lunedì 24 novembre 2008
Il card. Saraiva Martins convinto che si debba essere immuni da interferenze esterne, positive e negative, nei processi di beatificazione dei Papi
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Intervista con il cardinale José Saraiva Martins, dal 1998 allo scorso luglio prefetto della Congregazione delle Cause dei santi. Dieci anni in cui sono stati proclamati 1108 beati e 217 santi
Intervista con il cardinale José Saraiva Martins di Gianni Cardinale
Il 9 luglio scorso il porporato portoghese José Saraiva Martins ha lasciato l’incarico di prefetto della Congregazione delle Cause dei santi e al suo posto è stato nominato il salesiano Angelo Amato, che fino a quella data era segretario della Congregazione per la Dottrina della fede. Il cardinale Saraiva, che ha compiuto 76 anni a gennaio, ha ricoperto l’incarico per poco più di dieci anni e ha accettato volentieri di tracciare per 30Giorni un bilancio della sua “prefettura” in uno dei dicasteri più importanti e delicati della Curia romana.
Il 30 maggio 1998 lei è stato il primo non cardinale a essere nominato subito prefetto, e non pro-prefetto, di una Congregazione romana.
JosÉ Saraiva Martins: In effetti, è stato così. Ricordo che qualcuno quel giorno mi chiamò dicendomi che L’Osservatore Romano nel pubblicare la notizia della mia nomina si era sbagliato, compiendo una gaffe clamorosa… Perché in effetti fino ad allora se un non cardinale veniva nominato alla guida di un dicastero romano assumeva la carica di pro-prefetto e il “pro” spariva solo quando c’era la creazione cardinalizia dell’interessato. Invece no, non c’era alcuna gaffe, evidentemente la Santa Sede aveva ritenuto che era arrivato il tempo di semplificare le procedure di nomina. Perché di fatto i poteri di un pro-prefetto erano gli stessi di quelli di un prefetto.
In dieci anni alla guida del dicastero quanti beati e santi ha “aiutato” a salire agli onori degli altari?
Saraiva Martins: Posso rispondere perché i miei ormai ex collaboratori si sono presi la briga di fare questo tipo di calcoli. Devo dire innanzitutto che la mia nomina è stata fatta da Giovanni Paolo II, che, durante il suo pontificato, ha riconosciuto più santi e beati di tutti i suoi predecessori messi insieme, almeno da quando la Sede apostolica ha avocato a sé questo tipo di decisioni. Prima di papa Wojtyla infatti – dal 1588, anno di nascita della Congregazione, al 1978 – erano stati elevati agli onori degli altari complessivamente 808 beati e 296 santi. Con Giovanni Paolo II, dal 1978 al 2005, sono stati “fatti” 1.353 beati e 482 santi; e, tra questi, durante la mia “prefettura”, sono stati elevati 553 beati in 39 cerimonie e 203 santi in 17 cerimonie. A questi devono essere aggiunti i santi (14) e i beati (555) riconosciuti durante il pontificato di Benedetto XVI fino al luglio scorso. Complessivamente quindi in dieci anni ho avuto il privilegio di “aiutare” nel salire agli onori degli altari 1.108 beati e 217 santi. Un bell’esercito, non c’è che dire… Speriamo che almeno qualcuno di loro si ricordi di me in Cielo.
Lei poi, in virtù della nuova prassi adottata all’inizio del nuovo pontificato, ha presieduto anche alle cerimonie di beatificazione…
Saraiva Martins: In effetti, in base a questa nuova prassi, queste cerimonie, che in precedenza erano presiedute dal Papa, ora invece lo sono da un cardinale, e di norma dal prefetto della Congregazione. E proprio in questa veste ho avuto il privilegio di presiedere a 41 delle 49 cerimonie di beatificazione che si sono svolte durante la fase per così dire “ratzingeriana” della mia prefettura.
Quale è stata la cerimonia, di queste 41, che l’ha più colpita?
Saraiva Martins: Tutte sono state belle, ma mi ha commosso particolarmente quella celebrata in Messico per la beatificazione dei martiri delle persecuzioni del secolo scorso. Si è svolta allo stadio di Guadalajara alla presenza di ottantamila fedeli. Lì ho capito ancora meglio la saggezza della nuova prassi che prevede di non fare cerimonie di beatificazione a Roma, ma nelle Chiese locali. Se infatti questa celebrazione si fosse svolta a Roma ben poche di quelle persone avrebbero potuto permettersi di pagare il viaggio… Senza contare che nello stadio di Guadalajara hanno addirittura messo una lapide per immortalare la cerimonia. Un fatto inimmaginabile qui da noi nella vecchia Europa.
E dell’esercito di santi e beati che lei ha aiutato qui in terra… ce n’è qualcuno che le è rimasto particolarmente nell’animo e nel cuore?
