lunedì 24 novembre 2008
Sinodo dei vescovi 2008, Padre Cipriani: «La cosa principale e più necessaria è pregare per comprendere» (30Giorni)
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SINODO DEI VESCOVI
«La cosa principale e più necessaria è pregare per comprendere»
La preghiera e una lettura alla luce del Credo degli apostoli sono, per sant’Agostino, i due grandi criteri per comprendere la Sacra Scrittura. Intervista con Nello Cipriani
Intervista con Nello Cipriani di Lorenzo Cappelletti
Il motivo che ci porta a dialogare con padre Cipriani, nel suo studio all’Augustinianum di fianco al colonnato di San Pietro, è il tema del Sinodo dei vescovi attualmente in svolgimento oltre il colonnato: “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”.
Come sempre troviamo padre Cipriani al lavoro, impegnato in ricerche, da tempo in atto, non solo tese a smentire che l’impronta neoplatonica resti dominante in sant’Agostino anche dopo la conversione (così la pensano in molti), ma addirittura in grado di dimostrare come egli usi, a volte, una precisa terminologia aristotelica mutuata attraverso Varrone e altri autori. In questo rivolgersi a una tradizione filosofica non univoca, ma eclettica, ci dice padre Cipriani, Agostino era guidato proprio dal sensus fidei acquisito con la conversione.
Ci dispiace distogliere padre Cipriani dal suo lavoro, ma la sua squisita disponibilità ci toglie dall’imbarazzo.
Qual è fondamentalmente l’atteggiamento di sant’Agostino rispetto alla Sacra Scrittura?
NELLO CIPRIANI: Sant’Agostino aveva un’altissima considerazione della Sacra Scrittura, la considerava una lettera di Dio inviata agli uomini perché possano conoscere la via della salvezza. Pensava fosse un vero e grande dono di Dio fatto agli uomini e, in quanto dono di Dio, ispirata dallo Spirito Santo, tanto da poter insegnare ciò che è necessario per la salvezza senza ombra di errore. Proprio per la sua natura di dono riteneva indispensabile, per leggere e comprendere la Sacra Scrittura, una giusta disposizione interiore: in altre parole, riteneva necessaria la preghiera. Per gli studiosi non meno che per gli altri. Scrive nel De doctrina christiana: «Bisogna esortare chi si applica alla Sacre Lettere non solo a saper riconoscere i diversi generi letterari nelle Scritture, ma anche – ed è la cosa principale e più necessaria – a pregare per comprendere (praecipue et maxime orent ut intelligant)» (III, 37, 56). Capire la Scrittura non è soltanto l’esito di uno studio scientifico, come in altre arti, ma consegue innanzitutto dal mettersi davanti alla Parola di Dio con docilità, con umiltà e, ripeto, nell’atteggiamento di chi supplica, di chi invoca. Scrive nelle Confessioni: «Davvero non conosciamo altri libri che stronchino tanto bene la superbia, che stronchino tanto bene l’avversario che si difende restio a riconciliarsi con Te perché difende i suoi peccati. Non conosco, Signore, non conosco altre espressioni così pure e capaci d’indurmi alla confessione, capaci di piegare la mia cervice al tuo giogo e di sollecitarmi a un culto disinteressato. Fa’ che le capisca, Padre buono; concedimelo visto che mi sono sottomesso a Te, perché Tu le hai rese roccia (solidasti) per coloro che si sottomettono a Te» (XIII, 15, 17).
Agostino ha cominciato a conoscere il cristianesimo attraverso la Scrittura o, al contrario, ha via via imparato a conoscere la Scrittura dopo la conversione?
CIPRIANI: La prima volta che Agostino si rivolse alla Sacra Scrittura fu in seguito alla lettura giovanile del dialogo ciceroniano Hortensius. Questo libro che andava alla ricerca della sapienza lo aveva entusiasmato e Agostino associò immediatamente la ricerca della sapienza a Cristo, il cui nome, dice nelle Confessioni, aveva succhiato da piccolo con il latte materno. Ma insieme al nome di Cristo si ricordò delle Sacre Scritture. È segno che Agostino dalla madre aveva ricevuto non soltanto l’amore per il nome di Cristo, ma anche per le Sacre Scritture. Aveva già ricevuto, come può riceverla un bambino, naturalmente, un’educazione con questa apertura a Cristo e alla Scrittura.
Già aveva anche un certo presentimento del compimento della Scrittura in Cristo?
