legislazione dello Stato, si dimentica che la religione è una fonte della morale per la comunità dei credenti e per la società in cui essi vivono. Ne consegue che la Chiesa è parte esponenziale della società e come tale, prima ancora che destinataria della libertà costituzionale di religione, può esprimere le proprie istanze etiche, affidandole alla coscienza civile del Paese e alla libere determinazioni democratiche dei cittadini, anche al di là delle loro professioni di fede cattolica o di altre fedi o di nessuna.
Proprio Ratzinger teologo vede il Papa, già all’interno della sua Chiesa, come il garante della memoria cristiana, alimento della maturazione della coscienza personale di ciascun credente.
Con la stessa ispirazione del cardinale John Henry Newman, che nel diciannovesimo secolo si convertì al cattolicesimo dallo scisma anglicano, Ratzinger pensa che la coscienza personale sia l’originario vicario di Cristo.
Dunque, quale spirito di libertà in questo Papato!
Se la Chiesa fosse tentata di fondare lo Stato di Dio, quella libertà sarebbe soppressa nell’istante in cui verrebbe meno l’alternativa e la separazione evangelica tra Cesare e Dio, che il seme remoto della laicità dello Stato, frutto purtroppo tardivo della cultura occidentale.
Non mescolare le due sfere di responsabilità e di compiti è un dovere per la suprema autorità della Chiesa, come per i responsabili istituzionali dello Stato.
Il Papa porta alle popolazioni che hanno sofferto la morte dei congiunti e la distruzione delle case il conforto di un colloquio del cuore con Dio.
Solo in tale intreccio di parole e di silenzi può sciogliersi l’angoscia dei perché della prova, e farsi avanti la speranza di vivere con maggiore consapevolezza una vita più giusta e fraterna. Soccorsi di altra natura, pur non essendo esclusi dalla carità umana e cristiana, spettano ad altri, cui è preclusa la cella segreta della coscienza individuale. Qoelet, figlio di Davide re di Gerusalemme, scrisse “Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo”.
Ratzinger lo ha ascoltato.

© Copyright Il Messaggero, 29 aprile 2009 consultabile online anche qui.

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