Saraiva Martins: Premesso ovviamente che i santi e i beati sono tutti uguali di fronte al Signore, non posso nascondere che alcuni di loro mi hanno toccato più da vicino. A cominciare dalla beatificazione di papa Giovanni XXIII felicemente abbinata a quella di papa Pio IX, che aveva avuto dei problemi. Poi quella dei pastorelli di Fatima: mia madre fin da piccolo aveva cominciato a parlarmi di loro, invitandomi a invocarli, a pregarli, si figuri quindi la mia gioia nell’accompagnarli all’onore degli altari. E poi la beata Madre Teresa e san Pio da Pietrelcina: due figure splendide, molto amate e invocate dai fedeli più semplici. Ecco, per così dire, i miei preferiti. Spero che gli altri santi e beati comprendano questa mia debolezza.
Non c’è il rischio che la proclamazione di un numero elevato di santi e beati, come è avvenuto nel corso degli ultimi trent’anni, comporti una certa “inflazione”?
Saraiva Martins: Giovanni Paolo II, che aveva ben presente questo tipo di obiezione, non la pensava così. E rispondeva, bene, dando tutta una serie di ragioni: i santi li fa Dio e se ci sono i santi la Chiesa non può che riconoscerli e proporli; il Concilio Vaticano II ha parlato della vocazione universale alla santità; la moltiplicazione delle Chiese locali comporta la moltiplicazione dei modelli di santità; la santità è la via più facile all’unità della Chiesa e quindi ha forti implicazioni ecumeniche. Noi crediamo, ci ricorda il Simbolo apostolico che recitiamo in ogni messa, la “Ecclesiam unam, sanctam…”. Tutte ragioni che condivido pienamente e che hanno ispirato i lavori della Congregazione.
Con l’elezione di Benedetto XVI c’era chi pensava che si potesse tornare all’antico…
Saraiva Martins: Come dimostrano chiaramente le statistiche non è stato così. Il nuovo Pontefice non ha dato alcuna indicazione contraria rispetto al precedente. Il ritmo non è diminuito. Anzi, la decisione di decentrare a livello locale le cerimonie di beatificazione non ha fatto altro che moltiplicare questo tipo di celebrazioni.
Ha lasciato l’incarico con qualche rimpianto?
Saraiva Martins: No, sono felice perché sono stati anni molto fecondi per me e per il dicastero. Oltre alle singole cause infatti ho avuto la soddisfazione di veder approvare, ad esempio, il nuovo regolamento della Congregazione, oppure, da ultimo, l’istruzione Sanctorum Mater cui tenevo in modo particolare. Si tratta di uno strumento importante per aiutare i vescovi a ben avviare i processi a livello diocesano. Uno strumento di cui, a dire il vero, si avvertiva la mancanza. Senza contare poi una serie di iniziative, come ad esempio il Simposio del 1999 su “Eucaristia, santità e santificazione”. Un avvenimento gioioso è poi stata la bella udienza che Benedetto XVI ha accordato ai postulatori. Era la prima volta che succedeva.
Eppure è successo che una cerimonia di beatificazione, quella di padre Leone Dehon, di cui pure era stata fissata la data, è stata poi rinviata sine die…
Saraiva Martins: È stato deciso così per poter studiare meglio la questione viste le polemiche che si erano scatenate riguardo il presunto antisemitismo di padre Leone. Personalmente, credo che si tratti di accuse ingiuste e anacronistiche, e spero che quanto prima Dehon meriti di salire all’onore degli altari.
Lei prima accennava al fatto che ci sono stati problemi anche per la beatificazione di Pio IX…
Saraiva Martins: In questo caso fu una questione di opportunità legata a valutazioni di tipo politico. C’erano correnti storiografiche particolarmente avverse a papa Mastai e perciò il decreto riguardante il miracolo rimase bloccato per un certo numero di anni. Ma poi, dopo aver chiesto un parere alla Conferenza episcopale italiana, che risultò positivo, si decise che queste riserve non avevano più motivo di esistere. Anche perché, e questo vale per Pio IX ma non solo per lui, quando si “beatifica” un servo di Dio non si beatificano le sue idee politiche, giuste o sbagliate che fossero.
Il nostro direttore in passato si è chiesto se per iniziare le cause di beatificazioni riguardanti i pontefici non fosse il caso di aspettare non cinque, ma cinquant’anni dalla loro morte…
Saraiva Martins: La disciplina ecclesiastica su questo punto in passato è cambiata più volte. Nulla vieta quindi che possa cambiare di nuovo. È vero che le cause riguardanti i pontefici sono particolarmente delicate, anche perché è noto che i loro archivi sono pienamente accessibili solo dopo decenni. Quello che mi sembra comunque importante è che in questo tipo di cause si sia immuni da interferenze esterne, positive e negative, da parte di persone o istituzioni estranee al processo. Questi tentativi vanno respinti. Ed è chiaro che se un processo inizia dopo dieci o venti anni dalla morte è più facile che questo tipo di influenze siano minori se non inesistenti. Questo vale per i papi ma anche per gli altri.