CIPRIANI: Sant’Agostino dice spesso nelle opere della sua maturità che tutta la Sacra Scrittura parla di Cristo, l’Antico Testamento come il Nuovo. «Tutta la nostra attenzione, quando ascoltiamo un salmo, un profeta, la Legge […] è a vedervi Cristo, a riconoscervi Cristo» (Enarrationes in psalmos 98, 1). Tutta la Scrittura è Parola di Dio, Parola che si è fatta carne in Cristo. È nella piena maturità che, per Agostino, Parola di Dio e Cristo diventano indissolubili. Questa idea non era così evoluta al tempo della prima giovinezza, ma una associazione stretta già la faceva.
In questa evoluzione del rapporto con la Sacra Scrittura che cambiamento introduce la sua ordinazione sacerdotale e poi episcopale?
CIPRIANI: La Sacra Scrittura ebbe già un ruolo decisivo nella sua conversione. Soprattutto la lettura di Paolo gli rivelò «quella carità che edifica sul fondamento dell’umiltà, cioè Gesù Cristo» (Confessioni VII, 20, 26). Ma per tutto il tempo in cui rimase laico, in tutti i Dialoghi che scrisse negli anni prima del 393/394, Agostino non si applicò mai in modo approfondito e critico alla Scrittura. Voleva fare una filosofia cristiana che si facesse sì guidare e illuminare dalla fede cristiana, ma che risolvesse i suoi problemi sul piano della razionalità: all’epoca era in dialogo, sempre sul piano della pura razionalità, soprattutto con i filosofi antichi; la Sacra Scrittura rimaneva completamente ai margini. Quasi mai nei Dialoghi si appella all’autorità della Scrittura per provare una sua tesi. Invece, con l’ordinazione sacerdotale, Agostino comprese che era diventato dispensator Verbi et sacramenti e quindi sentì subito il bisogno di approfondire tutto il contenuto della Scrittura per poter insegnare ai fedeli la via cristiana. Proprio per questo motivo chiese al suo vescovo un breve periodo di studio in cui maturò una nuova concezione della conoscenza perfetta di Dio. A questa conoscenza Agostino, prima dell’ordinazione sacerdotale, pensava di poterci arrivare immediatamente tramite la ragione illuminata dalla fede. Con l’ordinazione capisce che un gradino insostituibile è costituito dall’approfondimento critico della Scrittura. Scriverà nel De civitate Dei: «Alla Scrittura che si dice canonica e che ha autorità grandissima prestiamo fede su quelle cose che non si devono ignorare e che d’altronde non possiamo raggiungere da noi stessi» (XI, 3). Da quel momento la Scrittura sta al centro di tutta la riflessione e lo studio di Agostino. Non soltanto quando scrive opere esegetiche. Anche in tutti gli altri scritti è dalla Scrittura che prende lo spunto, la Scrittura diventa il fondamento per dialogare con i donatisti, con i pelagiani, con tutti. Dalla ordinazione sacerdotale Agostino diventa un tractator divinarum Scripturarum, cioè un commentatore della Scrittura nel senso ampio del termine. Questa scienza, come la chiamava, doveva servire a rafforzare la fede nei fedeli, ad approfondirla e a difenderla da tutte le obiezioni che potevano fare i pagani, o anche dagli errori degli eretici. È proprio sulla base della definizione della teologia come scienza della Scrittura che san Tommaso all’inizio della sua Summa chiamerà sacra doctrina la teologia, citando le parole di Agostino prese dal De Trinitate. In genere si fa risalire la distinzione fra filosofia e teologia a san Tommaso o alla Scolastica. In realtà san Tommaso si ispirava a sant’Agostino.
Quali criteri segue Agostino dal punto di vista della interpretazione della Scrittura? C’è qualcuno a cui si ispira?
