lunedì 17 novembre 2008

Eluana, quell'arbitrio che pretende di giudicare il mistero della vita (Cartabia)


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ELUANA/ Quell’arbitrio che pretende di giudicare il mistero della vita

Marta Cartabia

Poiché l’affare è privato, Eluana può morire. È un motivo procedurale quello che sostiene la decisione, l’ultima e definitiva decisione giudiziaria della Cassazione a sezioni unite sul caso Englaro: la procura di Milano non ha titolo per opporsi alla precedente decisione della Corte di appello che autorizzava l’interruzione della alimentazione e dell’idratazione della giovane donna in stato vegetativo, perché non è coinvolto alcun interesse pubblico, ma solo una decisione individuale.
Dunque nessuna legittimazione della procura – il soggetto che rappresenta la sfera pubblica nel processo – perché la decisione sulla vita e la morte di una persona è un affare privato.
Déjà vu: nel 1973 la Corte suprema degli Stati Uniti nel famosissimo caso Roe v. Wade inaugurava la liberalizzazione dell’aborto in nome della privacy della donna incinta: decidere se portare a termine una gravidanza è un affare privato, in cui la società non deve intromettersi. La vita e la morte sono un affare privato.

Dietro l’apparente asetticità di una decisione procedurale – “il ricorso è inammissibile” – si nasconde in realtà una precisa concezione sostanziale. Dire che non c’è un interesse pubblico in una vicenda come quella di Eluana Englaro significa dire che ognuno deve poter decidere da sé sulla propria vita e sulla propria morte. È il trionfo del diritto alla privacy: un diritto dell’uomo che spesso, troppo spesso porta a gravi decisioni contro l’uomo. Un tragico paradosso del nostro tempo.

Ma la decisione delle Sezione unite è solo l’ultimo sviluppo, non obbligato peraltro, di una serie di decisioni e di responsabilità che coinvolgono molti altri soggetti istituzionali. Nell’ottobre 2007 la Cassazione, sezione I civile, aveva già posto le premesse per questo epilogo, nel momento in cui aveva deciso che il caso Englaro doveva essere risolto cercando di ricostruire la volontà della malata, in stato di incoscienza ormai da sedici anni. C’erano anche altre strade percorribili per risolvere il caso, ma la Cassazione ha prescelto quella della volontà.

Ancora più grave la leggerezza con cui la Corte d’Appello di Milano nel luglio 2008 aveva ritenuto di poter desumere una volontà chiara e inequivocabile di Eluana dalla testimonianza di alcune amiche e soprattutto dallo “stile di vita” della malata. Un carattere autonomo, indipendente e libero, dunque vuole morire, si è detto.

Indizi ed elementi, quelli dai quali si è ricostruita la presunta volontà di morire di Eluana Englaro, talmente fragili che se si utilizzassero parametri così blandi ed evanescenti per decisioni di altra natura – ad esempio per concludere un contratto o per disporre di beni materiali – non si esiterebbe a dire che la volontà del soggetto è viziata o manca o non è univocamente accertabile. Ma per decidere di morire basta molto meno, così ci insegnano i nostri giudici.

Il presupposto di tutte le decisioni, sempre affermato assertivamente, è che Eluana vive una non vita. La scienza però non è in grado di dire una parola certa sulla vita in stato vegetativo: è piuttosto una vita avvolta nel mistero. Chi potrebbe affermare oltre ogni ragionevole dubbio che Eluana non prova nessun sentimento e nessuna sensazione? Nessuno ha avanzato l’ipotesi che, nel dubbio, potrebbe essere più opportuno proteggere la vita, a puro scopo di precauzione.
Fin qui le responsabilità delle autorità giudiziarie, che si innestano su un vuoto legislativo che non è ancora stato colmato. Salvo pochissime eccezioni, il mondo delle istituzioni politiche rimane inerte. Il governo e il parlamento non hanno saputo sfruttare il tempo offerto loro su un piatto d’argento dalla impugnazione della procura di Milano per giungere all’ approvazione di una legge sui problemi di fine vita. Eppure all’occorrenza in passato si è trovata la strada per interventi normativi anche d’urgenza su questioni molto meno decisive per la vita del popolo italiano all’esame della magistratura. Se anziché cimentarsi con un improbabile conflitto di attribuzione, il cui esito era fin troppo facile pronosticare, le camere avessero speso le loro energie per fissare alcuni contorni ai problemi giuridici sulla fine della vita, forse oggi non saremmo di fronte a questo triste epilogo.
Un verdetto che riguarda anche ciascuno di noi che assistiamo impotenti alla fine di una vita.

© Copyright Il Sussidiario, 17 novembre 2008

2 commenti:

Anonimo ha detto...

sono completamente d'accordo con le argomentazioni di questo articolo; pensiamo che, se vent'anni fa la stessa Eluana avesse ripetutamente detto a una sua amica di essere intenzionata a lasciarle, tanto per fare un esempio, una catenina d'oro, ma non lo avesse scritto in nessun testamento, quell'ipotetica amica, dopo la morte di Eluana, non avrebbe alcuna possibilità di ottenere per sé la catenina, perché la legge è molto chiara al riguardo e, al di là degli eredi legittimi e legittimari, solo un testamento olografo, pubblico o segreto, permette ad altri soggetti di essere chiamati all'eredità. Solo in queste forme è legalmente riconosciuta l'estrinsecazione della volontà mortis causa di una persona, neppure eventuali testimoni bastano da soli. E parliamo di beni patrimoniali, di cose, di "roba". La nostra magistratura ha invece ammesso come accertata la ricostruzione delle ultime volontà di Eluana riguardo alla sua stessa vita, quello che fino a ieri era il bene indisponibile per eccellenza, sulla base di una dichiarazione che non è nemmeno stata resa coi crismi di un consenso informato. Non voglio dover pensare che d'ora in poi la vita di un essere umano sia più disponibile della "roba".

euge ha detto...

Credo che il tuo non pensiero sia proprio la realtà. Che la vita umana oggi valga meno di niente lo possiamo evincere dagli innumerevoli episodi di violenza che sentiamo ormai quasi quotidianamente riportati dalle cronache aggiungiamo tutti coloro che rimangono vittime di qualsivoglia tipo di incidente stradale con diverse cause ed ecco quanto vale una vita. Evidentemente questo concetto di inviolabilità e rispetto, viene identificato con uno dei tanti insegnamenti strettamante legati alla dottrina mentre, io sono dell'idea che questo concetto dovrebbe essere condiviso anche da coloro che credenti non sono; perchè a prescindere dal credo di ognuno, l'essere umano va rispettato. Comunque, azzeccagarbugli, condivido con te la questione del testamento scritto che permette di gestire la " roba" come la chiami tu; mantre nel caso di Eluana ci si basa su sentito dire: forse ha detto, in un discorso ho sentito che diceva....... un pò pochini per decidere della vita e della morte di una persona.