Quindi lei in linea di principio non sarebbe contrario a prolungare il limite attuale di cinque anni…
Saraiva Martins: Penso che una decisione di questo tipo, qualora venisse presa, potrebbe aiutare a evitare forme indebite di pressione.
Giovanni XXIII è stato beatificato nonostante i suoi archivi non siano ancora accessibili. Non è anomalo?
Saraiva Martins: Voglio credere che chi ha studiato la causa abbia avuto modo di valutare attentamente tutti i documenti utili, a prescindere che non fossero ancora accessibili.
Se si guarda la lista dei pontefici dell’ultimo secolo abbiamo un santo (Pio X), un beato (Giovanni XXIII), e quattro servi di Dio (Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e II). Praticamente solo due pontefici dello stesso periodo non risultano in corsa per gli altari…
Saraiva Martins: Se c’è una fama di santità la Congregazione non può impedire che il processo abbia inizio. Questo non vuol dire però che anche i papi per i quali non si è manifestata questa fama non possano essere considerati dei grandi pontefici. Benedetto XV e Pio XI sono stati certamente degnissimi successori di Pietro.
Nel corso di una conferenza stampa padre Lombardi ha accennato al fatto che, per quanto riguarda la causa di beatificazione di Pio XII, la Congregazione ha fatto il suo lavoro e che ora spetta al Papa decidere riguardo la pubblicazione del decreto sulle virtù eroiche…
Saraiva Martins: In effetti la Congregazione ha svolto un eccellente lavoro. Il Papa da parte sua ha dato mandato di approfondire alcuni aspetti. Siamo in fiduciosa attesa di ulteriori sviluppi. Le parole del Papa ai partecipanti a un convegno e soprattutto quelle in occasione del cinquantesimo anniversario della morte di papa Pacelli, nonché la prefazione scritta dal cardinale segretario di Stato a un libro di suor Marchione fanno ben sperare.
Eminenza, l’opinione teologica prevalente è che il papa nel canonizzare un santo compia un atto di magistero infallibile. Ma non mancano autorevoli teologi che non la pensano così. Qual è la sua opinione a riguardo?
Saraiva Martins: Sono fermamente convinto che la canonizzazione è un fatto dogmatico in cui è coinvolto il magistero infallibile del papa. Una canonizzazione infatti riguarda il culto universale e quindi la fede della Chiesa. Il papa riconoscendo un nuovo santo, infatti, non ne permette il culto a livello locale, come avviene invece per i beati, ma lo prescrive a tutta la Chiesa universale.
Mi perdoni l’irriverenza della domanda. Ma con il gran numero di santi che sono stati proclamati nel corso degli ultimi decenni non c’è il rischio che in futuro possano esserci delle sorprese?
Saraiva Martins: Lo escludo. La Congregazione lavora scrupolosissimamente e quindi escludo sorprese future. Ma soprattutto credo fermamente che il Signore in questo non farà mai cadere in difetto la Sua Chiesa e il Suo vicario in terra.
Eminenza, permetta una domanda un po’ maliziosa. Alcuni anni fa un postulatore quantificò in circa 750mila euro il costo del processo di beatificazione di un suo candidato. Con cifre così cospicue non si corre il rischio che qualcuno possa cadere in tentazione?
Saraiva Martins: Capisco a cosa vuole alludere. Ci tengo a precisare che le spese di ogni beatificazione sono spese, per così dire, vive, che riguardano i costi di stampa delle Positio, i giusti, e per altro modesti, compensi ai teologi e ai medici coinvolti, le spese delle cerimonie. Quindi neanche un centesimo va a finire nelle casse della Congregazione. La Congregazione si limita a informare i postulatori, che hanno i cordoni della borsa, su chi e cosa pagare. Punto.
Eminenza, un’ultima domanda. Ora non si sente un po’ come un disoccupato?
Saraiva Martins: Disoccupato? Non troppo. A Dio piacendo fino agli ottanta anni sarò membro di alcuni dicasteri e uffici della Curia romana: la Congregazione per il Culto e quella per i Vescovi, il Pontificio Consiglio per gli Operatori sanitari, la Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano. E poi il Santo Padre mi ha chiesto, in qualità di prefetto emerito, di presiedere ancora ad alcune cerimonie di beatificazione.
Dove?
Saraiva Martins: Il 4 ottobre a Vigevano per padre Francesco Pianzola, fondatore delle Suore missionarie dell’Immacolata Regina della Pace e degli Oblati diocesani dell’Immacolata. Il 19 ottobre a Lisieux per i coniugi Luigi e Zelia Martin, genitori di santa Teresina. Il 24 novembre a Nagasaki, in Giappone, per i 188 martiri del XVII secolo. Il 29 novembre a Camagüey, a Cuba, per fra Olallo Valdés, dei Fatebenefratelli. Come vede il lavoro non manca.
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