CIPRIANI: Bisogna mettere innanzitutto in rilievo che il rispetto, la venerazione per la Scrittura, in sant’Agostino si tramuta in un atteggiamento di preghiera di fronte a essa. Per comprendere la Scrittura, prega Dio che lo illumini. Questo atteggiamento di umiltà, di preghiera, di docilità è fondamentale. Scrive nelle Enarrationes in psalmos: «Se non capisci una cosa, o capisci poco o non penetri a fondo, onora la Scrittura di Dio, onora la Parola di Dio, anche se non ti è chiara. Con devozione rimandane la comprensione. Non intestardirti nell’accusare la Scrittura di oscurità o magari di falsità. Lì non c’è nulla di falso. Se c’è qualcosa di oscuro non è per negartelo ma perché tu ti disponga ad accoglierlo. Quando dunque c’è qualcosa di oscuro, è stato il Medico a farlo perché tu bussi; lo ha voluto perché tu ti disponga a bussare» (146, 12). Poi, proprio perché Agostino è certo che la Scrittura è Parola di Dio e parla sempre e solo di Cristo, evidenzia l’importanza che la Scrittura sia letta alla luce della fede della Chiesa quale è espressa nel Simbolo di fede. Parla della regula fidei come criterio ermeneutico per leggere sia l’Antico che il Nuovo Testamento. Dopo questo grande duplice criterio offre anche altre regole di interpretazione. Ma vorrei subito dire che, secondo Agostino, nella Scrittura ci sono sì tanti testi difficili (nell’Antico Testamento è velatamente racchiuso un po’ tutto il Nuovo Testamento, Cristo e la Chiesa: in questo senso la Scrittura è un libro difficile da intendersi), ma riteneva pur sempre che in essa ci sono moltissimi passi assolutamente chiari e sono proprio quelli che parlano delle verità principali della fede cristiana, tanto che il Credo non è altro che il frutto formulato con autorità dalla Chiesa sulla base dell’insegnamento della Scrittura. C’è una parte di essa insomma che non ha bisogno di grandi sforzi interpretativi. Naturalmente metteva in risalto che bisogna leggere la Scrittura nel suo complesso: non si può prendere un testo separandolo da tutto il resto per ricavarne una verità in contrasto con altre affermazioni in essa contenute. Riteneva inoltre che, per leggere con frutto la Scrittura, bisogna servirsi delle conoscenze di tutte le scienze, anche quelle del mondo fisico, del mondo vegetale e animale. E più in generale ricorrere a tutti gli strumenti scientifici che la cultura del suo tempo consentiva. Penso che per Agostino, aperto a tutti gli apporti, a tutti contributi della cultura del suo tempo, non sarebbe stato difficile accettare il metodo storico-critico. Agostino anche da un donatista come Ticonio, ad esempio, non ha nessuna difficoltà ad accogliere alcune indicazioni metodologiche per l’esegesi della Scrittura, magari criticandone qualche aspetto.
Ci sono analogie col nostro tempo. Il metodo storico-critico non nasce in ambito cattolico.
CIPRIANI: C’è ancora un aspetto che vorrei sottolineare, perché mi sembra particolarmente attuale. Sant’Agostino nel periodo in cui era stato manicheo aveva potuto constatare l’assurdità della pretesa dei libri manichei di spiegare tutti i fenomeni naturali, anche quelli astronomici delle fasi lunari, delle eclissi della luna, del sole e altri, ricorrendo al mito della lotta del bene e del male. Si accorse che queste pretese spiegazioni non solo non spiegavano tutto, ma erano in contraddizione con le spiegazioni molto più serie e documentate degli scienziati antichi, i filosofi naturalisti che Agostino aveva letto. Proprio questa esperienza negativa fu uno dei motivi per cui abbandonò il manicheismo. Si accorse che il manicheismo, che gli aveva promesso di condurlo alla verità senza la sottomissione della fede, lo aveva ingannato, perché gli aveva fatto credere tante favole irragionevoli. Ecco, quando incominciò a leggere e a spiegare la Scrittura, soprattutto la Genesi, si ricordò di questa lezione e giunse a delle affermazioni che sono state utilissime a Galileo quando volle presentare le sue teorie, le sue scoperte come non contrarie alla fede cristiana. Agostino diceva in sostanza che la Scrittura non ha preteso insegnare agli uomini come è fatto il mondo, non vuole sostituirsi alla scienza. La Scrittura ci vuole insegnare la via della salvezza, ciò che è necessario per vivere rettamente e salvarsi. Quando la Scrittura parla del cielo, della terra, della creazione non la si deve leggere come se volesse sostituirsi alla scienza. Mi sembra una lezione molto importante. Sarebbe stato utilissimo, nel Seicento, che i teologi o coloro che condannarono Galileo avessero tenuto presente questa lezione. Ma è utile anche per noi oggi che versiamo ancora in questa crisi tra scienza e Scrittura, tra scienza e fede, a proposito per esempio della teoria dell’evoluzione. Io credo che Agostino assumerebbe un atteggiamento di dialogo, non di rifiuto aprioristico di questa teoria.
© Copyright 30Giorni, ottobre 2008
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