mercoledì 29 aprile 2009

Abbraccia la gente, stringe le mani. Consola e prega. C'è chi ha asciugato lacrime ieri sul vestito bianco di Benedetto XVI (Bobbio)


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Il Papa all'Aquila: questa terra risorga

Alberto Bobbio

L'Aquila

Abbraccia la gente, stringe le mani. Consola e prega. C'è chi ha asciugato lacrime ieri sul vestito bianco di Benedetto XVI a Onna e poi all'Aquila.
Arriva in auto, perché le nuvole basse e la pioggia avevano sconsigliato il viaggio in elicottero. Dice che è venuto a condividere «lo sgomento e le lacrime per i defunti».
Ma invita anche a guardare al futuro, spiegando che «occorre fare un serio esame di coscienza, affinché il livello di responsabilità, in ogni momento, mai venga meno».
E avverte: «A questa condizione L'Aquila, anche se ferita, potrà tornare a volare».
È stata una Via Crucis in tre tappe, dentro il dolore della gente, per le vite e le cose sbriciolate in pochi secondi. Onna, prima stazione.
Piove. Fa freddo. L'auto nera del Papa percorre piano la strada di fango che costeggia le macerie del borgo, fino alla tendopoli. Non c'è protocollo e anche l'ombrello bianco che tengono sul capo del Papa viene chiuso, anche se piove ancora un po'.
Scende e si sporca le scarpe di fango, mentre saluta il vescovo Giuseppe Molinari, mentre stringe a lungo le mani di Guido Bertolaso, mentre ha una parola anche per monsignor Orlando Antonini, nunzio apostolico in Paraguay, abruzzese che a Villa San Angelo ha perso nel terremoto otto parenti, mentre ringrazia don Cesare Cardoso, il parroco di Onna.
Stringe mani, anche quelle di alcuni ragazzi musulmani dell'Islam Relief Italia, che sono qui da venti giorni per aiutare.

«Vorrei abbracciarvi uno a uno»

Sale su una pedana e dice: «Vorrei abbracciarvi uno a uno». E rivela che «se fosse stato possibile avrei desiderato recarmi in ogni paese e in ogni quartiere, venire in tutte le tendopoli e incontrare tutti».
Definisce l'Abruzzo «terra splendida e ferita»: «Mi rendo ben conto che nonostante l'impegno di solidarietà manifestato da ogni parte, sono tanti e quotidiani i disagi che comporta vivere fuori casa, o nelle automobili, o nelle tende, ancor più a causa del freddo e della pioggia». Osserva che la «Chiesa tutta e qui con me», per «aiutarvi a ricostruire case, chiese, aziende crollate o gravemente danneggiate». E dice tutta la sua ammirazione «per il coraggio, la dignità e la fede con cui avete affrontato anche questa dura prova, manifestando grande volontà di non cedere alle avversità».
Cita, per sottolineare la speranza che nasce dalla forza d'animo d'un popolo di montagna, un frase che gli anziani si ripetono continuamente: «Ci sono ancora tanti giorni dietro il Gran Sasso».
È la speranza che può dare ali all'Abruzzo ferito. Il Papa spiega che lo chiedono anche i morti: «Attendono da voi una testimonianza di coraggio e di speranza, attendono di veder rinascere questa loro terra, che deve tornare a ornarsi di case e di chiese, belle e solide».
Assicura la gente che «Dio non vi abbandona» e non è «sordo al grido di chi ha perso case, risparmi, lavoro e a volte anche vite umane». Ma bisogna stare attenti a non «limitarsi all'emergenza iniziale». La «solidarietà deve diventare un progetto stabile e concreto nel tempo». Per questo il Papa nella prima stazione della Via Crucis attraverso il terremoto ha incoraggiato «tutti, istituzioni e imprese, affinché questa città e questa terra risorgano».

«È molto peggio di quello che pensavo»

Scende della pedana e abbraccia di chi è sopravvissuto, ma deve contare 40 morti, tirati fuori dalle macerie delle case sbriciolate là in fondo. Le tre suore dell'asilo di Onna gli mostrano la tenda dove vivono adesso.
E Ratzinger dice: «Avete fatto molto bene a stare qui. È una grande testimonianza che date al vostro popolo». Poi sale nella jeep con Bertolaso alla guida, loro due soli, e si infila tra le macerie delle case di Onna.
Dirà poco dopo alla basilica di Collemaggio, seconda stazione: «Adesso che ho visto di persona mi rendo conto che è peggio di quello che pensavo». Non c'è Papamobile oggi per Benedetto XVI. Su un pulmino bianco della Protezione civile arriva nella chiesa di Celestino V, il Papa del «gran rifiuto». Gli aprono appena la porta santa. La teca con i resti del suo predecessore è lì sull'ingresso.
Il Papa lascia il pallio che gli misero sulle spalle il giorno della sua elezione. Ma lui vorrebbe entrare. Ci prova. Lo trattengono, tutto è pericolante.
Da qui alla Casa dello studente c'è meno di un chilometro.
La zona è completamente inaccessibile. Lo aspettano 12 studenti insieme al cappellano dell'università, don Luigi Epicopo. È la terza stazione. Lui si informa delle facoltà frequentate, degli esami e delle lezioni precarie.
Alcuni studiano ingegneria. E il Papa li sprona a studiare bene perché così si possono costruire case più sicure. È un dialogo fitto, loro da soli, in faccia alle macerie. Maria Fidanza, studentessa di Comunione e liberazione, gli consegna una lettera che hanno scritto gli universitari di Cl, per ringraziarlo.

Il vescovo Molinari: ricostruzione subito

L'ultima tappa è nella caserma della Guardia di finanza. In una sala incontra i sacerdoti terremotati, si informa con ognuno dei danni e delle vittime nelle loro parrocchie. Poi saluta i sindaci dei 49 Comuni disastrati. E parla alla gente e ai volontari. Spiega che la solidarietà è un «sentimento altamente civico e cristiano e misura la maturità di una società». Ma non deve essere solo una «efficiente macchina organizzativa», dentro deve avere «un'anima, una passione», sia che «avvenga nelle forme istituzionali», sia in quelle del volontariato: «Anche a questo oggi voglio rendere omaggio».
Il vescovo Molinari, in un discorso dai toni assai fermi, chiede al Papa di pregare insieme a tutta la città, perché «questa solidarietà delle istituzioni continui nel tempo e le promesse vengano mantenute», perché «non si infranga in poveri interessi di parte», perché si rispettino le «competenze di tutti», senza cedere alla «più piccola forma di ostruzionismo», perché la «ricostruzione dell'Aquila o ci sarà subito o non ci sarà». E questa sarebbe «la nostra morte più brutta di quella già tanto tragica causata dal terremoto»: «Ogni ostacolo alla rinascita del mondo del lavoro, alla costruzione di nuove case, alla rinascita della nostra università sarebbe un delitto infame, che gli aquilano non perdoneranno mai».
Lo ripete anche il sindaco Massimo Cialenti: «Continui a pregare per noi, Santo Padre. Ne abbiamo bisogno».

© Copyright Eco di Bergamo, 29 aprile 2009

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